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Romano Prodi

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L’unica soluzione di governo spagnolo è ripetere il modello della maggioranza che sostiene in Europa Ursula von der Leyen, mettendo insieme popolari e socialisti, entrambi peraltro molto europeisti. Il punto è che le tifoserie dei due schieramenti sono accesissime e rende tutto più complicato. In Italia da Cesena dopo lungo tempo Prodi è tornato a parlare al Pd e ha detto che non si risponde a problemi così complessi inseguendo slogan e derive populiste altrui, ma piuttosto facendo l’agenda in casa e fuori del Progetto Paese parlando agli italiani e trascinandosi dietro gli alleati. Come ha fatto lui due volte. Che sono anche le uniche nelle quali quest’area politica del Paese ha governato vincendo le elezioni, non per investiture arrivate dall’alto o dettate dallo stato di necessità.

In Spagna ci sono un perdente certo, l’alleanza dell’estrema destra, e nessun vincitore di modo che non esistono maggioranze alternative possibili per garantire un governo stabile. Né quella guidata dai popolari. Né quella guidata dai socialisti. L’unica soluzione possibile di governo nazionale spagnolo è quella di ripetere il modello della maggioranza che sostiene in Europa Ursula von der Leyen, mettendo insieme popolari e socialisti, anche perché entrambi gli schieramenti sono molto europeisti. Il punto è che per gli spagnoli uno è Bartali e l’altro è Coppi.

Le tifoserie dei due schieramenti sono accesissime e questo divide rendendo tutto più complicato. In Italia abbiamo una nuova destra al governo che dimostra un protagonismo europeo inimmaginabile anche perché ha posto al centro della sua azione di politica estera il nuovo asse strategico Sud-Nord. Lo persegue coinvolgendo i vertici delle istituzioni europee e finanziarie internazionali oltre che una qualificata rappresentanza di capi di stato e di governo delle due sponde del Mediterraneo. Un progetto di sviluppo dichiaratamente cooperativo e non predatorio tra Nord e Sud del mondo, tra Europa e Africa ricca di materie prime, terre rare e superfici coltivabili.

Sono i princìpi e le indicazioni che sostengono il progetto Feuromed di questo giornale tradotto nella Carta di Napoli e riprodotto anche ieri in prima pagina. Ora bisogna che dalle parole importanti e dai riconoscimenti internazionali importanti si passi alla realizzazione e alla percezione delle prime azioni concrete. In Italia abbiamo invece una sinistra che non vuole fare i conti con le sue contraddizioni. La standing ovation senza precedenti riservata a Romano Prodi a Cesena qualche giorno fa è il riconoscimento non solo al padre nobile del Pd, allo statista europeo, a uno dei due grandi uomini internazionali che ha questo Paese (l’altro è Draghi), ma soprattutto lo è all’uomo che ha insegnato al Partito democratico come si fa a vincere chiarendo a tutti che per raggiungere la vittoria bisogna allargare.

I passaggi del suo ragionamento sono uno più forte dell’altro. Il populismo contribuisce a creare instabilità, ma non è certo un fenomeno casuale in quanto la gente si è rifugiata nel populismo perché non ha trovato una “casa” nel Partito democratico. È vero che il Pd in quindici anni ha perso sei milioni di voti, ma nonostante questo è l’unico partito che può indicare il percorso verso la rinascita a patto che non sia rassegnato e non esprima un Paese rassegnato perché sa che la democrazia è partecipare. Come il Professore dice dal primo giorno di insediamento della Schlein, perché scatti questa partecipazione contagiosa ci vuole un progetto Paese.

Ci vuole un Pd che si occupi seriamente della sanità pubblica, visto che si vuole mettere in discussione il servizio sanitario nazionale e del problema della casa nelle grandi aree metropolitane. Ci vuole un Pd che torni a urlare – perché è vero – che a causa dell’evasione fiscale si perde un Pnrr all’anno. Che sul salario minimo non deve mollare e che sull’immigrazione torni a parlare di integrazione anche perché è chiaro a tutti che abbiamo bisogno di forza lavoro straniera. C’è nel discorso di Progetto Paese del Pd inclusivo di Romano Prodi il richiamo a tutti a fare autocritica perché si è passato troppo tempo a parlare di legge elettorale e di riforma della Rai invece di ricominciare a parlare con gli italiani affrontando l’origine e la causa del declino e indicando la strada per la rinascita. E così ritorna il tormentone di non potere continuare a essere un partito rassegnato in un Paese rassegnato e l’invito a fare i conti con un’Unione europea tristemente sbandata per cui abbiamo una forte alleanza con gli Stati Uniti, ma abbiamo difficoltà a interpretare questa alleanza con una nostra politica unitaria.

Non possiamo più essere definiti alleati che non contano nulla perché c’è una terza via di alleato fedele, ma capace di elaborare una politica unitaria per difendere i propri obiettivi e i propri interessi. Questa terza via esiste, ma non è percorsa. Tutto ciò accade peraltro dentro un mondo dove cresce il peso degli autoritarismi con un ruolo sempre più dominante della Cina e la Russia alleata con essa. Non si risponde a problemi così complessi inseguendo slogan e derive populiste altrui, ma piuttosto facendo l’agenda in casa e fuori del Progetto Paese parlando agli italiani e trascinandosi dietro gli alleati. Come ha fatto lui due volte. Che sono anche le uniche nelle quali quest’area politica del Paese ha governato vincendo le elezioni, non per investiture arrivate dall’alto o dettate dallo stato di necessità.


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