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Un impianto Gazprom

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A una settimana dall’avvio dell’aggressione russa all’Ucraina, sul terreno dramma e brutalità dominano. Siamo di fronte a un conflitto che sta pesantemente colpendo la popolazione civile. Il quadro militare è difficile da interpretare, con informazioni frammentate, parziali e impossibili da verificare. Nonostante tutto ciò, alcuni punti fermi si possono individuare.

PUTIN, QUATTRO GUERRE PERSE

Il primo di questi riguarda Putin e le ricadute della decisione assunta il 24 febbraio scorso. Sperando nella conferma di una tregua “umanitaria”, l’inquilino del Cremlino ha già perso quattro guerre: quella del diritto internazionale, con la sua aggressione brutale e immotivata all’Ucraina; quella della comunicazione, dove giudicando la classe dirigente ucraina (e in primis il suo presidente) un manipolo di nazisti, ha trasformato la non esente da critiche leadership di Kiev nel simbolo di una resistenza eroica.

La terza guerra perduta è quella economica, visto che anche le banche cinesi hanno bloccato i loro trasferimenti in dollari, lasciando aperta soltanto la quota (ben minore) in yuan. E infine la guerra della diplomazia, avendo portato la Germania su posizioni impensabili e spingendo Finlandia e Svezia verso la Nato.

È davvero difficile ipotizzare per Putin un’uscita dal tunnel nel quale si è infilato. Come di recente ha ricordato l’economista premio Pulitzer Daniel Yergin:«Una cosa è certa: da qui non si torna indietro». Come potrà Putin ottenere la finlandizzazione dell’Ucraina dopo aver condotto una guerra tradizionale sul terreno? E, soprattutto, dopo aver fatto scattare sanzioni durissime, aver bombardato la cittadinanza e aver scelto la via del cambio di governo brutale? L’idea che si apra uno scenario di pacificazione interna e internazionale appare davvero distante anni luce.

A un Putin che sembra aver commesso azzardi evidenti si deve poi accostare un Occidente euro-atlantico che, nel tentativo di porre rimedio a errori, semplificazioni e trascuratezze passate, ha mostrato in questi giorni volontarismo e azioni concertate.

Le istituzioni di Bruxelles si sono adoperate per mantenere la compattezza, in particolare sul fronte delle sanzioni. L’asse franco-tedesco ha agito in armonia in una logica da “poliziotto buono” (Macron e il canale diretto aperto con Putin, così come nel recente intervento televisivo nel quale ha fatto molta attenzione nel non giudicare come nemico il popolo russo) e “poliziotto cattivo” (Scholz, le armi vendute all’Ucraina e l’aumento del bilancio per la Difesa).

Gli Usa sono realmente tornati in Europa, almeno da un punto di vista della propaganda e del sostegno economico. Peraltro, l’America del dopo discorso sullo stato dell’Unione si scopre maggioritariamente solidale e compatta dietro al suo comandante in capo.

CINA E TURCHIA

Se Putin si è rovinato la reputazione internazionale in una settimana di guerra, se la Ue e l’alleato statunitense hanno visto salire il loro livello di attivismo nell’alveo delle relazioni internazionali, vi sono ancora due soggetti da tenere in grande considerazione: Cina e Turchia. Pechino e Ankara osservano (compiaciute) sul bordo del torrente, in attesa di accogliere qualche “cadavere eccellente”.

Un’istantanea del loro ambiguo attendismo la si può ottenere guardando al voto dell’Assemblea generale delle Nazioni unite sulla risoluzione di condanna dell’attacco russo all’Ucraina. A favore della risoluzione si sono avuti 141 voti, le astensioni sono state 34 e i contrari solo 5. Ebbene la Turchia ha votato a favore della condanna e la Cina si è astenuta (tra le astensioni “eccellenti” anche India, Pakistan e Iran).

Ankara e Cina, in realtà, non hanno assunto posizioni diplomatiche nette sulla guerra. Pechino ha agito con il chiaro obiettivo di poter giocare una mediazione tra Russia da un lato e blocco euro-atlantico dall’altro, ma nel frattempo svolgendo il ruolo di parziale supporto per Mosca messa in ginocchio dalle sanzioni.

Se condotta in porto, la mediazione potrebbe garantire migliori entrature con i Paesi europei e una sorta di diritto di tutela nei confronti di Mosca (ragione per la quale Putin in realtà non ha mai sino in fondo creduto all’asse Pechino-Mosca, mai paritario). Ankara dal canto suo non ha il peso economico e politico per svolgere un ruolo di mediazione, almeno in via esclusiva. Può però sfruttare la situazione di sovraesposizione militare russa, per acquisire posizioni in Africa (Libia ma non solo). Dall’altro lato, mantenendo aperto un canale con Mosca, può comunque candidarsi a tassello decisivo del rapporto con il mondo euro-atlantico, non dimenticando il ruolo ancora decisivo della Turchia nella Nato.

IL PARADOSSO

A questo breve tour d’horizon manca un tassello, potenzialmente decisivo. Un autocrate fuori controllo, un’alleanza in apparenza compatta e volitiva, due “osservatori interessati” e  un barlume di speranza, legato ad un paradosso.

Da più parti si è levato il coro delle critiche nei confronti dei principali Paesi europei che, pagando la bolletta russa del gas e degli idrocarburi, starebbero più o meno indirettamente finanziando con circa 700 milioni di euro al giorno la guerra russa all’Ucraina. Naturalmente questo tema apre a quello più ampio dell’eccessiva dipendenza da un solo fornitore. Il 64% del gas prodotto dalla Russia finisce in Europa. È una dipendenza sicuramente eccessiva, che deve però essere interpretata nella sua interezza e senza ambiguità. In particolare, rispetto al gas (il discorso è un po’ differente per il petrolio), la dipendenza è biunivoca: noi dipendiamo dal gas russo e il gas russo solo con grandi difficoltà, e in un orizzonte medio-lungo, potrà eventualmente essere dirottato su altri compratori. L’equazione sembra di facile risoluzione: diversifichiamo e intanto tiriamo la cinghia per consumare meno gas russo.  Ma attenzione: qui risiede il vero paradosso “virtuoso”. In un contesto di oramai totale incomunicabilità, con il rischio di incidente con la Nato sempre più alto ogni giorno che si protrae il conflitto, l’interconnessione tra Russia ed Europa per ragioni energetiche è l’ultima barriera all’ipotesi bellica a tutto campo. Che senso ha, da un punto di vista russo, arrivare a minacciare direttamente il proprio miglior “cliente”? E, allo stesso modo, sono pronte le classi dirigenti europee a spiegare ai propri cittadini (ed elettori) che per l’immediato futuro non vi saranno altro che prezzi alle stelle e austerità nei consumi energetici?

Chi invoca la pace in astratto non contribuisce in nulla a una possibile risoluzione del conflitto. Per scongiurare il terzo conflitto mondiale servono un mix virtuoso di volontarismo euro-occidentale, eroismo del popolo ucraino e realismo dei principali attori sullo scenario mondiale. Quando tutti i ponti saranno distrutti, parleranno solo le armi e allora la tragedia sarà compiuta. Evitare questo scenario resta al momento di vitale importanza.


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