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La logica dei fatti e dei numeri mette tutti davanti alle proprie responsabilità. Davanti alla realtà di ciò che non funziona e di cui bisogna tenere conto per cambiare la situazione. Non sono carenze fattuali di una parte politica, ma di un sistema che il Paese si tira dietro da trent’anni. Lo stesso lavoro preventivo certosino fatto per la terza e quarta rata in comune accordo con la Commissione europea ci dovrà accompagnare fino alla decima rata della scadenza di giugno 2026. È quello che si dovrà fare con serietà assoluta su tutti i grandi progetti di rigenerazione delle aree metropolitane e contro il dissesto idrogeologico, dialogando intorno allo stesso tavolo sindaci e ministro, governance italiana e governance europea.

NON SI possono nascondere problemi reali e si sta facendo un lavoro serio e costruttivo perché non si perda neppure un euro del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) e di tutti i fondi europei. La logica dei fatti e dei numeri mette tutti davanti alle proprie responsabilità. Davanti alla realtà vera che è quella di ciò che non funziona e di cui bisogna tenere conto per cambiare la situazione. Non sono carenze fattuali di una parte politica, ma di un sistema che il Paese si tira dietro da almeno trent’anni. Quindi il problema non è se c’è la destra o la sinistra. Quello che non funziona, non funziona e basta. Dunque, non funzionerebbe né con la destra né con la sinistra a patto che non si cambia il sistema.

Comprendiamo perfettamente che le grandi democrazie devono fare i conti con lo stereotipo di una opposizione che deve sempre dire male del governo. Perché riconoscere il buono che si è fatto, che in questo caso vuol dire 35 miliardi messi in sicurezza di terza e quarta del Pnrr e una visione di Piano con al centro l’energia fino al 2026, significherebbe rinunciare alle ragioni politiche costitutive di chi ha come obiettivo primario quello di scalzare il governo attribuendo alla coalizione che lo sostiene un vantaggio difficilmente recuperabile da parte delle opposizioni. Detto questo, però, si potrebbe almeno prendere atto che siamo un Paese che per una serie di circostanze storiche nella spesa pubblica produttiva funziona male. Altrimenti, di polverone in polverone, si può anche arrivare al cambio della guida del treno, ma assisteremmo solo al cambio del macchinista dello stesso treno che deraglierebbe comunque.

Che cosa vogliamo fare, mi chiedo, perché il treno non deragli e perché questo sistema torni a funzionare per l’oggi e per il domani? Perché, a nostro avviso, questo è l’interesse di chiunque vada al governo. Vengono fuori le solite piccole furberie all’italiana per cui si demoliscono e ricostruiscono posti di studentato e si vogliono fare passare come posti nuovi e questo la Commissione ce lo boccia. Se si prendono i progetti in essere svuotando i cassetti dei Comuni anche questa è la solita furberia all’italiana per la quale ciascuno cerca di portare a casa qualcosa che in modo diverso non avrebbe potuto avere e si cerca di piegare un intervento straordinario che deve avere finalità straordinarie di sviluppo a soluzioni ordinarie di problemi ordinari per i quali esistono altri fondi già previsti, come il fondo di coesione e sviluppo, la coesione e il piano complementare. Il caso dello stadio di Firenze è emblematico, ma i progetti di questo tipo di cui sono soggetti beneficiari i Comuni sono decine di migliaia con micro progetti da 900 euro per una ringhiera a altri da 1100 euro per un ascensore e comunque tutti singolarmente sotto i centomila euro.

Siamo convinti che questo tipo di interventi sia rendicontabile rispetto ai principi della Commissione europea e possano superare l’esame a campione del Pnrr? Siamo convinti che il miliardo per la viabilità sia realizzabile e rendicontabile? Sappiamo o no che gli interventi sulle strade sono escluse dal Piano? Vogliamo fare finta di niente e aspettare un anno e mezzo o due per sentirci dire che siamo stati incapaci, che il progetto è inammissibile, e che abbiamo perso i soldi? Lo stesso lavoro preventivo addirittura certosino fatto per la terza e quarta rata in comune accordo con la Commissione europea ci dovrà accompagnare fino alla decima rata della scadenza di giugno 2026. È quello che è stato fatto con Cinecittà, con il progetto di tecnologia satellitare, con la sperimentazione dell’idrogeno. È quello che si dovrà fare con serietà assoluta su tutti i grandi progetti di rigenerazione delle aree metropolitane e contro il dissesto idrogeologico, dialogando intorno allo stesso tavolo sindaci e ministro, governance italiana e governance europea. Se è necessario, come è accaduto con l’alluvione in Emilia-Romagna, coinvolgendo i massimi livelli che sono la presidente della commissione europea, Ursula von der Leyen, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. È un lavoro che va fatto a tempo pieno senza furori ideologici coinvolgendo tutte le amministrazioni centrali e territoriali e ricostruendo quel sistema di organizzazione, di comando, di gestione e di esecuzione che si è avuto in altri periodi storici e con la legge obiettivo e poi mai più. Questa è la sacrosanta verità che è del tutto incompatibile con il linguaggio da comizio elettorale della segretaria del Pd che senza confrontarsi con un solo fatto enunciato parla di gioco delle tre carte retrocedendo un partito di grande tradizione politica e di governo al livello della prima stagione grillina che resta in assoluto l’esempio massimo mai superato di demagogia e analfabetismo.

Sono fatti che su 720 milioni destinati alle aree interne è stato speso poco più del 7% pari a 18,2 milioni. Sono fatti che sui beni confiscati alle mafie il termine per l’aggiudicazione anticipata era al 30 giugno del 2023 e ad agosto non si è visto niente. Fino a quando si continuerà a speculare politicamente contro gli avversari nascondendo la realtà o, come in questo caso, addirittura coprendo le proprie responsabilità? Sono fatti che c’è una contraddizione evidente nei piani urbani integrati tra gli stati di avanzamento dei lavori e le garanzie che vengono date in pubblico su progetti in essere del 2020 messi dentro alla rinfusa e una verifica interna e europea con un Codice unico di progetto (Cup) che è addirittura già fissata al 30 luglio del 2023 non del 2026. Se, come è giusto e sacrosanto vanno salvati in primis il progetto Scampia a Napoli e quelli altrettanto importanti di Bari e Genova, invece di usare un linguaggio ideologico le opposizioni chiedano al ministro di vincolare per iscritto gli impegni necessari per garantire nessuna interruzione nei finanziamenti. Così come altrettanto deve fare chi ha la responsabilità sul territorio per il rispetto dei suoi numerosi impegni assunti nei confronti di governo e Europa. Questo significa ragionare da sistema Paese e occuparsi davvero della centralità del Mezzogiorno nel piano di rinascita europeo e italiano.

Il cuore strategico della nuova scommessa del Piano nazionale di ripresa e di resilienza che va sotto il nome di Repower Eu riguarda le grandi reti energetiche, la transizione energetica e la filiera produttiva. Non solo si sono coinvolti i grandi player che danno maggiori garanzie come soggetti attuatori e si è resa concreta la sfida del Mezzogiorno come grande hub energetico e manifatturiero del Mediterraneo a sua volta pezzo strategico del Piano Mattei di sviluppo alla pari con il Nord Africa e il Mediterraneo allargato, ma si è affiancato questo cammino con sei riforme di assetto che riguardano le fonti rinnovabili, la formazione delle risorse umane private e quella specialistica della pubblica amministrazione fino al testo unico relativo alle concessioni per le fonti rinnovabili e alla realizzazione dei singoli investimenti.

Emerge, dunque, una visione di sviluppo coerente del nostro Paese che affianca ai grandi progetti strategici un altro piano di incentivi fiscali a imprese e famiglie per efficientamento energetico che permettono di cogliere appieno la dimensione internazionale della grande questione energetica e delle materie prime e di mettere a terra la soluzione strutturale anche per il futuro del problema italiano della sua indipendenza energetica e del suo ruolo nel Mediterraneo. Perché nulla permette di escludere per la complicazione del quadro geopolitico e la forte ascesa dei regimi autocratici di doversi ritrovare con una nuova situazione di emergenza come è avvenuto con Putin che ha usato i rubinetti di gas e petrolio come armi da guerra. Crediamo che sia ampiamente scaduto il tempo della bolla politica e della furia ideologica. Questo deve valere in eguale misura per tutti i soggetti coinvolti. Nessuno escluso.

Servono: 1) serietà e responsabilità evitando polemiche e fornendo contributi di merito sui punti sollevati da parte di tutti i singoli soggetti per la parte che li riguarda oggetto di discussione; 2) si prenda atto che la nuova governance ha funzionato ed è stata risolutiva per molti dei problemi emersi e lavorino tutti perché questa nuova governance eserciti al meglio la delega allargata al fondo di coesione e sviluppo, Piano complementare e coesione oltre che alla realizzazione in toto di tutto il complesso delle riforme di struttura concordate a partire da quelle dei taxi, dei balneari, della concorrenza e di ogni tipo di giustizia.

Le modifiche sono tutte ben accette se utili alla soluzione dei problemi avendo bene a mente le raccomandazioni messe per iscritto dalla Commissione europea che hanno chiesto a tutti i Paesi europei di riunire le deleghe (cosa fatta sua sponte dall’Italia in tempi anticipati) e solo a noi di risolvere il problema di incapacità amministrativa sub nazionale. Che tradotto significa: risolvete il problema delle Regioni che bloccano tutto e semplificate i livelli decisionali; cosa che peraltro consentirebbe di dare maggiore forza ai sindaci innovatori del Sud, penso a Napoli e Bari, che stanno facendo un grande lavoro e sono spesso intralciati proprio dalla Regione di turno. De Gasperi, Campilli, Pescatore che gestirono un programma analogo di sviluppo con dollari americani e poi finanziamenti europei agirono in un contesto dove si dava per scontato che c’era una parte del Paese che non fosse in grado e c’erano, quindi, più realismo e meno ideologia nella gestione di ogni passaggio esecutivo.

Oggi, purtroppo, ci sono le Regioni e, indipendentemente da chi è più o meno efficiente, bisogna fare i conti con le complicazioni istituzionali che ci siamo costruiti da soli. Prima ne prendiamo atto e prima ci impegniamo tutti insieme a superare i colli di bottiglia che ci siamo autoimposti, meglio è per tutti. Il resto è solo rumore. Purtroppo neppure fastidioso, ma nocivo allo stato puro. Dobbiamo liberarci tutti insieme da queste tossine velenose.


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