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Decine di presunti esponenti del clan Mancuso, tra i più potenti della ‘ndrangheta, sono stati fermati in diverse città d’Italia in un’operazione coordinata dall’antimafia di Catanzaro

VIBO VALENTIA – Maxi operazione, denominata “Costa Pulita” quella condotta stamani nelle province di Vibo Valentia, Cosenza, Como e Monza, da polizia, carabinieri e guardia di finanza per l’esecuzione di un provvedimento di fermo emesso dalla Procura distrettuale antimafia di Catanzaro nei confronti di 23 presunti boss e affiliati al clan dei Mancuso, operante nel Vibonese, ed alle cosche collegate Accorinti, La Rosa e Grande, attive nei comuni del litorale. Risulta ancora irreperibile il presunto boss Nino Accorinti, sfuggito all’operazione di oggi.

Le accuse sono di associazione di stampo mafioso, estorsione, intestazione fittizia di beni, detenzione e porto illegale di armi e sostanze esplodenti. L’operazione, denominata come detto “Costa pulita”, è stata condotta da personale delle Squadre mobili di Vibo Valentia e Catanzaro e del Servizio centrale operativo della Polizia di Stato, dai carabinieri del reparto operativo di Vibo Valentia e della Compagnia di Tropea e dai finanzieri del Gico di Catanzaro al termine di indagini dirette dai sostituti procuratori Camillo Falvo e Pierpaolo Bruni e coordinate dal procuratore della Repubblica facente funzioni Giovanni Bombardieri.

In particolare, le indagini, avviate nei primi mesi del 2013, hanno riguardato numerosi soggetti appartenenti, o comunque considerati contigui, al potente clan di ‘ndrangheta dei Mancuso, operante in tutto il territorio vibonese, e ad alcune delle consorterie collegate quali gli Accorinti, i La Rosa ed Il Grande, attive nei comuni del litorale tirrenico della provincia vibonese, colpendone vertici e sodali.

«L’indagine peraltro – fa sapere la nota – ha lambito contesti politici locali, in particolare di passate amministrazioni del Comune di Briatico e Parghelia» e contiene degli specifici riferimenti alle risultanze dell’accesso antimafia compiuto nel Comune di Briatico, poi sciolto per mafia nel 2012.

LE MINACCE AL GIORNALISTA – Nel mirino del clan Accorinti era finito anche il giornalista Pietro Comito. Le minacce al cronista sono ricostruite nelle oltre 1400 pagine del decreto di fermo. In un articolo Comito aveva scritto di un assessore che avrebbe svolto il ruolo di autista per un boss. Inoltre il giornalista aveva raccontato dei festeggiamenti di alcuni capi bastone dopo le elezioni amministrative.

Dopo gli articoli, gli investigatori hanno intercettato una conversazione nel corso della quale uno degli affiliati diceva: «Ha detto tuo padre che lo deve spaccare a quello come lo troviamo». Pochi giorni dopo in redazione era stata recapitata una lettere anonima: «O Petru Comito ta tagnu (ti taglio, ndr) a testa si scrivi subbu u Comuni i Briatico e fatti i cazzi toi…».

I SEQUESTRI – Durante l’operazione sono stati sequestrati beni per un valore di 70 milioni di euro. Tra questi ci sono oltre 100 immobili, quote societarie e rapporti bancari ed anche 2 villaggi vacanze e tre compagnie di navigazione con altrettante motonavi che assicuravano, secondo l’accusa, in regime di sostanziale monopolio, i collegamenti turistici con le isole Eolie. Durante le indagini, condotte anche con intercettazioni telefoniche, ambientali e video riprese, inoltre, sono state sequestrate diverse armi da fuoco e, nel 2014, sono stati arrestati, in flagranza di reato, alcuni elementi di spicco delle cosche mentre si accingevano a fare un attentato mediante l’utilizzo di un potente ordigno esplosivo.

I POLITICI COINVOLTI – Tra i soggetti con responsabilità pubbliche sottoposti ad indagini, è emersa la figura dell’attuale presidente della Provincia di Vibo Valentia, Andrea Niglia, e quella dell’ex vice sindaco del Comune di Parghelia, Francesco Crigna.

L’accusa ipotizzata dalla Dda di Catanzaro nei confronti di Andrea Niglia è concorso esterno in associazione mafiosa. La casa di Niglia è stata perquisita stamani. Secondo l’accusa, in qualità di sindaco di Briatico, si sarebbe attivato per favorire la cosca Accorinti. In particolare, per la Procura, l’ex primo cittadino avrebbe posto in essere «condotte riservate e fraudolente tese a salvaguardare l’attività del villaggio Green Garden costituente una delle principali fonti di guadagno della cosca».

Niglia era stato eletto presidente della Provincia di Vibo il 28 settembre 2014 con l’appoggio dei renziani del Pd, esponenti di Ncd, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il 20 marzo scorso la Cassazione ha stabilito l’incandidabilità e quindi la decadenza. Contro questa decisione lo stesso Niglia ha annunciato di aver avviato un’azione di sospensiva e revoca dell’atto. Da parte sua l’esponente politico ha affermato che «l’informazione di garanzia è un atto a mia tutela che mi consentirà di dimostrare la mia completa estraneità in vicende che risalgono a diversi anni fa. Ho dato, pertanto, mandato ai miei legali di avviare i procedimenti previsti dalla legge per farmi sentire, al più presto, dal Pubblico Ministero. Intendo, infatti, mettermi a completa disposizione dall’autorità giudiziaria, sicuro della mia assoluta estraneità ai fatti oggetto di indagine».

Crigna è considerato in stretto contatto con esponenti della famiglia Il Grande, referenti, in quel comune, della potente cosca Mancuso. Secondo la polizia le imprese edili e di movimento terra facenti capo al gruppo e dopo l’alluvione che ha colpito il piccolo centro del vibonese nel febbraio-marzo 2011 sono state affidatarie, in via quasi esclusiva, di una serie di lavori per il ripristino di strade e dell’alveo di torrenti, spesso indebitamente assegnati con una procedura di “somma urgenza” che permetteva alla discrezionalità di quel Comune la scelta della ditta.

Nel corso delle indagini è anche emerso che Crigna avrebbe falsamente attestato, in favore di un componente della famiglia Il Grande, il possesso dei requisiti necessari alla assegnazione di un alloggio da parte dell’Aterp di Vibo. Tale attività avrebbe permesso all’esponente politico di ottenere come contropartita l’impegno a reperire voti a favore dell’amministratore pubblico e di altri suoi alleati politici in occasione di consultazioni elettorali.

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