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Matteo Messina Denaro, il super latitante ritenuto il nuovo capo di Cosa Nostra in una foto e in un identikit

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CATANZARO – L’ombra pesante, a dispetto del suo soprannome, “Siccu”, di Matteo Messina Denaro, il super latitante ritenuto il nuovo capo di Cosa Nostra, si riallunga sulla Calabria. Altre trame riconducibili alle sue mire sulla regione in cui, secondo approfondimenti investigativi in corso, si sarebbe nascosto durante la sua lunga irreperibilità, emergono grazie alle sinergie tra ‘ndrangheta, Cosa nostra e massoneria; sinergie criminali che passano attraverso gli affari.

Abbiamo già segnalato che l’ex cognato del boss, Giovanni Alagna, e l’imprenditore Carmelo Patti, l’ex patron della Valtur ormai deceduto e compaesano di Messina Denaro da Castelvetrano, secondo il pentito Marcello Fondacaro, ex medico e ex ‘ndranghetista di Gioia Tauro, dovevano partecipare alla realizzazione di un villaggio a Capo Vaticano che prevedeva appunto la partecipazione al 33% delle due organizzazioni criminali. Ma le mire si sarebbero allungate anche sul Crotonese e l’input sarebbe venuto dal boss di Cutro Nicolino Grande Aracri, che si sarebbe rivolto a Patti. Per il tramite dell’avvocato Giancarlo Pittelli, presunta figura cerniera tra ‘ndrangheta e massoneria al centro del maxi processo Rinascita.

La versione aggiornata, resa nell’aprile scorso, di Fondacaro sui tentacoli di Messina Denaro in Calabria la si ricava dalla nuova informativa dei carabinieri del Ros depositata dalla Dda di Catanzaro, ma sono ben 18 i collaboratori di giustizia che fanno rivelazioni sul noto penalista  e ex parlamentare di Forza Italia confermando il suo ruolo di aggiusta processi per conto dei clan o di intermediario per affari soltanto apparentemente legali. Ipotesi accusatorie tutte da verificare in sede processuale, per carità, ma sono proprio le dichiarazioni di Fondacaro, qualora dovessero essere confermate, a fare  luce sulla presunta funzione svolta dal legale quale «mezzo di unione tra il mondo criminale e quello civile e imprenditoriale per il tramite dell’appartenenza massonica» nonché quale raccordo nel «garantire le comunicazioni» tra i Mancuso di Limbadi e i Grande Aracri di Cutro, anche per un investimento nel Lametino, e ciò grazie ai canali massonici sfruttati da Pittelli che avrebbe avuto rapporti di “fratellanza” con personaggi chiave dell’apparato pubblico.

La fonte di Fondacaro sarebbe stato Francesco Grande Aracri, il boss di Brescello, fratello di Nicolino, durante un periodo di codetenzione nel carcere di San Gimignano, ed il pentito rivela che entrambi facevano parte della massoneria e che un altro loro fratello avvocato, Domenico, era il tramite con i colletti bianchi. Ma il pentito svela anche che il boss Grande Aracri e suo fratello Francesco sono massoni.  

«Francesco Grande Aracri – sostiene Fondacaro – mi disse di far parte della loggia coperta crotonese mentre Nicolino Grande Aracri spaziava tra la loggia crotonese e catanzarese. Non era questi, pur essendo riferimento per l’area jonica, a intrattenere direttamente rapporti con i colletti bianchi ma piuttosto a tal fine utilizzava il volto pulito del fratello avvocato, Domenico, tramite cui intratteneva relazioni con Pittelli che curava altresì gli interessi dei Mancuso». A parte l’investimento nel Lametino, Francesco Grande Aracri gli avrebbe riferito del ruolo di collegamento di Pittelli tra le due cosche quale «appartenente alla massoneria coperta calabrese».

Pittelli, «in collaborazione» con l’avvocato Grande Aracri, sempre secondo il pentito, «aveva il compito di curare macro iniziative imprenditoriali nell’area del Crotonese (costruzione di un villaggio turistico, allestimento di un parco eolico, lavori legati all’aeroporto)». Progetti che sarebbero stati replicati nel Vibonese. Ecco perchè Francesco Grande Aracri aveva chiesto a Fondacaro di mettere a disposizione suoi terreni a Capo Vaticano per realizzare una struttura alberghiera. Sempre in quel periodo «i fratelli Stillitani di Pizzo (il riferimento è a Emanuele e Francescantonio Stillitani, quest’ultimo ex assessore regionale al Turismo, ndr) legati pure ai Mancuso avevano sviluppato un progetto alberghiero a Pizzo Marina, di fianco al Valtur su cui aveva fatto investimenti l’imprenditore Patti, all’epoca dominus della Valtur, a me noto come massone e mafioso in quanto il suo commercialista so essere Giovanni Alagna, fratello della compagna di Messina Denaro.

Patti fu interessato su input di Grande Aracri quale possibile investitore per la realizzazione di un villaggio turistico». Fondacaro conosce bene Patti perché la sua ex moglie è di Mazzara del Vallo, dove realizzò progetti imprenditoriali per i quali subì estorsioni da lui denunciate alle Procure di Trapani e Palermo. C’è di più. L’apporto di Pittelli, secondo quanto fatto trapelare da Francesco Grande Aracri, sarebbe stato funzionale a due strutture turistiche gemelle nel Vibonese e nel Crotonese da realizzare insieme a una società irlandese nella quale aveva interessi la famiglia Coluccio di Gioiosa Jonica.

Ma Fondacaro si sofferma anche sull’appoggio elettorale che a Pittelli – e non solo a Pittelli, nell’elenco ci sono big storici della politica calabrese e numerosi sindaci – avrebbe fornito la loggia giustinianea di Roma cui lui apparteneva.

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