L'incontro svoltosi nella sala Falcone e Borsellino di Cutro
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Fazio incontra gli studenti di Cutro nell’ambito del percorso di Pedagogia dell’antimafia avviato a Cutro dall’UniCal
CUTRO – «La realtà in Calabria è questa. Le imprese che partecipano a gare per lavori pubblici devono sottostare alla regola del tre per cento, la tangente imposta dalla ‘ndrangheta. Se ne esce soltanto con la denuncia». Lo ha detto Beniamino Fazio, capo della Dia di Catanzaro, intervenendo alla seconda tappa del percorso di Pedagogia dell’antimafia intrapreso dal docente UniCal Giancarlo Costabile insieme al Polo scolastico di Cutro. Sollecitato a commentare l’inchiesta, condotta proprio dalla Dia di Catanzaro, che nei giorni scorsi ha fatto luce sulle estorsioni imposte dal clan Abbruzzese, dominante nella Sibaritide, sui lavori per il terzo megalotto della strada statale 106, uno degli appalti più importanti attualmente in Calabria, Fazio ha sottolineato che «se siamo arrivati agli arresti – ha detto – è perché un imprenditore ha denunciato, consentendoci di avviare le indagini con cui è stato smascherato un sistema di imprese compiacenti che attraverso un meccanismo di sovrafatturazione era funzionale alle richieste estorsive».
Dalle conversazioni intercettate emerge che i dipendenti della ditta finita nel mirino affermano che in Calabria è “matematico” che le cosche impongano estorsioni sui lavori pubblici. E che la situazione è peggiore rispetto alla Sicilia. «Se ne esce solo denunciando. Dobbiamo decidere da che parte stare – ha detto Fazio rivolgendosi agli studenti dell’istituto tecnico commerciale e dell’istituto per agrari che gremivano la sala Falcone e Borsellino – La lotta alla ‘ndrangheta non passa attraverso solo repressione. Passa anche quello che fa la scuola oggi, stimolando un cambiamento di mentalità».
LA RETATA ANTIRACKET DI CUTRO
Parole sante a Cutro, che negli ultimi decenni ha assunto una dimensione da capitale mafiosa consegnatale dalle inchieste delle Dda di mezza Italia, ma dove da qualche tempo si registra un’inversione di tendenza. Poco più di un anno fa la retata anti racket scattata su denuncia degli imprenditori vittime, a cui ha fatto seguito il corteo anti ‘ndrangheta con cui la città si schierata a sostegno dei denuncianti.
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IL BASSO PROFILO DELLA ‘NDRANGHETA
Ma Fazio, scegliendo un approccio empatico, è riuscito a parlare agli studenti anche di una mafia sempre più sofisticata, che si avvale di facilitatori scovati nel mondo politico-istituzionale, e sempre più delocalizzata, capace cioè di proiettarsi dai territori del Sud messi sotto scacco con metodi violenti verso le aree più produttive del Paese. È la fotografia tracciata dalle relazioni della Dia. Rapporti puntuali sulle tendenze evolutive delle mafie e le loro proiezioni extraregionali ed estere.
Una delle principali inchieste condotte dalla Dia di Catanzaro negli ultimi anni è quella che ha portato nel gennaio 2021 all’operazione “Basso profilo”, e già il nome in codice la dice lunga sulle tendenze evolutive della ‘ndrangheta perché al centro delle indagini c’era una presunta cricca affaristico-mafiosa che aveva importanti referenti istituzionali. «La ‘ndrangheta è l’organizzazione meno conosciuta ma oggi è la più insidiosa – ha detto ancora Fazio – Di mafia siciliana tutti parlano, della ‘ndrangheta si parla meno perché ha scelto il basso profilo. Eppure prima di iniziare le stragi di mafia i capi di Cosa Nostra chiesero il consenso ai calabresi. La ramificazione della ‘ndrangheta è internazionale, è il partner ritenuto più affidabile dalle mafie straniere».
MINORENNI NELLE GRINFIE DELLE MAFIE
Quando era alla Squadra Mobile di Siracusa, Fazio ha diretto le indagini sull’omicidio di Vito Grassi che portarono all’arresto di due persone tra cui un diciassettenne. Il capo della Dia ha spiegato ai ragazzi anche cosa spinge un minorenne nelle grinfie della criminalità organizzata e cosa può fare la scuola per evitare che ciò accada.
«Gli omicidi ordinati dalla mafia vengono commessi anche da ragazzi che eseguono gli ordini. Mi viene in mente la banalità del male di cui parlava Hannah Arendt, anche se si riferiva agli Stati totalitari. Nel caso dell’omicidio di Vito Grassi abbiamo accertato che un ragazzino di 17 anni, affascinato dai soldi facili, per essere ammesso formalmente nell’organizzazione criminale doveva fare un passo importante. Commettere un omicidio. Andava a scuola, aveva una vita regolare. Fino a prima aveva spacciato droga, non aveva mai commesso omicidi. Quel giorno non dorme, trema, suda. Dice ai familiari di non rispondere al citofono quando suonerà il complice, un ragazzo di 26 anni che lo aveva coinvolto. Ma il fratello più grande risponde. E così decreta la sua condanna. Quel ragazzo è come se fosse morto in quel giorno. Sale su un ciclomotore. Gli danno la pistola. Scarica tutto il caricatore addosso alla vittima che muore in una pozza di sangue. Quando siamo andati a casa l’abbiamo trovato che piangeva come un bambino, consapevole di quello che aveva fatto. Dal 2010 è ancora in carcere».
Un racconto che ha incatenato i ragazzi alla sedia, in un silenzio religioso. «È vita questa? – ha detto ancora Fazio rivolto ai ragazzi – La criminalità organizzata vi impedisce di farvi un futuro. Sospettate di chi fa i soldi facili. Sospettate anche del tabaccaio che improvvisamente diventa un grosso imprenditore perché vuol dire che è un prestanome e che la mafia sta riciclando soldi attraverso la sua compiacenza».
PEDAGOGIA DELL’ANTIMAFIA, GLI ALTRI INTERVENTI
Il sindaco, Antonio Ceraso, costituitosi parte civile nel processo contro le nuove leve dei clan che imponevano il racket, nell’introdurre i lavori ha assicurato che la linea dell’amministrazione comunale da lui guidata «proseguirà. I mafiosi se ne facciano una ragione». Ma ha riscontrato «con rammarico l’assenza della politica».
Un concetto ripreso dal professor Costabile, la cui riflessione conclusiva si è soffermata sullo striscione “’Ndrangheta, Cutro è un’altra cosa”. «Quella frase non nasce in questo percorso ma venne utilizzata il 17 febbraio scorso, quando questo sindaco coraggioso – ha detto il docente UniCal – si mise in testa al corteo anti ‘ndrangheta. Quando ha visto che gli imprenditori hanno denunciato si è schierato con loro. Spiace che la politica non colga il senso di questo percorso la cui finalità è costruire un’alleanza educativa che non ha colori». Costabile ha fatto riferimento alla lettera dei condannati a morte dai nazifascisti che scelsero di combattere per la libertà. «Fare la lotta alle mafie – ha evidenziato – significa difendere i valori della Costituzione e il sacrificio di chi 80 anni fa ha scelto di vivere alla luce del sole».
La dirigente scolastica Anna Maria Maltese ha sottolineato che «scuola e università sono insieme in questo percorso perché la lotta alla mafia non è un fatto solo repressivo ma è anche formazione di una coscienza civile».
Il prefetto di Crotone, Franca Ferraro, si è rivolta direttamente agli studenti. «Costruiamo insieme una cultura della legalità – ha detto – Lo Stato non è un’entità astratta. Lo Stato siamo noi. Farsi i fatti propri è un atteggiamento ‘ndranghetista». Ecco perché ha deciso di sedersi significativamente tra i ragazzi.
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