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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump

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Donald Trump si sta giocando il tutto per tutto. I suoi errori sono stati enormi, quasi incredibili, ma per molto tempo erano rimasti nascosti agli occhi dell’elettorato americano grazie alla buona congiuntura economica, che consentiva agli Stati Uniti di continuare a crescere di buon passo malgrado il gran numero di guerre commerciali scatenate dal loro Presidente.

Poi però il Coronavirus ha fatto venire tutti i nodi al pettine allo stesso momento, con l’ aggravante che Trump all’inizio, e per varie settimane, ha gravemente sottovalutato il problema e poi, quando ormai l’epidemia aveva investito a fondo tutto il paese, ha iniziato una frenetica corsa allo scarico di responsabilità che ha finito per danneggiare fortemente la sua credibilità. Soprattutto, l’economia ne ha immediatamente risentito, con risultati molto negativi. È di questi giorni la notizia che oltre un milione e mezzo dei lavoratori che hanno richiesto l’assistenza per disoccupazione, lo hanno fatto per la prima volta, a riprova che la crisi sta mordendo in profondità.

Ma la notizia che ha impaurito veramente i mercati è che i contagi negli USA stanno nuovamente aumentando, toccando vette molto alte. Il timore è che nuove chiusure o prolungamenti di quelle in corso potrebbero avere effetti molto negativi sulla crescita.

Si possono fare molte diverse ipotesi: la curva dei contagi sale, ma quelle dei decessi e dei ricoveri in rianimazione rimangono sostanzialmente piatte. Forse gli effetti più negativi si vedranno solo fra qualche giorno, forse la crescita dei contagiati è più apparente che reale, legata alla crescita nel numero dei tamponi e non ad una nuova ondata di contagi, forse le persone più a rischio, anziane e/o malate, sono già morte mentre quelle che restano sono ora meglio protette, eccetera. Quel che è certo è che Trump sta cercando di sfruttare al massimo questi piccoli margini di incertezza per evitare nuove chiusure e cercare ad ogni costo di far ripartire la crescita economica: l’unica carta rimastagli per cercare di assicurarsi il consenso dei moderati.

Non sarà comunque facile. Ad esempio, nello scontro con Hillary Clinton Trump riuscì ad assicurarsi il voto degli over 65, con margini piuttosto alti, garantendosi così vittorie in Stati chiave come la Florida e la Pennsylvania. Oggi però la sua pessima gestione della pandemia (inclusa una sua sfortunata frase in cui invitava a rassegnarsi alla morte degli anziani) e persino la sua insistenza per cercare di smantellare l’Obamacare, senza il quale oggi circa 30 milioni di americani si ritroverebbero senza copertura sanitaria, sembrano aver fatto cambiare idea agli elettori con i capelli bianchi, che hanno spostato le loro preferenze su Biden. Il candidato democratico, secondo questi sondaggi, oggi si assicurerebbe tutti gli Stati che a suo tempo hanno dato la vittoria a Trump, e spesso con margini sostanziali di differenza.

Naturalmente i sondaggi non sono le elezioni vere e proprie, e inoltre mancano ancora quattro mesi a novembre, per cui tutto potrebbe ancora cambiare. Ma l’importanza assunta dalla gestione della pandemia, e il ruolo determinante dell’economia sembrano lasciare pochi dubbi in proposito. Vincerà chi saprà offrire l’immagine migliore in questi campi.

Nel frattempo Trump non si limita ad aspettare il responso dei bollettini medici e delle analisi economiche, ma sta cercando di fidelizzare al massimo una parte consistente del suo elettorato. Per anni, il mantra di ogni campagna elettorale era la necessità di conquistare il volto incerto e mutevole dell’elettorato centrista. In realtà questa è stata anche una delle chiavi della vittoria di Trump alle scorse elezioni, perché una parte consistente dell’elettorato moderato non si identificava con la Clinton (che peraltro era troppo centrista per raccogliere il consenso dell’estrema sinistra democratica, disperso su numerosi piccoli candidati di bandiera). Tuttavia questo non sarebbe stato sufficiente se allo stesso tempo Trump non avesse mobilitato una larga fetta dell’elettorato bianco impoverito o minacciato dai mutamenti economici portati dalla globalizzazione. Costoro da soli non possono dare a Trump la vittoria, ma senza di essi egli non potrebbe in alcun caso venire rieletto.

Per cui Trump sta conducendo una campagna parallela, puntando insieme a soddisfare il suo elettorato e a allontanare il discorso dagli scogli della pandemia e dell’economia. I suoi nuovi avversari sono oggi i giovani difensori di un nuovo politically correct: quelli che vogliono togliere le statue di Cristoforo Colombo, che criticano Washington e Jefferson perché possedevano schiavi, che attaccano Lincoln per la sua politica durissima nei confronti dei “nativi americani”, quelli che noi da bambini chiamavamo i pellerossa, e che ora plaudono alla decisione del museo di storia naturale di New York di rimuovere dalla scalinata d’ingresso la statua equestre di Theodore Roosvelt, perché non mette sullo stesso livello il Presidente bianco e a cavallo, e i suoi due accompagnatori, un afroamericano e un nativo americano, ambedue a piedi. La frenesia del politically correct è spesso assurda e risibile, specie quando se la prende con epoche e sensibilità diverse. Una parte di quell’elettorato moderato che ora critica Trump è anche naturalmente critico di questi eccessi ideologici.

Ma Trump ha visto qui un’occasione per approfondire la frattura tra l’elettorato conservatore bianco e il resto del paese, e la sfrutta a fondo, andando a celebrare il 4 di luglio, la festa nazionale americana, di fronte al Monte Rushmore, dove sono scolpiti i volti di Washington, Jefferson, Lincoln e T. Roosvelt: peccato che quel monte fosse anche un luogo sacro per gli indiani americani, che vennero così privati con la forza di un loro santuario.

Ecco dunque il gioco d’azzardo di Trump. Ora come ora tutti i sondaggi gli sono contro e Biden accumula enormi margini di vantaggio. Ma alla fine moltissimo dipenderà da come girerà il vento della pandemia e con esso quello della crescita economica. Non abbiamo mai visto elezioni americane così confuse, giocate tutte in bilico, sull’orlo di un precipizio in fondo al quale una società americana profondamente divisa ed insieme spaventata potrebbe riservarci molte sorprese.


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