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La protesta davanti la sede della società

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Il Lehman moment, il “momento Lehman”: lo spauracchio, insomma, che evoca quel settembre del 2008 quando il fallimento della Lehman Brothers innescò una crisi finanziaria di dimensioni planetarie. Per la verità, quel “momento Lehman” era stato solo una ciliegina su una (tossica) torta.
Era da un anno e più che nelle basse cucine dell’alta finanza americana erano stati messi in forno quei titoli che cartolarizzavano mutui subprime.

Poi, da quei laboratori da apprendisti stregoni, mentre i regolatori erano addormentati al volante e agenzie di rating compiacenti rassicuravano gli acquirenti, si diffusero in tutto il mondo migliaia di miliardi di dollari di titoli tossici. Le mefitiche volute di quei miasmi pestilenziali infettarono l’intero sistema bancario, e la crisi finanziaria tracimò in una crisi reale, arrestando, per la prima volta dal dopoguerra, la crescita economica planetaria.

LE RETI DI SICUREZZA

Questo terrificante esordio – rassicuriamo i lettori – non prefigura simili “momenti” nell’attuale temperie della finanza mondiale. Quello cui assistiamo sui mercati è una correzione, non un prodromo di crisi.

Ma andiamo per ordine e torniamo a quel Lehman moment che oggi viene evocato in corrispondenza della crisi di un altro gigante finanziario, la cinese Evergrande. Quanti temono che un collasso di quel colosso immobiliare infetti l’intera economia (le costruzioni hanno in Cina una fetta molto più grande del Pil rispetto agli altri Paesi) dimenticano due cruciali fattori.

Primo: l’economia cinese non è un’economia di mercato, è un’economia mista, ed è eterodiretta da un governo onnipresente e autoritario, che ha a sua disposizione tutte le leve del potere.

Tutto questo non vuol dire assolutamente che la soluzione a una crisi terminale di Evergrande potrà essere indolore. Soffriranno azionisti e obbligazionisti, ed è probabile che l’onda d’urto si propagherà anche ad altre imprese – quotate e non – e minerà la fiducia degli investitori. Ma gli investitori sanno che il Grande fratello cinese ha reti di sicurezza che verranno stese al momento opportuno.

C’è qui un parallelo con un’altra economia, questa volta veramente di mercato: quella americana. Nei giorni bui del mercato azionario di Wall Street si parlava – e si parla ancora – del Greenspan put, che si sarebbe potuto declinare in seguito anche in Bernanke put, o, oggi, in Powell put, cioè la proclività della Banca centrale americana di intervenire per contrastare eccessive diminuzioni dei listini di Borsa: un meccanismo, insomma, simile a una put option.
Se questo è possibile e probabile in un’economia di mercato, non sarà di molto più possibile e probabile nell’economia del Celeste Impero?

SCARSA CONTAGIOSITÀ

Il secondo cruciale fattore sta nella “chiusura” del mercato finanziario cinese. La ragione per cui la Lehman Brothers innescò una crisi mondiale stava nella fittissima rete di interdipendenze che legavano – e legano tuttora – Wall Street alle altre grandi piazze finanziarie del mondo.

Da questo punto di vista il mercato cinese non ha molte interdipendenze. La capitalizzazione di Borsa cinese è pari solo al 2% di quella planetaria (come mostrato nell’articolo di ieri su queste colonne, il Pil cinese è invece pari al 18% di quello mondiale). Una crisi finanziaria cinese verrebbe, insomma, contenuta all’interno della Cina, senza rischiare di infettare, come fece invece la crisi Lehman, il resto del mondo.

Il nervosismo dei mercati azionari dell’Occidente dipende più dal fatto che le tensioni geopolitiche – sempre presenti in questo mondo complicato – hanno fatto scattare la correzione di una performance troppo vivace.

L’ECONOMIA REALE

Il grafico che vedete in alto mostra, per esempio, che nel caso americano l’indice S&P500 era andato crescendo senza sosta, ignorando gli alti e bassi dei contagi da coronavirus.

Le Borse sono un povero indicatore della salute dell’economia (come diceva Paul Samuelson, Wall Street ha previsto sette delle ultime cinque recessioni).
Quello su cui dobbiamo puntare l’attenzione non sono gli umori o i malumori dei mercati, ma l’andamento dell’economia reale e delle vaccinazioni.

La ripresa sta rallentando, è vero, ma certamente non si fermerà; e l’incedere inesorabile delle vaccinazioni sta stendendo un’altra rete di sicurezza sulla congiuntura del mondo.


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