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REGGIO CALABRIA – La Corte di Cassazione ha confermato la condanna a 16 anni per il “re dei videopoker”, Gioacchino Campolo, accusato di estorsione aggravata dalle modalità mafiose nei confronti di alcuni dipendenti delle sue aziende.

La Suprema Corte ha di fatto confermato la sentenza inflitta dalla Corte d’Appello, che aveva diminuito la pena rispetto ai 18 anni inflitti in primo grado.

La sentenza definitiva pronunciata dalla Cassazione tiene conto della ricostruzione dell’accusa secondo la quale Campolo avrebbe posto in essere due distinte estorsioni, nel 1998 e nel 2008, ai danni di due esercizi commerciali, per imporre l’utilizzo dei videogiochi forniti dalla ditta Are, di cui lo stesso Gioacchino Campolo (LEGGI TUTTE LE NOTIZIE SUL RE DEL VIDEO POKER) era titolare, nonché l’estorsione ai danni di alcuni dipendenti, che avrebbero percepito uno stipendio inferiore a quanto realmente dichiarato.

Nel primo episodio, secondo il capo d’accusa Campolo avrebbe agito in concorso con Mario Audino, ritenuto capo della omonima cosca operante nel locale di San Giovannello a Reggio Calabria, costringendo Vincenzo Morabito a togliere dal proprio bar-pasticceria-tavola calda, il ”Ritrovo Morabito”, gli apparecchi da gioco forniti da un’altra ditta per favorire la presenza di quelli della sua ditta. Nel secondo episodio, invece, sempre secondo il capo d’accusa, Campolo avrebbe agito in concorso con Andrea Zindato, ritenuto capo della omonima cosca del quartiere Modena di Reggio Calabria, e con un suo dipendente che è stato assolto in rito abbreviato, costringendo Carlo e Santina Giuffrè a togliere dal proprio esercizio commerciale, “Punto Snai” a Reggio Modena, gli apparecchi da gioco forniti da una ditta per favorire sempre quelli della Are.

La Corte d’Appello, in parziale accoglimento della richiesta dei difensori di fiducia di Campolo, gli avvocati Francesco Calabrese del foro di Reggio Calabria e Giuseppe Marazzita del foro di Roma, aveva ritenuto Campolo colpevole dei due episodi di estorsione del 98 e del 2008, ma ha escluso le due aggravanti: di aver posto in essere la condotta con persone mafiose, e quella sul numero delle persone riunite nel commettere il reato.
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