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Il presidente del Consiglio Mario Draghi e il presidente russo Vladimir Putin

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OGNI giorno in Europa si consumano in questi giorni fra i 3 e i 4 miliardi di metri cubi al giorno, pari alla produzione di un anno dell’Italia. Dalla Russia arrivano circa 300 milioni di metri cubi al giorno, volume che passa in gran parte per l’Ucraina e che mai si è interrotto in questi mesi. È calato a dicembre, forse per speculare e far salire i prezzi, forse perché hanno dovuto riempire il nuovo gasdotto North Streamm 2, forse per costringere l’Europa a far partire il nuovo tubo. I flussi stanno tornando a normalità e non si sono mai interrotti e ciò contrasta con i venti di guerra degli ultimi giorni. Nessuno si può permettere una chiusura dei tubi che portano il gas verso l’Europa.

La Von der Leyen ha ragione che se dovesse accadere per quest’inverno ce la faremo, certo, perché mancano 29 giorni alla primavera e non ha fatto molto freddo, con le scorte che sono rimaste alte. Ma dopo? Già ad aprile si deve cominciare a riempire di gas le scorte, altrimenti a ottobre saremo nelle stesse condizioni della scorsa estate quando è partita la spirale rialzista. Non può farne a meno la Russia, perché un 20% delle sue entrate governative giungono dalle esportazioni di gas, valore che quest’anno con questi prezzi salirà al 30%. Nemmeno l’Ucraina ne può fare a meno, sia perché ne prende anche lei di gas dalla Russia, sia perché incassa miliardi di dollari dalle tariffe di transito che fa pagare ai russi.

Chi è messo peggio, come ha giustamente ricordato il nostro  presidente del consiglio, è l’Italia, il paese che, un po’ come Olanda e Gran Bretagna, ha la più alta quota di produzione elettrica da gas, prossima al 50%. La differenza è che noi la quasi totalità di questo gas lo importiamo, mentre Olanda e Gran Bretagna hanno più flessibilità, un po’ per produzione interna, un po’ per più interconnessioni e capacità di importare gas liquido via nave. Avessimo tenuto aperta capacità di produzione elettrica a carbone o addirittura a olio combustibile, quello che per noi italiani è stato per 30 anni il principale combustibile. Abbiamo chiuso centrali elettriche che consideravamo vecchie e sporche per buttarci sul gas senza avere sufficiente flessibilità. Abbiamo stravolto uno dei principi fondamentali del fare elettricità, quello che impone di avere flessibilità nelle centrali elettriche con scorte a fianco degli alternatori del combustibile che si deve impiegare in caso di problemi ad altri impianti.

Negli ultimi anni si è aggravata la situazione con l’arrivo della rivoluzione delle rinnovabili, che hanno aggiunto, con la loro intermittenza e dispersione, ulteriore complessità e rigidità. Se non bastasse poi, occorre sottolineare sempre la nostra alta dipendenza da importazioni elettriche dall’estero, paradossalmente quasi tutto nucleare dalla Francia. La crisi del 2021, tutt’altro che chiusa, deve ricordarci alcuni principi fondamentali, a partire da quello che necessitiamo di capacità di generazione elettrica non solo a gas per compensare le rinnovabili, dovessero queste, le intermittenti, il sole e il vento, diventare davvero più importanti, come tutti si augurano, ben superiori al 17% del totale di oggi.

Abbiamo ancora delle centrali a carbone e un po’ di capacità a olio che dà grandi soddisfazioni economiche a chi le sta usando in questi giorni e il riaprirne di altra simile aiuterebbe ad aumentare il grado di sicurezza del nostro sistema elettrico. Parlare di nucleare, di quarta o altra generazione, di fusione e, come sempre, di più rinnovabili, ci allontana da una cruda realtà.

Occorre avere il coraggio di sporcarsi di più le mani, se davvero preoccupano le bollette degli italiani. 


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