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La Camera dei Deputati

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Il rinvio è tecnico legato a un errore dell’Istat, ma i problemi sono urgenti. Nonostante il molto fatto dal governo Draghi anche se non riconosciuto per motivi di propaganda politica. È vero che senza conoscere i dati della correzione non si possono determinare i margini per gli interventi, ma dobbiamo almeno renderci conto che siamo complementari con la Russia (loro hanno le materie prime, noi il manufatto) e che invece non lo siamo con gli americani. Siamo davanti a una situazione pericolosissima di incertezza della guerra che mette a rischio 100 mila imprese agricole e pesa sulle filiere produttive strategiche del Paese. Non a caso il Mef su spinta di Franco e Giorgetti, ha messo un miliardo l’anno da qui al 2030 per sostenere l’automotive e 500 milioni sui microprocessori. Questo significa fare azioni di politica industriale. Abbiamo alle spalle l’anno peggiore della storia dei mercati obbligazionari con i tassi globali che salgono (6,3%) per colpa dell’inflazione che cresce in Europa a causa della guerra e dei conseguenti rincari delle materie prime. Le banche centrali sono alla prese con la loro bestia nera che è l’inflazione e vogliono combatterla anche a costo di rallentare l’economia o di entrare in recessione. L’unica speranza vera per l’Italia è che gli sforzi diplomatici abbiano successo, e il ruolo crescente che sta assumendo dietro le quinte, su pressione dell’Ucraina e riaprendo un dialogo con Putin, non va sottovalutato

Il documento di economia e finanza (Def) doveva essere anticipato prima della fine di marzo, ma non sarà così. Doveva essere anticipato perché l’urgenza delle questioni economiche che il doppio shock esogeno, pandemia e guerra, pongono alla manifattura e, ancora di più, all’agro-alimentare non ammettono distrazioni e ritardi. Siamo l’unico Paese europeo che dipende dallo Stato aggressore, la Russia, per l’energia, e dallo Stato aggredito, l’Ucraina, per le materie prime agricole, oltre che per i tubi di passaggio del gas russo.

Siamo oggettivamente quelli messi peggio di tutti. È impossibile nel breve, oneroso e complicato nel medio termine, sostituire il gas russo con quello liquefatto americano. Per l’agricoltura ci si è messa anche la siccità tanto per non farci mancare nulla. Sottraendoci al gioco nefasto delle aspettative che moltiplicano sempre tutto, siamo nell’ordine di centomila imprese agricole a rischio e, in caso di guerra lunga, di pezzi vitali dell’economia produttiva italiana che possono saltare nonostante il molto fatto dal governo Draghi anche se non riconosciuto per motivi di propaganda politica. Il conto spannometrico, perché la variabile effettiva della durata della guerra è decisiva e nessuno la conosce, anche qui è nell’ordine di decine e decine di miliardi non saldabile senza un adeguato intervento europeo diretto.

Il Def slitterà al 5 aprile perché l’Istituto italiano di statistica, l’Istat, uscirà il giorno prima con la correzione del prodotto interno lordo (Pil) del 2021 che aveva comunicato a marzo. Il rinvio viene presentato e ha tutto il significato di un rinvio tecnico, ma poggia su un errore dell’Istat che prima comunica un dato e poi lo corregge e, soprattutto, quello che conta per noi, è che lo corregge in peggio perché il quadro peggiora. È vero che senza conoscere i dati della correzione non si possono determinare i margini per gli interventi, ma quello che capiamo da questa situazione è che c’è la conferma di un ulteriore peggioramento del quadro macroeconomico. Che nel primo e nel secondo trimestre prevede come altamente probabile uno scenario italiano di recessione tecnica pur in presenza di una ipotizzata crescita sotto il 3% (senza guerra eravamo al 4,7%) e solo grazie al trascinamento ancorché ridotto del 2021.

Parliamoci chiaro. Il gas liquefatto americano costa a noi molto di più. Non abbiamo i rigassificatori e dobbiamo fare due navi galleggianti nuove a spese di Saipem che è a sua volta messa malissimo. Per non parlare del fatto che dobbiamo poi realizzare il tubo che in qualche spiaggia italiana dovrà pure entrare per collegare la nave alla terraferma. I prezzi sono fissati giorno per giorno e quindi ci sono volatilità e maggiori possibilità di speculazione. In tutto, quello che ci danno gli americani sono 15 miliardi di metri cubi contro i 150 miliardi a regime (2021) che ci dava la Russia.

Capite che tipo di problema esiste per noi? Capite che anche il canale privilegiato che avremo con l’Africa, grazie all’Eni inchieste giudiziarie a parte, non ci permetterà di fare a meno della Russia? Questa è la verità, chi dice il contrario racconta storielle. Il governo Draghi, e il ministro Franco in particolare, sono i più consapevoli di tutti e senza fare scostamenti di bilancio hanno tassato gli extraprofitti e messo di loro molto (16 miliardi). A questo punto, non gli resta che sperare che il prezzo del gas scenda perché se scende a livelli un po’ più bassi permette di ripartire in modo diverso. Dovremmo certo usare meno energia quando non è fondamentale per noi, bisogna stare attenti così come bisogna lavorare sull’offerta del petrolio perché qui i margini di manovra sono maggiori. Certo, non è una passeggiata.

Un po’ alla volta si può ricostruire la nuova situazione, ma dobbiamo almeno renderci conto che siamo complementari con la Russia (loro hanno le materie prime, noi il manufatto) e che invece non siamo complementari con gli americani. Siamo davanti a una situazione pericolosissima di incertezza della guerra che pesa sulle filiere produttive del Paese strategiche. Che hanno problemi importanti e, non a caso, prudentemente senza che nessuna delle organizzazioni imprenditoriali lo chiedesse, il ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) su spinta di Franco e Giorgetti, ha messo un miliardo l’anno da qui al 2030 per sostenere l’automotive, solo quest’anno (2022) 700 milioni, e ha messo parallelamente 500 milioni sui microprocessori. Anche se questa partita è più complicata perché a parte Stm non abbiamo produttori nostri di microprocessori. Questo per noi significa fare azioni di politica industriale. Rendiamoci conto che abbiamo alle spalle l’anno peggiore della storia dei mercati obbligazionari con i tassi globali che salgono (6,3, nel ’94 altro anno record era 2,9) per colpa dell’inflazione che cresce soprattutto in Europa a causa della guerra e dei conseguenti rincari delle materie prime. Rendiamoci conto che le banche centrali per colpa della guerra sono alla prese con la loro bestia nera che è l’inflazione e che vogliono combatterla anche a costo di rallentare l’economia anche a costo di entrare in recessione.

Capite che questo circolo della storia è brutto per tutti, ma di più per l’Italia a causa del suo carico di fragilità pregresse a partire dal maxi debito pubblico. Dobbiamo fare di più e lo faremo comunque, costi quel che costi, ma avendo ben presente che i tempi dell’Italia non coincidono con i tempi dell’Europa per cui debito comune e fondo diretto potrebbero arrivare troppo tardi. Se si mantiene sangue freddo si capisce che l’unica speranza vera per l’Italia è che gli sforzi diplomatici abbiano successo, e il ruolo crescente che l’Italia sta assumendo dietro le quinte su pressione dell’Ucraina e riaprendo un dialogo con Putin non va sottovalutato. Forse, all’interno della condanna spietata dei crimini di guerra di Putin e di una saldissima alleanza atlantica che ci ha fatto sottoscrivere sanzioni economiche mai viste che hanno raso al suolo l’economia russa, sarebbe bene tutelare un sentiero stretto di trattative serrate che porti all’unico epilogo possibile per tutti che è la pace. Una classe politica di governo che si rispetti deve avere bene a mente che l’Italia può anche cambiare tutto nella sua politica energetica, ma ha bisogno di tempo, di molto tempo. Nel passaggio chi ci va di sotto sono le nostre imprese e i nostri agricoltori. Diciamo che ci giochiamo il futuro e questo è troppo.


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