Una scena del film Il monaco che vinse l'apocalisse
INDICE DEI CONTENUTI
- 1 Partiamo dall’inizio. Perché scegliere di raccontare un personaggio come Gioacchino e quanto si può considerare una sfida portare oggi al cinema la figura di un pensatore così complesso?
- 2 Ne “Il monaco che vinse l’apocalisse” il mondo di Joachim (Gioacchino, nel film i nomi di luoghi e personaggi sono in lingua latina) ora è diventato realtà.
- 3 Ha scelto diversi registri narrativi, il film si muove anche su ambientazioni oniriche, su visioni, può raccontarci qualcosa di più dei linguaggi di questo suo lavoro?
- 4 “il monaco che vinse l’apocalisse” ha anche un primato tecnico se vogliamo, è il primo film italiano girato con la tecnica del 12K. È un po’ come se lei lo avesse pensato, fin dalla fase di realizzazione, proprio per il grande schermo. Può spiegare questa scelta?
- 5 Altro aspetto importante del film sono sicuramente le ambientazioni. Diversi set in Calabria, alcuni ricostruiti grazie ai visual effects, ma non si tratta banalmente di riportare Gioacchino nei luoghi della sua vita
Un film per raccontare la vita straordinaria di Gioacchino da Fiore, il regista Jordan River racconta al Quotidiano “Il monaco che vinse l’apocalisse”
Non la vita di un personaggio storico ma la complessa esistenza di un uomo di chiesa e di pensiero. Abate, teologo, filosofo, uomo. Il cammino di Gioacchino da Fiore, di uno dei pensatori più influenti del medioevo, che Dante Alighieri riconosce come «di spirito profetico dotato», quando parla di lui nel XII canto del Paradiso inserendolo tra i sapienti, è al centro del racconto cinematografico “Il Monaco che vinse l’Apocalisse” del regista Jordan River. Il film prodotto dalla Delta Star Pictures, sostenuto dal Ministero della Cultura e dalla Calabria Film Commission uscirà in anteprima nazionale a Roma al The Space Moderno il 2 dicembre, a seguire il 4 dicembre ci sarà l’anteprima calabrese al Cinema Citrigno di Cosenza. Dal 5 poi sarà distribuito in tutta Italia. In attesa però di accomodarsi in sala per rivivere la vita di Gioacchino abbiamo chiesto al regista River di raccontarci il percorso del film:
Partiamo dall’inizio. Perché scegliere di raccontare un personaggio come Gioacchino e quanto si può considerare una sfida portare oggi al cinema la figura di un pensatore così complesso?
«Possiamo dire che realizzare questo film è stato proprio un miracolo. Diversi colleghi produttori, registi e distributori mi dissero che ero diventato matto a investire tempo e denaro su una figura sconosciuta al grande pubblico e che non era ancora neppure ufficialmente ‘Santa’.
Ne “Il monaco che vinse l’apocalisse” il mondo di Joachim (Gioacchino, nel film i nomi di luoghi e personaggi sono in lingua latina) ora è diventato realtà.
Non c’era alcun film su Gioacchino e sapevo che stavo per realizzare qualcosa di fragile ma al contempo potente. Il fatto che nessuno in 800 anni abbia mai realizzato qualcosa di simile ci fa capire la complessità di tale figura. Il filosofo Andrea Tagliapietra, dopo aver collaborato con noi nella fase di scrittura, vedendo l’opera che dalle pagine aveva preso forma e sostanza nel film, mi disse: “Jordan, questo era un film difficile, ma era anche difficile farlo e solo tu potevi riuscirci”. Questo credo sia uno dei complimenti più particolari, perché Andrea capiva pienamente la complessità e la grandezza del personaggio. Un personaggio tra i più autentici del Medioevo e noi dovevamo intravedere tutta la sua attualità. Non so se ci siamo riusciti, di certo dopo il film saranno in molti ad averne non solo sentito parlare, ma anche visto, e forse ciò darà loro la percezione di averlo conosciuto, ammirato, amato. Un personaggio “non santo”, ma capace di far echeggiare il divino che c’è in ognuno, persino tra i laici e, anche, tra gli atei. Saper amare veramente è già un atto divino».
Ha scelto diversi registri narrativi, il film si muove anche su ambientazioni oniriche, su visioni, può raccontarci qualcosa di più dei linguaggi di questo suo lavoro?
«C’è un mix di più linguaggi, non solo narrativi ma finanche visivi e uditivi. Ci siamo ispirati anche ai cerchi trinitari del Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore (oggi conservato a Oxford). Come i tre cerchi si intrecciano così le storie passate, presenti e future ci avvolgono. Anche il ritmo è come un’onda, c’è una fase lenta e più meditativa ma poi, quando uno meno se l’aspetta, l’onda si alza, ci travolge e ci troviamo dentro all’oceano del tutto. Nel film in qualche modo ci si muove nei tre regni danteschi alternandosi, in cui paradiso-purgatorio-inferno poi si muovono in un ribaltamento inferno-purgatorio-paradiso».
“il monaco che vinse l’apocalisse” ha anche un primato tecnico se vogliamo, è il primo film italiano girato con la tecnica del 12K. È un po’ come se lei lo avesse pensato, fin dalla fase di realizzazione, proprio per il grande schermo. Può spiegare questa scelta?
«Abbiamo utilizzato l’altissima risoluzione 12K perché sapevamo sin dall’inizio che dovevamo lavorare molto con l’immagine. È senz’altro un film pensato proprio per il grande schermo. Una volta spente le luci in sala si avrà la sensazione di trovarsi dentro le abbazie, si sentirà il vento soffiare fuori dalle mura, si sentiranno le onde del mare fuori dal Castello del Re. Si sentirà il respiro del cane che entra in scena mentre si è in meditazione, si sentirà il battito del cuore emozionato mentre si vede cadere una ciocca di capelli nel momento in cui Gioacchino riceve la tonsura ed entra in un mondo altro. Avere una risoluzione con 3 volte il 4K quindi significava avere informazioni superiori. Ma il primato non c’è solo nella risoluzione. Basti pensare che un Drago animato con il massimo del fotorealismo e a sette teste non c’è neppure nel “Trono di Spade”. Inoltre, in questo film è stato fatto uso della tecnica della fotogrammetria 3D.
Altro aspetto importante del film sono sicuramente le ambientazioni. Diversi set in Calabria, alcuni ricostruiti grazie ai visual effects, ma non si tratta banalmente di riportare Gioacchino nei luoghi della sua vita
«Abbiamo girato sia nel Lazio che in Calabria. Ma le ambientazioni si muovono su mondi narrativi più ampi. In Calabria abbiamo scelto luoghi davvero unici. Il ponte di Scigliano, la natura silana nei pressi di San Giovanni in Fiore, la cripta dell’Abbazia Florense, i Calanchi del Marchesato, le Grotte del Principe a Pietrapaola e poi la Città di Pietra a Zungri e tante altre, tutte location meravigliose, uniche, che hanno reso questo film unico nel suo genere. Questo è stato possibile grazie alla collaborazione con gli enti locali che in questo film si sono visti uniti senza divisioni politiche perché sentivano che si trattava di un progetto super partes. Se per i cittadini calabresi era il loro profeta ingiustamente scordato, per gli altri era il pensatore italiano che interpretò la profezia».
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