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Il porto di Gioia Tauro

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Ormai pare che l’ esigenza della ripartenza sia diventato un concetto condiviso anche da parte di chi riteneva che dovessimo rimanere in lockdown fino al contagio zero. Dalla prossima settimana ogni regione, in modo differenziato rispetto all’andamento epidemiologico, potrà stabilire le regole, anche ampliando le aperture oltre che chiudendo maggiormente.

Una convinzione del blocco totale che avevano non solo i virologi, per i quali tale approccio poteva essere capito, ma anche i policy maker che invece dovevano immaginare più velocemente che una chiusura troppo prolungata poteva portare a conseguenze nefaste sulla nostra economia. Che già cominciano a manifestarsi, se è vero che le previsioni di marzo 2019 su marzo 2020 indicano per l’Italia un calo di produzione del 29,3% rispetto alla Germania che riesce a contenerlo al 9,2% e alla Francia che, pur facendo peggio, lo contiene al 16,2%.

TANTE LOCOMOTIVE

Ma oggi è il momento di capire che il nostro Paese deve cercare per quanto possibile di cambiare passo. E invece la sensazione è che si riparte da dove si è interrotto, con logiche analoghe, con gli stessi errori, con gli stessi pregiudizi. Il primo elemento che sembra scontato è quello della locomotiva e dei vagoni.

Il presupposto fondamentale del cambiamento necessario è quello relativo all’esigenza per il Paese che i motori da mettere in funzione siano parecchi. Non solo quello del lombardo-veneto-emiliano-romagnolo, asse portante dello sviluppo italiano. Ma anche quello del piemontese-ligure in grande affanno e quello dell’asse Bari-Napoli, così come dell’area calabro- siciliana, che ha due grandi porti che possono essere messi a regime: Gioia Tauro e Augusta.

INFRASTRUTTURAZIONE

Per un’impostazione di tal genere è necessario che si parta immediatamente con il completamento dell’asse di alta capacita ferroviaria Augusta-Berlino, rimasto bloccato a Salerno, per l’insipienza di una sinistra falsamente ambientalista, che a livello europeo si è opposta al completamento del corridoio, che sarebbe stato finanziato con risorse anche dell’Unione, compresi i tre chilometri di ponte sullo stretto di Messina, e che avrebbe permesso l’attrazione di quei traffici dall’Estremo Oriente delle navi maxi porta containers, che invece oggi, attraversato il canale di Suez raddoppiato, proseguono verso lo stretto di Gibilterra, per poi attraccare nei porti di Rotterdam, dove i furbi olandesi li accolgono con una fiscalità estremamente vantaggiosa e la compiacenza di un’Europa, che fa finta di non vedere. Tra parentesi, quello della logistica doveva essere uno dei driver che la Svimez suggeriva per un diverso sviluppo.

PRESTITI A FONDO PERDUTO

Mai come adesso avremo l’occasione di una massa di risorse così consistente da distribuire al sistema produttivo italiano. Pur con i notevoli, colposi, ritardi con i quali arriveranno, alla fine dovranno essere destinati al sistema. Quale migliore occasione per indirizzare tali risorse non solo con lo scopo di non far chiudere aziende e distruggere posti di lavoro, ma anche di indirizzare il processo, laddove è possibile, per ottenere risultati che da anni si cerca inutilmente di raggiungere.

E quale miglior risultato di quello di ridurre i divari e riequilibrare un sistema, che proprio con l’epidemia ha mostrato tutti i limiti insiti nel far spostare la gente da un lato all’altro della penisola, congestionando alcune aree, aumentando il livello di inquinamento, che certo non ha aiutato nel blocco del virus. Con una concentrazione di popolazione, che da un lato desertifica alcune parti e dall’altro affolla, fino al limite della sostenibilità, altre.

Nessuno pensa di pianificare e imporre decisioni all’imprenditore, che deve rimanere l’unico arbitro delle proprie decisioni. Ma utilizzare le risorse, come fatto dal Giappone per ridelocalizzare dalla Cina al Sol Levante, in modo da favorire alcuni spostamenti verso il Sud potrebbe essere un modo interessante di fare politica industriale.

LE ZES

E quale strumento può essere più interessante delle zone economiche speciali di recente costituzione, che hanno ancora poche risorse, ma una legislazione già approvata di vantaggi fiscali, di semplificazioni amministrative, di possibile cuneo fiscale sul costo del lavoro differenziato? Aree che potrebbero favorire l’attrazione dall’esterno dell’area di attività, magari ad alta intensità di utilizzo di forza lavoro e dove risorse importanti sono dedicate, con il reddito di cittadinanza, per coprire quelle povertà assolute, che certamente un Paese civile non può abbandonare e che potrebbero essere risparmiate se ci fosse più lavoro.

LA POLITICA

Ma non è certo questo un tema che può essere delegato al solo ministro del Mezzogiorno, che pure ha fatto muro rispetto all’ipotesi di una sospensione di una clausola, mai attuata nel passato, del 34 %. Quella clausola base che prevede che i diritti di cittadinanza siano validi ugualmente per tutti coloro che sono cittadini italiani. Come dell’ipotesi di finanziare la ripartenza con i fondi strutturali non ancora impegnati. Mentre nessuno dei molti ministri meridionali si lamenta per lo scippo, che continua, dei 60 miliardi che dovrebbero essere restituiti al Sud ogni anno, se la spesa pro- capite fosse uguale nelle varie parti.

AUTONOMIE DIFFERENZIATE

Anche se le autonomie differenziate, richieste dagli Zaia e dai Fontana ma anche dai Bonaccini, per aumentare tale ingiusto riparto a loro favore, secondo il principio che ognuno si deve tenere i soldi che produce, per ora sembrano essere cadute nel dimenticatoio.

Ormai credo sia chiaro a tutti che, più che tanti piccoli governatori, l’Italia ha bisogno di tanti presidenti regionali che, coordinati da una visione d’insieme, si pongano in termini costruttivi, rispetto alla competizione globale e ai tempi difficili che ci aspettano, per evitare che continui quella perdita di posizioni, nella crescita del reddito del Paese, che ci ha caratterizzato negli ultimi 10 anni in cui l’Italia ha perso posizioni importanti con la più bassa crescita cumulata rispetto non solo a Francia, Germania e Regno Unito, ma anche rispetto a piccoli Paesi come Olanda, Portogallo, Polonia, Ungheria. Ma sentendo le affermazioni della vera classe dirigente del Paese, l’incoming presidente di Confindustria Bonomi in testa, non mi sembra che si sia cambiato registro, ma che si riprenda purtroppo il concerto da dove si era interrotto.


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