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Un'operazione dei carabinieri del Ros

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REGGIO CALABRIA – Ventisei provvedimenti di fermo sono stati notificati questa mattina ad altrettanti esponenti della cosca Condello di Reggio Calabria. L’operazione, denominata “Sansone”, è condotta dai carabinieri del Ros e del Comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, con l’ausilio del personale dello Squadrone eliportato cacciatori “Calabria” e dell’ottavo Nucleo elicotteri carabinieri di Vibo Valentia, con il provvedimento di fermo di indiziato di delitto emesso dalla locale Direzione distrettuale antimafia.

LEGGI I NOMI DELLE PERSONE FERMATE

Le 26 persone sono gravemente indiziate di partecipazione «all’associazione mafiosa unitaria denominata ‘ndrangheta» ed altri gravi delitti. L’indagine dei carabinieri ha permesso di ricostruire la rete dei fiancheggiatori del capomafia Domenico Condello, arrestato nel 2012 dopo oltre 20 anni di latitanza, nonché gli assetti di varie cosche operanti a Reggio Calabria e zone limitrofe che esercitavano in quei territorio un asfissiante pressione estorsiva.

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DITTE NEL MIRINO NEL REGGINO

Complessivamente, le indagini avrebbero permesso di documentare 20 episodi estorsivi, consistiti nella pretesa di ingenti somme di denaro, ai danni di imprese operanti nei settori della raccolta dei rifiuti solidi urbani e delle costruzioni in generale o del movimento terra. Le ditte erano impegnate nello svolgimento di servizi ed opere, sia private che di interesse pubblico, i cui proventi sarebbero stati suddivisi tra le cosche alleate dei Condello, il cui potere si estendeva anche su Villa San Giovanni, centro limitrofo a Reggio, grazie ai collegamenti con i Buda-Imerti, secondo equilibri maturati in seguito alle sanguinose guerre di ‘ndrangheta che negli anni Ottanta e Novanta contrapposero il clan a quello dei De Stefano di cui i Condello erano originariamente alleati.

OBIETTIVO PONTE SULLO STRETTO

 Le cosche della ‘ndrangheta che operano nel comprensorio di Villa San Giovanni erano interessate anche gli appalti per la realizzazione del Ponte sullo Stretto, in particolare ai lavori cosiddetti premilinari per la grande infrastruttura.

DAL LATITANTE AGLI AFFARI

L’operazione “Sansone” è frutto del lavoro svolto in contemporanea dal Ros, incaricato sia delle ricerche di Domenico Condello, 60 anni, detto “U Pacciu”, inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi stilato dal Ministero dell’Interno, che delle attività di contrasto all’assetto associativo della cosca Condello, e dal comando provinciale di Reggio Calabria, interessato alle dinamiche criminali delle cosche Zito-Bertuca e Bud-Imerti, operanti nell’area di Villa San Giovanni, Fiumara e dintorni, nonché alle attività dei Garonfalo, operativi a Campo Calabro.

L’INFLUENZA NELLA ZONA VILLESE

Il punto di contatto delle due indagini è costituito dall’influenza della cosca Condello nell’area di Villa S. Giovanni e nelle zone limitrofe. Le indagini hanno messo in luce la presenza, nell’area villese, di una forte pressione estorsiva e di un controllo criminale esercitato congiuntamente, da più cosche, in modo capillare come attesterebbero le parole di uno degli indagati che, nel corso di un colloquio in carcere con la sorella e con il nipote, invitò i familiari a riferire ad un complice incaricato della riscossione dei proventi estorsivi di “non lasciare scampo a nessun”, indicando loro un imprenditore che doveva essere il primo a pagare.

Il controllo esercitato sul territorio era così ampio e penetrante che gli esponenti delle consorterie mafiose, oltre a condizionare la vita economica del territorio villese dove l’avvio di iniziative economico-imprenditoriali doveva ricevere il placet degli esponenti delle varie cosche, erano in grado di risalire agli autori dei furti in abitazione e di veicoli, dei danneggiamenti, e di attivarsi per la restituzione dei beni ai legittimi proprietari, anche dietro il pagamento di una somma di denaro.

ESTORSIONI E CONTRASTI NEI CLAN

 

I rapporti tra le cosche avrebbero anche fatto registrare criticità derivanti dalla duplicazione delle richieste estorsive tali da determinare, in alcuni casi, incontri diretti tra i referenti dei diversi schieramenti finalizzati a chiarire le rispettive posizioni.

Gli imprenditori costretti a pagare il “pizzo” operavano nei settori della raccolta dei rifiuti solidi urbani e delle costruzioni, con specifico riguardo al movimento terra. Il quadro che emerge, a detta degli investigatori, é quello di una forte pressione estorsiva e di un controllo criminale esercitato congiuntamente da più cosche in modo capillare.

I lavori pubblici svolti dalle imprese di costruzione vittime delle estorsioni sono stati, in particolare, quelli legati al cosiddetto “Decreto Reggio” ed ai proventi miliardari che ne derivarono nel corso degli anni.

 

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