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Raffaele Fitto

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Il metodo della pre-negoziazione utilizzato sugli obiettivi della quarta rata e ripetuto per i cambiamenti avviati con la rimodulazione è quello che funziona. Sono già due o tre mesi che gli uffici tecnici della Commissione europea “masticano” i singoli nuovi obiettivi e questo taglia i tempi dell’esame formale. Questa tattica è quella giusta e produce decisioni formali in tempi molto stretti rispetto a quelli della presentazione formale della richiesta. Non ci sono i problemi di fabbisogno pubblico paventati e c’è finalmente un Progetto Paese attuabile che vede il Sud come centro, non periferia, e sul quale si gioca la partita del debito comune europeo che la Von der Leyen non vuole perdere.

Eravamo stati molto chiari ieri mattina. Chi fino a oggi non ha fatto passare giorno senza gettare ombre, allarme o panico sul lavoro del ministro Fitto, deve avere almeno la dignità di chiedere scusa pubblicamente. Perché fare i conti con la realtà e sporcarsi le mani per risolvere i problemi non appartiene alle buone pratiche italiane ed è, invece, esattamente quello che ha fatto in questi mesi il ministro con il quale Giorgia Meloni ha compiuto una scelta politica di competenza innovativa.

Ha deciso, per la prima volta, di riunire sotto un solo dicastero, collocato presso Palazzo Chigi, tutte le deleghe europee che significano Mezzogiorno, affari europei, Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr), fondo di coesione e sviluppo, coesione. Sono le chiavi della politica economica di sviluppo del Paese che passa attraverso la leva degli investimenti pubblici e di tutti quelli privati che a loro volta i primi mobilitano nazionali e internazionali. In questo caso fare i conti con la realtà e sporcarsi le mani, significa misurarsi con un muro di incapacità del Paese di fare spesa pubblica produttiva elevato di anno in anno, pietra su pietra, a causa della frammentazione decisionale regionale e di uno svuotamento di competenze e di poteri delle amministrazioni centrali.

Decidere di fare le cose sul serio avendo davanti un muro così pesante di micro interessi che vivono di clientele legate alla stasi del fare, significa scontrarsi con i più insidiosi dei poteri corporativi di questo Paese. Facciamola breve. Ieri la Commissione europea ha dato il via libera definitivo alla erogazione della terza rata del Pnrr e, cosa straordinariamente più importante, ha approvato a tempi di record le modifiche degli obiettivi (10 su 27) legati alla quarta rata. Valgono insieme 35 miliardi.

Questo significa che la strategia di negoziazione preventiva con l’Europa voluta a tutti i costi da Fitto su ogni singolo dossier ha permesso al Paese di fare un salto di qualità assoluto. Mentre tutti ci davano per spacciati avevamo provocatoriamente titolato “Siamo i primi”. Perché sapevamo come stavano davvero le cose. Tutto qui. Il punto non è tanto l’ok scontato all’erogazione della terza rata, data invece per persa fino a qualche settimana fa, quanto la rapidità con cui è arrivato il via libera alla rinegoziazione degli obiettivi della quarta rata che fa bene sperare per la rimodulazione operata l’altro giorno. Come con la quarta rata si è compiuta anche qui una scelta netta di uscire dalla logica delle mance distribuite a destra e a manca peraltro spesso inammissibili (il Pnrr non finanzia gli interventi dei Comuni sulle strade) o in bilico sulle scadenze a favore di progetti strategici affidati a soggetti energetici attuatori di maggiore capacità esecutiva.

Quello che emerge, soprattutto, è che il metodo Fitto della pre-negoziazione già utilizzato sugli obiettivi della quarta rata e ripetuto per i cambiamenti avviati con la rimodulazione è quello che funziona. Sono già due o tre mesi che gli uffici tecnici della Commissione europea masticano i singoli nuovi obiettivi, dossier dopo dossier, e questo taglia i tempi dell’esame formale. Questa tattica funziona e produce decisioni formali in tempi molto stretti rispetto a quelli della presentazione formale della richiesta. I problemi di fabbisogno pubblico paventati da tutti semplicemente non esistono e tra quarta rata e rimodulazione prende forma il vero Piano nazionale di ripresa e di resilienza che farà del Mezzogiorno d’Italia il grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo e assicurerà sostegno al mondo delle imprese del Nord come del Sud favorendo con la leva fiscale gli investimenti nella transizione verde e nell’innovazione.

La rapidità con cui è avvenuto il doppio sblocco europeo per l’Italia mette a nudo pubblicamente anche la convergenza di interessi tra governo italiano e Commissione europea. A spingere affinché vada assolutamente avanti il nostro Pnrr è proprio la guida della attuale Commissione che ha nella partita del debito comune di sicuro la sua mossa strategicamente più rilevante compiuta. Una mossa che intende valorizzare in ogni modo alla vigilia delle nuove elezioni politiche europee.

È evidente che su questa partita si gioca gran parte delle aspettative di riconferma di Ursula von der Leyen. L’Italia che ha in mano la quota nettamente più rilevante del nuovo Pnrr e, quindi, della partita più importante dell’attuale governo della Commissione ha dimostrato fiuto politico e capacità tecnica. C’è stato un gioco di squadra di Giorgia Meloni, Raffaele Fitto, Antonio Tajani che ha consentito a tutti di verificare sul campo che gli italiani sono capaci di rispettare le regole e sanno muovere con abilità. Questa è la morale del doppio verdetto europeo di ieri.

Parliamoci chiaro. I risultati sono frutto di tante scelte, ma tre prima di ogni altra. Avere messo in campo Eni, Enel, Terna, Snam e soggetti credibili nella operatività. Avere lavorato in silenzio su progetti seri ed averli sottoposti al vaglio preventivo della Commissione sotto l’egida di un lavoro che ha coinvolto insieme soggetti economici e amministrazioni. Avere avuto il coraggio di fare preventivamente l’operazione verità perché è stata l’Italia a togliere di mezzo il miliardo e mezzo di progetti vari per rifare le strade di questo o quel Comune che sarebbero stati respinti perché inammissibili esattamente come era avvenuto per lo stadio di Firenze. Dimostrare serietà preventiva aiuta sempre rispetto a dovere correggere dopo, perché toglie all’Italia quella patina di furbetti che tradizionalmente ci accompagna.

Diciamo che la vera sfida che l’Italia ha vinto è quella della credibilità come progettisti. Per la nostra storia e per tutte le diffidenze che hanno accompagnato l’avvento del governo della Destra è un risultato affatto scontato. Ora inizia la partita più difficile perché dobbiamo conquistare sul campo la credibilità come realizzatori. Non sarà una passeggiata perché si parte con ritardi strutturali importanti e c’è un’opposizione del Pd che assomiglia in tutto a quella grillina e non persegue, dunque, l’interesse nazionale.

La vera abilità del governo Meloni dovrà essere quella di rompere questo muro del no che scambia un presunto microscopico trofeo elettorale con il suo forte interesse a incidere con competenza nella determinazione dei risultati e nella gestione degli interventi. Quell’interesse nazionale a mettersi tutti alla stanga che il nostro Presidente Mattarella ha voluto ripetere rievocando la forza del miracolo economico degasperiano che ebbe in questo spirito comune il suo motore propulsivo.


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