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Xi Jinping

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Prosegue in Cina senza alcuna (apparente) sbavatura la politica di tolleranza zero per la gestione del Covid. Il presidente Xi Jinping non ha mancato, ancora pochi giorni fa, di rimarcare la robustezza dal punto di vista scientifico e la superiorità di tale prospettiva di gestione della pandemia rispetto al modello occidentale.

LA CROCIATA DEL LEADER

Siamo di fronte, a tutti gli effetti, a una sorta di crociata di un leader che, essendosi intestato nel 2020 i successi della politica zero-Covid, non può ora fare dietro front, nell’anno del ventesimo Congresso del Partito comunista che, secondo le previsioni (di tutti fino a pochi giorni fa), dovrebbe sancire il mandato a vita del Presidente Xi. Quest’ultimo, in particolare, ha deciso di mettere il tema della salute davanti a tutto e tutti: temendo probabilmente che una gestione più permissiva potrebbe portare rapidamente il sistema sanitario nel caos a causa della bassa incidenza delle vaccinazioni nelle fasce di età più avanzate (basti pensare che meno del 50% degli ottantenni cinesi ha completato il ciclo vaccinale).

In virtù di questo atteggiamento intransigente del leader supremo di Pechino il dibattito prevalente sui media mainstream (nazionali e internazionali) si sta concentrando sulle inevitabili e pesanti ripercussioni economiche conseguenti a tale politica. Sono del resto numerose settimane che oltre 300 milioni di persone, 41 città e circa il 30% del Pil sono sotto lockdown: tanto per dare un’idea ai nostri lettori di quanto sta accadendo a Shanghai – il centro economico finanziario del Dragone – Tesla ha recentemente annunciato che ad aprile ha prodotto 1.500 automobili contro le circa 70.000 che produce abitualmente. La domanda interna ha avuto un andamento negativo nel corso del mese di aprile e sono ormai in molti a sostenere che l’obiettivo di crescita fissato per il 5,5% sia semplicemente un miraggio.

Le analisi sulle pesanti ricadute economiche (negative) della politica cinese di tolleranza zero non colgono tuttavia l’aspetto paradossalmente più delicato: quello di natura politica.

PROTESTE CENSURATE

La crociata di Xi contro il Covid rischia infatti di minare il contratto implicito, che vige da sempre tra il Partito comunista e il popolo, ovvero: la leadership politica si occupa di creare condizioni economiche favorevoli e permette alle persone di diventare ricche in cambio della quiescenza politica dei cittadini.

Sono infatti sempre più frequenti, sui social network cinesi, i post (prontamente cancellati) di individui che si lamentano dell’atteggiamento rigidissimo delle autorità locali circa qualsiasi forma di spostamento – anche quella riguardante l’acquisto di beni di prima necessità – e/o evidenziano enormi difficoltà nella gestione del proprio business.

Questa escalation di vivaci lamentele – assolutamente non presente a febbraio 2020, nella primissima ondata di diffusione del virus – è quindi un segnale tutt’altro che secondario, che alcuni esponenti del Partito comunista hanno cominciato a cogliere.

Infatti, a dispetto di qualsiasi previsione, anche solo di un paio di mesi fa, sta emergendo un dibattito all’interno della dirigenza di Pechino che riguarda sia la dimensione politica che economica. Sul primo fronte, la continua ingerenza del Partito nella vita dei cittadini – basti ricordare che il sindaco di Shanghai ha esplicitato che le misure di isolamento sono da considerare alla stregue di ordini militari – sta richiamando alla mente l’oscuro periodo del Grande Balzo in avanti voluto da Mao e, in quanto tale, comincia a essere quantomeno temuto da alcuni esponenti del Partito.

ECONOMIA SOTTO STRESS

Per quanto riguarda la dimensione economica, è addirittura intervenuto a più riprese il primo ministro cinese – Li Keqiang – che si sta facendo valere per un approccio pragmatico e poco impregnato di ideologia. È stato infatti in primo luogo promotore, a valle di alcune visite ispettive nelle province della Cina, di azioni volte a sostenere lo spirito imprenditoriale di soggetti privati cinesi e rafforzare il sistema delle imprese big tech nell’obiettivo di valorizzare il più possibile la cosiddetta platform economy che, con Alibaba e Tencent, ha conseguito risultati molto positivi prima della reprimenda portata avanti dal presidente Xi nei confronti di Jack Ma.

Lo scorso fine settimana ha inoltre evidenziato che l’andamento negativo dei livelli occupazionali comincia a essere preoccupante e, in questo senso, ha incoraggiato le autorità locali a privilegiare l’attuazione di politiche volte a proteggere il lavoro per assicurare condizioni di stabilità economica. Nel complesso, la pandemia sta colpendo molto durante e su più fronti l’altra superpotenza del pianeta: nel 2020 ha determinato la mancata rielezione di Trump negli Usa, in Cina potrebbe contribuire a far recuperare terreno a quella parte del Partito che auspica una leadership maggiormente condivisa. Presupposto, questo, che aveva caratterizzato i quarant’anni di straordinaria crescita economica avviati nel 1978 con il processo di riforma fortemente voluto da Deng Xiaoping.


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