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Sappiano i capi dei partiti del populismo e del sovranismo che se non adottano metodo, contenuti e linguaggio della stagione felice del governo Draghi e continuano a marciare tutti allegramente con il trofeo della vittoria in mano contro il muro della realtà, che sono i numeri dell’economia di autunno, si faranno molto male. Più alzeranno la voce, più diranno “ce ne freghiamo, facciamo lo scostamento e facciamo tutto quello che vogliamo”, più le pietre di quel muro cadranno sulle loro teste, e purtroppo, anche sulle nostre imprese e sulle nostre famiglie. Non vogliamo nemmeno pensarci

La politica è scelta, toglie i soldi a qualcuno per darli a qualcun altro. Questo avviene nel mondo, ma non in Italia. Qui si procede solo per aggiunte. Nell’anno in cui si supera per la prima volta il tetto dei mille miliardi di euro di spesa pubblica, fanno tutti una campagna elettorale per promettere soldi a tutti, con regali di ogni tipo e pagherò che corrono più veloci delle temperature africane di questi giorni, mentre si è buttato disinvoltamente a mare il governo della crescita da primato europeo e della garanzia internazionale senza scostamenti di bilancio.

Soldi a tutti, pace fiscale e addio tasse, pensioni a tutti, non meno di mille euro al mese a partire dalle nostre mamme, senza mai dire chi pagherà il conto, mentre l’economia non potrà che ripiegare perché si è bruciata la fiducia che faceva correre l’Italia molto più di Germania, Francia e Stati Uniti, l’inflazione è il mostro globale fabbricato da Putin che cambia tutti i piani, i tassi salgono, i nostri titoli pubblici hanno meno reputazione di quelli greci e la Banca centrale europea ha fatto lo scudo anti spread ma con l’occasione ci ha messo sotto vigilanza stretta.

L’accordo Kiev-Mosca sul grano ha un grande valore politico e riduce il rischio di carestia nel mondo. La ripresa delle forniture di gas di Putin all’Europa è un fatto e, con le solite manovrine tra amici e non, si può ipotizzare che Gazprom non lascerà al freddo il Vecchio Continente. Dico questo, perché il contesto internazionale complicatissimo nel pieno di un conflitto mondiale di civiltà tra autocrazie e democrazie, lascia intravedere spiragli che avrebbero consentito alla nuova locomotiva europea, che è l’Italia dell’anno e mezzo di Draghi che chiude con quasi 10 punti di Pil di crescita dopo un ventennio di zero virgola, di consolidare il capitale di fiducia ritrovato con ulteriore sollievo sui costi del finanziamento del debito e piena partecipazione ai programmi europei di sviluppo determinati da nuovo debito comune e politiche di bilancio espansive. Rimaniamo con i piedi per terra e diciamoci invece le cose come stanno nel nuovo scenario.

Ogni punto di spread sopra i 200 è rischio politico e l’andamento dei credit default swap (i cosiddetti cds) che sono una polizza che copre dal rischio di ridenominazione del debito dall’euro in lira, segnalano quanto l’intero Paese paga per il giudizio che i mercati danno delle pulsioni populiste e sovraniste italiane. Da questo rischio politico, non da altro, deriva il differenziale ingiustificato di oltre 100 punti di spread con la Spagna e il fatto che, dopo la crisi del governo Draghi, abbiamo stabilmente affiancato e spesso superato lo spread greco.

Sempre da questo tipo di rischio, non da altro, nasce la condizionalità del nuovo meccanismo (TPI) ideato dalla Bce che vuole garantire la trasmissione della politica monetaria senza costi supplementari per i titoli sovrani italiani, spagnoli, greci, financo francesi, ma non quando quei costi sono determinati da crisi partitiche e da politiche pubbliche dell’irrealtà sganciate dalle regole comuni di disciplina e di sviluppo che si è deciso tutti insieme di adottare.

Ciò nonostante, però, grazie proprio all’inflazione, il nostro rapporto debito/Pil che avrebbe dovuto scendere al 147% si fermerà ancora meglio al 145% così come tutta la grancassa del default da spread italiano a livelli greci è fuori luogo. Questi tassi e questi rendimenti indicano un problema, ma non una tragedia. Perché il Tesoro italiano ha saggiamente allungato le scadenze e collocato a tassi favorevoli importi rilevanti, per cui l’aggravio oscilla da un minimo di 11 a un massimo di 15 miliardi da qui al 2024 con un costo per il primo anno da effetto spread e effetto titoli indicizzati all’inflazione di 4/4,5 miliardi. Basti pensare che dalla Nadef di aprile già ballano 150 punti in più perché il rendimento del decennale era al 2,1% (ora siamo al 3,5/3,6%) e la crescita prevista dei rendimenti veniva legata alle pressioni speculative determinate dalla lotta all’inflazione non certo dalla inimmaginabile fuga dei partiti dalla maggioranza del governo Draghi. Non è poco, ma si è visto di molto peggio.

Il problema vero al momento non è questo, lo potrà diventare e vi spiego dopo perché, ma chi vi dice “arriva la destra e salta tutto” e insiste sullo spread a tassi greci sta facendo un gioco politico. Il problema vero che abbiamo davanti è la nuova legge di bilancio. Perché l’idea del governo Draghi di fare un robusto taglio ulteriore del cuneo fiscale, richiesto da tutto il mondo produttivo e sindacale e in arrivo grazie al circolo virtuoso delittuosamente bloccato, andrà a scontrarsi con un taglio delle previsioni di crescita di un punto di Pil buono -dall’ipotizzato 2,4% allo 0,9% della Commissione europea e all’1% dell’Oxford Economics – che vuol dire 20 miliardi di spazi fiscali disponibili in meno per fare fronte alle promesse della campagna elettorale dove nulla verrà risparmiato. Taglio al cuneo fiscale di 10 miliardi? No 15, anzi 20, perché no 30. Pace fiscale, certo, ma dico di più pace fiscale senza nulla a Lo spread italiano a tassi greci è un problema, non una tragedia.

La fredda realtà invece ci dice che, da un lato, la nuova manovra dovrà fare fronte a una crescita molto più bassa del previsto che genera meno entrate e, dall’altro, nulla di quello che viene promesso potrà essere onorato. A meno che, e qui casca l’asino perché è ciò che preoccupa di più i mercati, prima in campagna elettorale e poi, peggio, al governo effettivo del Paese i nostri partiti ricomincino a giocare con lo scostamento di bilancio, che significa non rispettare gli impegni presi in sede europea, e fare volare alle stelle sui mercati quel rischio politico che nega il futuro ai nostri giovani.

PER LE ELEZIONI DEL 25 SETTEMBRE

Il presidente Mattarella e il presidente Draghi pretendere e, magari, togliamo anche l’Imu. Tutto è possibile sotto l’ombrellone per mezzo voto in più. La fredda realtà invece ci dice che, da un lato, la nuova manovra dovrà fare fronte a una crescita molto più bassa del previsto che genera meno entrate e, dall’altro, nulla di quello che viene promesso potrà essere onorato. A meno che, e qui casca l’asino perché è ciò che preoccupa di più i mercati, prima in campagna elettorale e poi, peggio, al governo effettivo del Paese i nostri partiti ricomincino a giocare con lo scostamento di bilancio, che significa non rispettare gli impegni presi in sede europea, e fare volare alle stelle sui mercati quel rischio politico che nega il futuro ai nostri giovani. I nostri polli, a Bruxelles come a Francoforte, li conoscono molto bene e, per questo, hanno messo nero su bianco che lo scudo scatta solo se il Paese non ha procedure di infrazione, rispetta le direttive di bilancio europeo, attua gli impegni assunti, garantisce la sostenibilità del debito.

Tutto quello che stava facendo benissimo il governo Draghi aggiungendo ogni volta che di scostamento si poteva parlare solo se, come con il Covid, ne parlavano e lo facevano gli altri Paesi europei. Tutto questo, però, abbiamo voluto buttarlo giù perché sentiamo il trofeo elettorale nelle nostre mani. Sappiano i capi dei partiti del populismo e del sovranismo che se non adottano metodo, contenuti e linguaggio della stagione felice del governo Draghi stanno marciando tutti allegramente con il trofeo della vittoria in mano contro il muro della realtà che sono i numeri dell’economia di autunno. Si faranno molto male. Più alzeranno la voce, più diranno “ce ne freghiamo, facciamo lo scostamento e facciamo tutto quello che vogliamo”, più le pietre di quel muro cadranno sulle loro teste, e purtroppo, anche sulle nostre imprese e sulle nostre famiglie. Non vogliamo nemmeno pensarci.


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