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Sergio Mattarella e Mario Draghi

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Trasferire l’idea che tutto possa essere coperto da spesa pubblica oltre ogni ragionevolezza e quasi sempre per soddisfare prepotenze che allargano le diseguaglianze è molto pericoloso.  Facciamo i conti con le mosche impazzite delle nuove leadership giovanili della politica che sparano numeri al lotto perché non hanno fiducia in loro stessi. Dobbiamo dargliela perché di propaganda si muore e il Paese intero ne resta ammaccato.  L’equazione di bilancio riuscita del governo Draghi “più crescita uguale meno debito meno deficit” regala un boost che può cambiare stabilmente la posizione di affidabilità internazionale dell’Italia. Va consolidata rendendo esecutive le riforme della amministrazione, della giustizia, degli investimenti pubblici a partire dal Sud e cancellando i vizietti delle sanità regionali dei ricchi.

Assistiamo ogni giorno allo spettacolo di politici che senza ridere parlano di scostamenti di trenta miliardi. A volte hai la sensazione di assistere a una specie di riffa miliardaria: due, no quattro, otto, cifra tonda, facciamo venti. Questo spettacolo in un Paese pieno di debiti suscita indignazione perché in ognuno di questi atteggiamenti da parte della classe politica e dei media che se ne fanno acriticamente megafono scopri la distanza siderale che li separa dalla realtà. Non c’è nulla di più diseducativo di questo atteggiamento. Trasferire l’idea che tutto possa essere coperto da spesa pubblica oltre ogni ragionevolezza e quasi sempre per soddisfare prepotenze che è l’esatto contrario della lotta alle diseguaglianze è davvero pericoloso. Facciamo i conti con le mosche impazzite delle nuove leadership giovanili della politica e ti accorgi che vanno a tentoni perché non hanno fiducia in loro stessi. Dobbiamo stare molto attenti perché di tattica si muore e il Paese intero ne resta ammaccato.

Se usciamo da questo mondo del nulla scopriamo che la stabilità istituzionale che ruota intorno a due figure che sono Sergio Mattarella e Mario Draghi sta dando già i suoi frutti, ma ha bisogno di una fiducia nuova, contagiosa, che si stabilizzi oltre loro e metta insieme l’intero sistema Italia. Bisogna che i parlamentari italiani di qualunque appartenenza politica si rendano conto che avere ridotto rispetto ai target del Conte 2 di quasi dieci punti il rapporto debito/pil nell’anno più buio e presentarsi a fine corsa con un disavanzo/pil nettamente migliore del previsto pure avendo fatto tanta spesa pubblica, significa due cose: si è avuta l’accortezza di fare buona spesa pubblica e si è finalmente imboccata la strada italiana della crescita. Significa, per effetto di queste due scelte, avere guadagnato un  boost che anche nella percezione degli investitori globali può cambiare stabilmente la posizione di affidabilità  internazionale dell’Italia.

Questo vuol dire occuparsi seriamente dei nostri giovani e accumulare capitale di reputazione per noi e per loro. Bisogna che queste cose una volta per tutte si capiscano e che entrino a far parte del dibattito della pubblica  opinione. Che deve rendersi conto – almeno per chi ha un impiego statale, regionale, comunale e così via – che il suo stipendio dipende dalla capacità dello Stato italiano di collocare ogni anno sul mercato centinaia di miliardi di titoli pubblici. Questi sono i fatti. Altro che scostamento da trenta miliardi!

È evidente che non si attenderà il Documento di economia e finanza (Def) per decidere quanto di nuovo bisogna spendere per fare fronte all’emergenza dei costi energetici. Bisogna spendere il giusto, non sparare numeri al lotto. L’energia è il tema vero dell’economia di ieri e di oggi e bisogna continuare ad affrontarlo.

Anche qui, però, dobbiamo dimostrare di essere diventati seri. Perché se tutti alzano la mano il tot iniziale può essere moltiplicato al cubo e poi con la stessa logica diventare anche un tot per sempre. L’energia la pagano in più tutti ma in misura differente e gli interventi devono essere su misura. Non è ovviamente quello che si vuole.

Esattamente come per la sanità vogliono fare le Regioni italiane che non vorrebbero mai più scendere dai livelli record di trasferimenti pubblici causa covid. Anche qui si pone un problema serissimo. Perché le sanità regionali italiane, oltre a riflettere inammissibili sperequazioni territoriali per cui il diritto di cittadinanza di un emiliano-romagnolo vale due volte di più di quello di un pugliese o campano, hanno tutte l’insopprimibile vizio di chiedere sempre più soldi, di non essere mai sazie, di non avere alcuna voglia di riorganizzarsi e di non volere mai distinguere tra eccezionalità e normalità. Siamo al federalismo del prendere sempre e comunque aggiungendo la chiosa che lo Stato butta i soldi e che loro sono efficienti quando invece loro buttano più soldi dello stesso Stato.

Esattamente come avviene puntualmente  sul tema sempre caldo delle pensioni dove non si fa mai un discorso serio e si cercano privilegi ogni volta che si apre un tavolo e tendenzialmente si vorrebbe che quel privilegio durasse in eterno. Soprattutto ogni volta che si fanno scelte strutturali si comincia il giorno dopo un lavoro sotterraneo per smontare tutto. Si cerca il trofeo tattico della propaganda per chi ha qualche anno in più e si sottrae disinvoltamente il futuro ai giovani.

Esattamente come avviene troppo spesso con le gare del Piano nazionale di ripresa e di resilienza dove si alzano steccati sulle assegnazioni ma si fa ancora troppo poco perché le aggiudicazioni  avvengano nei tempi dovuti e non si sprechino risorse non riuscendo poi ad aprire effettivamente i cantieri. Allora, diciamocelo chiaro e capiamoci una volta per tutte. Se è vero che il debito si abbassa solo con la crescita è anche vero che la spesa corrente della sanità, che non sono gli investimenti, non va dilatata e la spesa previdenziale va ridotta perché abbiamo il debito che abbiamo, perché facciamo sempre meno figli, perché l’Europa più condivide i suoi debiti e più ha diritto di chiedercelo.

Se vogliamo fare crescita vera e ridurre per questa strada il peso del debito dobbiamo fare riforme di struttura e, soprattutto, dobbiamo occuparci di fare investimenti pubblici che a loro volta mobilitino investimenti privati. Dobbiamo intervenire con tutte le consulenze tecniche possibili perché anche il più piccolo dei Comuni del Sud riesca a partecipare al bando e ad aprire il cantiere corrispondente al bando vinto. Questa è la rivoluzione di cui ha bisogno l’Italia. Ha bisogno di completare il versante esecutivo delle benemerite riforme di Brunetta della pubblica amministrazione e di rendere legge definitiva il cambiamento del processo civile, penale, amministrativo e contabile. Solo così si riapre davvero la macchina pubblica degli investimenti in Italia, si accrescono quelli privati interni e si può cominciare seriamente ad attrarre capitali privati internazionali che oggi si tengono dichiaratamente alla larga dell’Italia per l’arbitrarietà e pericolosità delle sue tante giustizie ingiuste. Questo significa occuparsi del futuro dei nostri figli. L’esatto opposto della riffa propagandistica degli scostamenti.


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