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Pier Paolo Pasolini amava le provocazioni. Se c’è una cosa che gli intellettuali dovrebbero imparare da lui è la capacità di provocare, suscitare indignazione. Dopo la pubblicazione della lettera inedita sul “Quotidiano della Calabria” in molti si son chiesti cosa direbbe oggi, cosa scriverebbe di noi, della nostra regione. In realtà c’è un testo (inedito, apocrifo, profetico, preveggente… non saprei dire), che scioglie questo nodo: sul manoscritto c’è una data poco chiara, potrebbe essere il 14 novembre 1974, o 2014… non si sa bene. Parlava da un altro tempo, Pasolini. Ed è fuori dal tempo. È un testo indirizzato alla Calabria: il grido di dolore di un uomo vivo ad una società morta, uccisa dalla rassegnazione. Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “caso Fallara” (in realtà, una serie di casi funzionali alla protezione del potere). Io so i nomi dei responsabili (politici) dell’omicidio Fortugno. E del giudice Scopelliti e di tante – troppe – persone uccise dalla ’ndrangheta. Io so i nomi del vertice della cupola politico-mafiosa che ha ideato e manovrato, che ha ordinato, agito e coperto, che – nel silenzio generale – regna in Calabria, svuotandola del diritto e della dignità. Io so i nomi che gestiscono i differenti clan. Conosco le rivalità, le guerre e le pacificazioni, i politici di riferimento, le connivenze, le zone grigie. Io so i nomi che hanno gestito, su mandato romano, il territorio. I nomi di padrini che guardano ora a destra, ora al centro, ora a sinistra, che si muovono trasversalmente: veri “politici” di una terra priva di politica. Io so dei rapporti Calabria-Sicilia-Roma: di Miccichè, Piromalli, Dell’Utri: «Fagli capire a Marcello che c’è una torma di Calabresi pronti a votarlo». Io so i nomi di coloro che tra una messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione, dal Palazzo, ai vecchi capi della ‘ndrangheta, ai giovani adepti e, infine, alla manovalanza omicida: “irresponsabile” – di sicuro: la meno responsabile – nella colpevole ignoranza del crimine. Io so i nomi delle persone “serie” e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici e crudeli, o, a dei personaggi oscuri puramente organizzativi. Io so quanto, come, e fino a che punto la Calabria stia nel Sud, il Sud in Italia e l’Italia nelle mani della Sicilia: «La trattativa Stato-mafia è andata in porto. Il boss Giuseppe Graviano racconta: “ci siamo messi il Paese nelle mani grazie a queste persone”». È il 1994. Dopo le elezioni politiche non ci saranno più stragi. Io so i nomi delle persone “serie” e importanti – Sindaci, segretari di partito, Presidenti – che stanno dietro a tragici ragazzi con i loro orrendi crimini, e a malfattori, calabresi o no, che si sono messi a disposizione, come Killer e sicari. Io so tutti i nomi e so tutti i fatti di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, che cerca di seguire ciò che succede, e ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammenti di un intero quadro, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia…

Io so, scrive Pasolini in questo «inedito, apocrifo, profetico, pre-veggente» testo sulla Calabria. Emerge – in fondo – l’identico invito della lettera a Nicolini (del 1959): «calabresi, non fate come gli struzzi, non c’è bisogno di prove: sapete già tutto. Indignatevi». E leggete, aggiungo: “Il caso Fallara”, di Baldessarro e Ursini, è un ottimo testo – per esempio – per capire Reggio, paradigma del malaffare: dove «lo Stato è un luogo di saccheggio, un vuoto pneumatico della nostra vita, un ente astratto, lontano, magari ostile, dal quale trafugare ogni possibile utilità. (…) il municipio è presenza stabile (…) Crocevia di incontri e relazioni, connivenze e omissioni. Il suicidio col quale si compie l’atto estremo, il sacrificio ultimo della protagonista, non chiude il sipario ma lo apre» (A. Caporale). Parole formidabili. Sarebbero piaciute a Pier Paolo Pasolini. Il messaggio del “nuovo inedito”, in fondo, è questo: leggete e indignatevi. Non attendete prove. Nei libri e nella nuda realtà – guardatevi intorno – c’è tutto. Se qualcuno, poi, volesse vedere in “Io so” una parafrasi de “Il romanzo delle stragi”. Lo faccia pure. È un’ipotesi talmente vera che potrebbe – paradossalmente – essere falsa.

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