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Mario Draghi lascia l'Aula del Senato

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Draghi con il suo linguaggio della verità ha spaccato i partiti e ha fatto emergere la linea di confine tra riformisti europeisti e populisti amici di Putin. Su questo capolavoro che fa già ballare i mercati e che ci fa scendere dal podio della governance europea nel momento in cui di più abbiamo bisogno dei primi e della seconda, i politici populisti italiani alla Salvini non ci hanno nemmeno messo la faccia e i grillini di Conte si dividono in pulviscoli. Scappano i “nostri eroi” nei momenti della verità, fanno parlare gli altri. Per questo sentiamo di ringraziare Draghi perché ha dato al Paese una dimostrazione di rispetto e di lealtà parlando il linguaggio della realtà e di lodare Renzi di cui si può pensare quello che si vuole ma ha la stoffa dei leader politici e ci mette sempre la faccia. Speravamo che Draghi potesse chiudere la stagione del populismo italiano come in casa e fuori chi ama l’Italia non poteva non auspicare. Finisce invece con le dimissioni di chi ha salvato l’euro e ha regalato all’Italia un anno e mezzo di crescita da locomotiva europea. Una vergogna.

Siamo di fronte allo spettacolo di una classe politica così largamente screditata che dà un’ulteriore dimostrazione di una irresponsabilità collettiva e dà vita a un livello di dibattito parlamentare imbarazzante. Il livello consapevole degli straordinari risultati raggiunti e, ancora di più, della enormità dei problemi che l’Italia ha davanti per affrontare le emergenze globali belliche, energetiche, inflazionistiche e sociali che si è percepito nel discorso del Presidente Draghi al Senato è apparso oggettivamente lontanissimo dal livello del dibattito parlamentare dove i rappresentanti del popolo hanno sistematicamente ignorato l’urgenza del momento e si sono tutti, a esclusione del Pd che ha peraltro un interesse elettorale opposto, lasciati trascinare dal canto delle sirene dell’urna.

Quella urgenza è stata più forte di qualsiasi considerazione sulla situazione attuale del Paese e sulle sue prospettive. L’assurdo è che siamo all’apice della ripresa economica, siamo davanti a un picco massimo, e abbiamo davanti un rischio di autunno di livello elevatissimo. L’equa ripartizione delle lodi e degli schiaffi di un discorso analitico e rigoroso da statista di Draghi, che è stato il discorso di un politico che non cerca le mediazioni ma propone un programma, non ha ricompattato la maggioranza. Perché l’errore di Conte che ha guadagnato per sempre l’irrilevanza ai Cinque stelle, ha fatto perdere il contatto con la realtà all’intero centrodestra di governo, ricongiungendosi con quello da sempre all’opposizione di Fratelli d’Italia della Meloni. Il drappo rosso dell’urna è stato per il centrodestra quello che è per il toro che monta e carica. Berlusconi pensa di avere già vinto, ma da qui a ottobre può avere cattive sorprese. Può succedere di tutto perché la gente non perdonerà chi ha voluto questa crisi. Per chi ha interrotto questa stagione sarà molto difficile ricompattare qualcosa. Siamo davanti a un momento di follia totale.

Chi, tutti nessuno escluso, ha interrotto questa fase d’oro della economia italiana e il processo riformista in atto che hanno cambiato il giudizio del mondo sull’Italia in termini di fiducia e di credibilità, pagherà un costo che oggi non riesce neppure a valutare in termini elettorali. Lo abbiamo detto ieri, lo ripetiamo oggi. Possono aprire anche la stagione dei comizi questi partiti e i loro capi, si può anche far credere che l’Italia non è più in crisi per la follia grillina dell’opposizione al termovalorizzatore a Roma quanto o più per i contorcimenti bizantini leghisti o la guerra fratricida dentro Forza Italia, ma tutto questo spettacolo più o meno obbrobrioso non farà sparire il problemone dell’inflazione, che anzi si aggraverà, e soprattutto non sparirà dallo scenario vitale del Paese l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e di resilienza da cui dipendono oggi decine di miliardi di fondi europei e domani una politica di bilancio, energetica e monetaria europea comuni di cui l’Italia ha bisogno come il pane.

Siamo davanti al battibeccare di bizantinismi incomprensibili in sostanziale disinteresse rispetto al più elementare principio di realtà. Come se non avessimo il debito pubblico che abbiamo. Come se non fossimo alla vigilia della riunione storica del board della Bce dove si alzeranno i tassi, ma si affronterà per la prima volta seriamente il tema vitale per noi di uno scudo anti-spread che deve garantire che la trasmissione della politica monetaria avvenga senza oneri supplementari per i titoli sovrani italiani. Come se non avessimo da collocare 500 miliardi di titoli della Repubblica italiana da qui alla fine naturale della legislatura e come se la Bce non avesse in pancia già 700 miliardi di nostri titoli che un bel giorno potrebbe anche cominciare a vendere. Come se tra settembre e ottobre non si dovesse discutere del nuovo patto di stabilità europeo che è importante per tutti, ma che per l’Italia se va in un certo senso significa che la parola “scostamento di bilancio” semplicemente sparisce dal vocabolario della finanza pubblica italiana. Come se avere o meno Draghi in quel consesso non facesse la differenza.

Come se non fossimo davanti a una stagione in cui per la prima volta l’Italia ha preso il posto della Francia, nella leadership energetica del Mediterraneo riparando agli errori e ai soprusi di Sarkozy del 2011 assolutamente nefasti. Come se potessimo fare finta che non vale nulla che grazie agli accordi a ripetizione del governo Draghi con i Paesi africani, l’Algeria e a tutto campo, l’Italia è diventata l’hub del gas verso il Nord e, quindi, si sono resi gli europei legati all’Italia invece di presentarci noi con il cappello in mano a chiedere un po’ di gas a tedeschi e russi. Come se un asse sull’energia Sud-Nord che sostituisce quello attuale Est-Ovest non fosse la più clamorosa delle azioni possibili di riunificazione delle due Italie e di leadership europea dell’Italia che tutti legano a Draghi e dalla quale tutti proveranno a scalzarci a partire dagli alleati francesi.

Che cosa volete che importi al capogruppo dei leghisti al Senato, Romeo, di tutto ciò? Che cosa bisogna inventarsi per impedire a Salvini di entrare con Conte nel pantheon del Bertinotti due e tre senza fare danni troppo seri all’Italia? Vogliamo parlare dei balneari, dei taxi, del rigassificatore di Piombino, del misfatto ideativo originario, senza controlli di alcun tipo, del superbonus di fabbrica grillina per capire fino in fondo il linguaggio di realismo del Presidente Draghi nel discorso al Senato e in sede di replica, magari avendo la sfrontatezza di ricordare a tutti i partiti che la gran parte del nuovo programma del politico Draghi non è nient’altro che ciò che è scritto nel Pnrr? Di ciò che i partiti avevano votato poco più di un anno e mezzo fa con grande entusiasmo e quasi all’unanimità. È evidente che avevano capito solo la parte dei soldi che arrivavano non quella degli impegni assunti per avere quei soldi.

Cade tutto e arriva la politica della scissione. Perché questa follia collettiva tra la situazione reale del Paese e la consapevolezza della grande crisi globale, da una parte, e l’irripetibile (?) occasione di fare banco nell’urna da parte del centrodestra, ha aperto la faglia della scissione che non sarà più un’esclusiva dei Cinque stelle e riguarderà verosimilmente Forza Italia come la Lega, come il Pd, i mille pulviscoli dei Cinque stelle. Non siamo più a destra contro sinistra. Statalisti contro liberali. No, siamo ai populisti contro i riformisti.

Draghi con il suo linguaggio della verità ha spaccato i partiti e ha fatto emergere la linea di confine tra riformisti europeisti e populisti amici di Putin. Su questo capolavoro che fa già ballare i mercati e che ci fa scendere dal podio della governance europea nel momento in cui di più abbiamo bisogno dei primi e della seconda, i politici populisti italiani alla Salvini non ci hanno messo nemmeno la faccia. Scappano nei momenti della verità, fanno parlare gli altri. Per questo sentiamo di ringraziare Draghi perché ha dato al Paese una dimostrazione di rispetto e di lealtà parlando il linguaggio della realtà e di lodare Renzi di cui si può pensare quello che si vuole ma ha la stoffa dei leader politici e ci mette sempre la faccia. Speravamo che Draghi potesse chiudere la stagione del populismo italiano come in casa e fuori chi ama l’Italia non poteva non auspicare. Finisce invece con le dimissioni di chi ha salvato l’euro e ha regalato all’Italia un anno e mezzo di crescita da locomotiva europea. Una vergogna.


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