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Mario Spagnuolo durante l'incontro di commiato

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La cerimonia di commiato del procuratore capo di Cosenza Mario Spagnuolo, il giorno dell’addio dopo 8 anni alla guida della Procura


COSENZA – «Tutto ha il suo momento. C’è un tempo per nascere e un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare quel che si è piantato. Adesso per me è il tempo di andare». Comincia così, con un passo tratto dall’Antico Testamento, l’appassionato discorso del procuratore di Cosenza Mario Spagnuolo, che si appresta a lasciare l’Ufficio che ha guidato negli ultimi otto anni per godersi il traguardo della pensione. Alla cerimonia di commiato, nella Biblioteca “Arnoni” del Tribunale di Cosenza, hanno partecipato le più alte cariche militari, civili, politiche e religiose della città e della provincia. Gli occhi lucidi nascosti dietro gli occhiali scuri, visibilmente commosso ed emozionato (“Non pensavo fosse così difficile”, ha ammesso),

Spagnuolo ha aggiunto: «È il tempo di lasciare la fortezza Bastiani, dove per più di quarant’anni ho aspettato invano l’arrivo dei barbari. Ad altri il compito di aspettarli». Poi, ancora, la carrellata di volti e storie che hanno segnato la sua carriera. «Il volto di un ragazzo quasi quattordicenne – racconta con la voce rotta dal pianto -. Che piange disperato sulla bara di suo padre e gli giura che, come lui, sarà un fedele servitore dello Stato.
Il volto dell’avvocato Carratelli, che mi fece capire la missione dell’Avvocatura, quella di essere l’ultimo baluardo, l’ultima difesa del cittadino. I volti del mio primo presidente di Tribunale, Nicola De Marco, del mio primo presidente di Collegio, Fausto Mastroianni. Del procuratore della Repubblica di Catanzaro, Mariano Lombardi, e del procuratore della Repubblica di Cosenza, Alfredo Serafini. Il volto dei tantissimi giovani magistrati il cui percorso professionale ho seguito in più di 25 anni di dirigenza giudiziaria. Dei miei moc cosentini, del mio amico Nicola Calipari (ex capo della Squadra Mobile di Cosenza, ndr). Dei tanti carabinieri, poliziotti, finanzieri che hanno condotto con me tantissime indagini e di quei carabinieri che hanno seguito la mia vita garantendomi la necessaria serenità».

Infine, il volto del direttore del carcere di Cosenza, Sergio Cosmai. «Ho qui l’orgoglio nel rivendicare – ha detto Spagnuolo – di essere riuscito a creare una forte costruzione accusatoria che ha portato alla condanna definitiva del mandante dell’omicidio di un fedele servitore dello Stato, ucciso due volte: dalla criminalità mafiosa e da quegli esponenti delle istituzioni che avevano lasciato ad ammuffire in un cassetto gli atti di indagine». In ultimo, il ringraziamento alla sua famiglia, che da sempre gli è accanto, e la confessione, a cuore aperto: «Ne è valsa la pena».

Al nome di Spagnuolo – che in 40 anni di carriera in magistratura ha ricoperto anche il ruolo di aggiunto presso la Dda di Catanzaro e capo della Procura di Vibo Valentia – sono associati alcuni importanti processi contro la ‘ndrangheta e la criminalità comune, primo fra tutti “Missing”, le indagini sull’uccisione di Sergio Cosmai, ma anche inchieste contro la corruzione e i cosiddetti “colletti bianchi”.

Appassionato di padel e di calcio, in particolare del Cosenza, Spagnuolo è da poco diventato nonno di un bimbo che porta il suo nome. Tutti coloro che hanno preso la parola ne hanno elogiato la grande pacatezza e la capacità di mediare anche nelle situazioni più difficili e, al contempo, anche la fermezza e il piglio decisionale. Dopo il suo saluto, la reggenza dell’Ufficio passerà al facente funzioni Antonio D’Alessio. Per la nomina del nuovo procuratore si fanno i nomi di Camillo Falvo, Vincenzo Luberto e Vincenzo Capomolla.

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