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Il patriarca Kirill

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Esiste in Occidente, in particolare in Italia e, soprattutto, nel Vaticano, un grande imbarazzo nell’affrontare i rapporti della Chiesa Ortodossa russa e con le messianiche affermazioni di Putin sugli obiettivi di quella che chiama “operazione militare speciale” volta non solo a denazificare l’Ucraina, ma a liberarla dal peccato, cioè dalla “banda di gay che la governerebbe”. Tale imbarazzo deriva anche dagli stretti rapporti fra il Cremlino e il Patriarcato di Mosca. Putin è affascinato dall’Ortodossia. La trova funzionale ai suoi obiettivi di restaurare la Russia nello status di grande potenza.

La Chiesa Ortodossa ha recuperato il rango e il peso politico che aveva ai tempi degli Zar. È portatrice dell’ideologia della Russkiy Mir, o “mondo russo”, della Terza Roma, erede dei valori al tempo stesso mistici e imperiali della tradizione e destinata a salvare il mondo. L’Ortodossia è legata alla politica. Il Patriarca Kirill ha fornito una giustificazione non solo ideologica, ma anche teologica all’aggressione all’Ucraina. È stato spinto, al riguardo, dal fatto che in Ucraina esistono due Chiese Ortodosse: la prima, autocefala, cioè nazionale ucraina, fa capo al Patriarca Filarete e comprende il 60% della popolazione del paese. La seconda, con il Metropolita Onofrio, con sede sempre a Kiev, ma critica dell’aggressione russa e del Patriarca Kirill, ne ha il 25% e riconosce come Patriarca quello di Mosca (la popolazione restante è uniate, cioè cattolica di rito greco, concentrata nell’Ovest del paese, o ateo). Fra le due chiese ortodosse corre cattivo sangue, accentuatosi con l’aggressione russa (in circa metà delle diocesi che fanno capo al Patriarcato di Mosca, non è stato più menzionato Kirill, il quale aveva benedetto l’aggressione, certamente anche nella speranza di riassorbire sotto di lui anche la chiesa autocefala che, sotto pressione dell’allora presidente Porošenko, nel 2015, si era legata al Patriarca di Costantinopoli, per sottolineare il sui distacco da Mosca, che si era annessa la Crimea.

Il fatto che la guerra in Ucraina non abbia cause solo geopolitiche, ma anche ideologico-religiose è divenuto evidente ai telespettatori italiani con gli interventi televisivi di Alexander Dugin, il principale esponente della Scuola Eurasista ipernazionalista russa, oggi consigliere e ispiratore ideologico di Putin. Avevo conosciuto a Mosca negli anni ’90 questo strano personaggio che sembra uscito da un libro di Dostoevskij. Allora era capo del Centro Geopolitico della Duma (a proposito, è un grande estimatore del vino italiano!). Per lui, l’attacco all’Ucraina investe l’identità e il futuro non solo dell’Ortodossia e della Russia, ma la loro missione “divina” nel mondo. Esso deve essere salvato dal materialismo, dal consumismo e da “forze oscure” che lo stanno dominando e corrompendo e di cui sarebbe prova, al tempo stesso evidente e inquietante, la tolleranza dimostrata, come dice Kirill, nei riguardi dell’“amore contro natura”. Esse avrebbero avuto il sopravvento in Ucraina con la “rivoluzione arancione”. Il mondo, in particolare i paesi continentali dell’Eurasia (che considera estesa da Dublino a Vladivostok) possono essere salvate dalla corruzione delle potenze marittime dell’anglo-sfera solo dalla rigenerazione dei valori tradizionali della Russia, che si espanderebbe grazie alle sue ricchezze naturali. Senza di esse, l’Europa non potrebbe sopravvivere. La Russia sarebbe in grado di farle pagare con la sua moneta, liberandoli dalla schiavitù del dollaro. Tutte le sue teorie sono contenute in un ampio saggio (di oltre 500 pagine) “The Foundation of Geopolitics; the Geopolitical Future of Russia”.

Ai politici e alle opinioni pubbliche occidentali può sembrare una follia paranoica, ma secondo la mia conoscenza (ho frequentato per otto anni la Moscow School of Political Studies e fatto/partecipato a conferenze, soprattutto all’Accademia dello Stato Maggiore Generale), per la “Russia profonda” e anche per taluni esponenti del potere politico di Mosca è invece del tutto normale pensarla così. I telespettatori italiani sono stati di certo sconcertati quando Dugin ha tranquillamente affermato che il motivo dell’aggressione all’Ucraina era quello di liberare il paese dalla “banda di gay” che lo domina e di “salvare il mondo dal peccato”. Sarebbe comunque interessante conoscere perché, come e da chi sia stato escluso da trasmissioni, ad esempio da “Controcorrente” del 23 marzo scorso.

Più che meravigliarmi della cosa – già affermata da Kirill nel suo appello ai militari russi il giorno prima dell’inizio dell’aggressione all’Ucraina, dove li incitava a combattere con valore per il popolo russo, in una guerra che dichiarava in pratica non solo giusta, ma santa – devo confessare, che essa mi ha divertito. Mi sarei aspettato che l’On.le Zan si precipitasse a imitare il tebano Gorgida, fondatore dell’eroico “battaglione sacro” e corresse in Ucraina. Invece niente! Neppure una flebile protesta. Solo un rinnovato appello alla pace (senza beninteso precisare se fosse la pace di Putin o quella di Zelensky, come se la cosa non avesse importanza) e alla cessazione delle uccisioni e distruzioni.

Non è un appunto al prode Onorevole citato. Anche il Vaticano non ha fatto molto meglio. Ha deplorato l’aggressione, ma non l’aggressore. Non ha criticato Kirill per il discorso inviato alle Forze Armate russe prima dell’aggressione (e non mi si venga a dire che i soldati non sapevano di andare ad attaccare l’Ucraina, perché addormentati come affermano i prigionieri russi alla propaganda di Kiev!), né per il fatto di essersi schierato a favore al 100% del regime, di cui è una delle colonne, né infine di aver lasciato affermare che l’esercito russo è in Ucraina a combattere “l’Anticristo”.

La razionalità, ragionevolezza e moderazione della Santa Sede, proprie della cultura occidentale, sono le ragioni profonde del suo appeasement. L’invito a Kirill di andare a Kiev con Papa Francesco dimostra una carenza di intelligence. Nel caso migliore, gli ucraini avrebbero accolto a sassate il Patriarca. La visita sarebbe terminata nel ridicolo.

Un altro episodio di eccesso di cautela che mi è sembrato tale è quello verificatosi in un’intervista di Lucia Annunziata e mons. Spadaro di Civiltà Cattolica. L’Alto Prelato, per dimostrare la fermezza del Vaticano nel prendere posizione sulla crisi ucraina, adduceva il fatto che il Papa avesse parlato di “guerra” e non, come Putin, di “operazione militare speciale”. La brava conduttrice ha sorriso comprensiva. Forse perché aveva ricordato che la dottrina tradizionale cattolica della “guerra giusta”, consolidata da più di quindici secoli e ribadita nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1985 e nella lettera di Giovanni Paolo II del giugno 1982 all’Assemblea Generale dell’ONU, che spense le polemiche create dalla “Lettera dei vescovi americani sulle armi nucleari”, sembra sia stata ufficialmente sconfessata. Confesso di esserne rimasto molto stupito. Non vedo come senza tale millenaria dottrina, la Santa Sede possa parlare di pace e di guerra. Beninteso, potrà esaltare il pacifismo o raccomandare al “Cuore di Maria” le vittime, oppure potrà essere strumentalizzata dai belligeranti per la propaganda di guerra, come Zelensky tenta di fare. Ma la pace è altra cosa. Non per nulla i teologi hanno sempre collocato la guerra giusta nella categoria teologica della Caritas. Non in quella della justitia, con una sola eccezione: quando c’era da sostenere la colonizzazione spagnola e portoghese, gabellate per “cristianizzazione degli indi”.


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