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Fausto Gullo durante un comizio

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NELL’AUTUNNO del 1943 a circa due mesi dalla firma dell’armistizio di Cassibile, la città di Cosenza fu teatro di un episodio poco noto che di certo non ha trovato spazio nei libri di storia. Dopo l’8 settembre gran parte dell’Italia meridionale grazie all’avanzata degli Alleati aveva assistito ad un rapido dileguarsi delle camicie nere e dei nazisti ma la libertà non poteva dirsi pienamente conquistata. In molte località del Mezzogiorno il potere rimase sostanzialmente nelle mani di chi lo aveva esercitato fino ad allora. Una parte della forza pubblica faceva i conti con pericolosi retaggi fascisti trattando ancora da “sovversivi” i sindacalisti e i membri delle organizzazioni politiche di sinistra. Nei giorni successivi all’armistizio la confusione regnava sovrana e suddette circostanze erano perciò riconducibili più alla consuetudine che al fanatismo ideologico. Il capoluogo bruzio non si discostava da questa tendenza, soffrendo l’inadeguatezza delle istituzioni di voltare definitivamente pagina.

Secondo alcune testimonianze, riportate nel libro La Liberazione del Sud di Enzo Misèfari (Luigi Pellegrini Editore), il 4 novembre del 1943 un gruppo di carabinieri in servizio avrebbe ricevuto l’ordine di cancellare i nomi di Churchill, Stalin e Roosvelt da alcuni manifesti propagandistici che erano stati affissi in città. Un antifascista settentrionale, che si trovava al confino in Calabria, redarguì pesantemente i militari dell’Arma facendo loro notare che l’Italia dopo l’8 settembre era cobelligerante degli angloamericani e che la loro azione non poteva dunque essere giustificata in nessun modo. Ne nacque un acceso battibecco, i carabinieri non gradirono e decisero di arrestare l’uomo. Ben presto gli astanti che assistettero alla scena protestarono ed impedirono che il dissidente fosse tradotto in caserma. In pochi minuti il capannello di persone divenne un vero e proprio corteo. L’obiettivo divenne il palazzo della Prefettura, quest’ultima era additata dalla folla come un elemento di continuità con il regime fascista.

Alla testa dei “rivoltosi” si misero Fausto Gullo, comunista e autentico punto di riferimento per l’antifascismo cosentino, e Francesco Spezzano, acrese ed esponente anch’egli del Partito comunista italiano, futuro senatore della Repubblica. I manifestanti fecero irruzione costringendo il prefetto e i funzionari alla fuga. Fausto Gullo dal balcone improvvisò un discorso con l’intento di calmare gli animi e si sarebbe così rivolto alla folla: «Non invito alla vendetta ma alla consapevolezza dei compiti nuovi nella giustizia e nella libertà». La massa acclamò in qualità di “prefetto” lo stesso Gullo ed “elesse” Francesco Spezzano sindaco della città che tenne addirittura un discorso di ringraziamento.

L’iniziativa – e soprattutto il suo esito – fece andare su tutte le furie gli Alleati. Questi ultimi mal tollerarono l’insurrezione e decisero di correre ai ripari. Il “mandato” di Gullo e Spezzano durò infatti poche ore poiché già il giorno successivo gli angloamericani nominarono prefetto di Cosenza Pietro Mancini e sindaco Francesco Vaccaro, entrambi irriducubili socialisti ma ritenuti più moderati e “affidabili” rispetto ai fulminei ed informali predecessori. Gullo, Spezzano e altri attivisti vennero convocati dagli Alleati e, sempre da quanto si apprende dal testo di Misèfari, sarebbero stati minacciati di essere deportati in Kenia. Pare che Pietro Mancini -fondatore della prima sezione socialista a Cosenza e primo deputato socialista della Calabria- accettò l’incarico offertogli dagli Alleati a patto che nessun provvedimento sarebbe stato adottato contro gli “irrequieti” compagni del Pci.

Spezzano disse che Gullo (nell’aprile dell’anno successivo nominato a sorpresa ministro dell’Agricoltura nel secondo gabinetto Badoglio) gli avrebbe confidato a distanza di tempo ricordando l’episodio: «L’ora più rivoluzionaria della mia vita l’ho vissuta quando a piazza dei Valdesi il colonnello dei carabinieri, sugli attenti, disse che aspettava i miei ordini».

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