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Vittorio Feltri

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Vittorio Feltri, classe ’43, pura razza padana, in questi giorni è come spesso gli capita, al centro di un dibattito tragicomico.

Trattasi d’un polverone mediatico che vorrebbe disegnarlo come una sorta di Hitler della Val Seriana: un razzista che, divorato dal fanatismo, ama bruciare la cartina geografica da Roma in giù (Roma compresa); uno che, nei sotterranei della sua villetta orobica costruita mani nude da ariani bergamaschi, nasconde camere a gas per meridionali; e che, dal Pil alla pizza, guida la fiammeggiante armata del nord avvolto nella bandiera dell’Atalanta inneggiando all’odio razziale.

Tant’è che lo scrittore De Giovanni e il mio amico Sandro Ruotolo l’hanno denunciato penalmente, scomodando addirittura la legge Mancini sull’odio. Senza sminuire la drammaturgia dell’insieme, la cosa mi pare un tantinello esagerata. Feltri che odia non esiste. Al limite ti trafigge con una battuta. Anche se, certo, la battuta sui “meridionali inferiori” fatta a Mario Giordano su Rete4 poteva sembrare infelice. E forse lo era. Ma Feltri è Feltri. Venderebbe la madre per una battuta. Specie se, conoscendo perfettamente i tempi televisivi, egli si vede in grado di dilatare la potenza di quella stessa battuta in un effetto mediatico tale da mantenerlo sugli scudi della cronaca per giorni, consentendogli di entrare in sintonia col proprio pubblico; perfino aumentando i lettori. Ha sempre fatto così: come Montanelli si diverte come un pazzo a fare il bastian contrario.

Su quella battuta il diretùr si è, in seguito, ampliamente spiegato per iscritto è in tv a Non è l’Arena: intendeva inferiorità economica. “Il sud ha dei margini di arretratezza riconosciuti dagli stessi signori che abitano al sud”. Ci sono 14mila campani che salgono in Lombardia a curarsi” ecc, ha ripetuto. Concetti forse -per il sud- irritanti ma oggettivamente irrefutabili; ed espressi in un’era di Covid in cui la Lombardia -per il nord- può apparire sott’attacco.

Certo, per molti quella sparata era fuori luogo. Diciamo che non ha calcolato la gittata. Come fuori misura è la controindicazione: alcuni edicolanti del sud rifiutano di vendere Libero, il giornale di Feltri (LEGGI). La qual cosa per chi, come me, ci lavora è seccante.

Ora, io sono di parte. A Vittorio Feltri voglio bene: oltre ad essere una voce della Treccani, è -con Montanelli- l’uomo che a cui debbo gran parte della mia carriera. In più è un mentore riottoso. Con la capacità di scovare e cucinare le notizie; e di fare da balia ai giornalisti che minacciano un minimo di talento. Tra i molti cronisti allattati, nei decenni, alla sua scuola, almeno la metà sono meridionali. Da Marcello Veneziani a Nino Sunseri, da Paolo Isotta a Lucia Esposito attuale capo della cultura di Libero a decine d’altri: sono tutti sempre lì ad insistere sulla grande libertà e rispetto concessogli dal diretùr, pari solo al suo caratteraccio comunque ammorbiditosi con gli anni. Con Feltri io ci ho litigato, spesso non mi sono ritrovato sulle sue posizioni, certe volte mi ha dato del coglione (talora non a torto). Ma l’ho visto con i miei occhi assumere colleghi meridionali rimasti su una strada; o affidare loro incarichi preziosi come usava il napoletanissimo Gaetano Afeltra con Indro Montanelli. Io stesso, pur lombardo di residenza e veneto d’adozione, rimango fieramente pugliese nel fondo dei cromosomi. E da terrone non ho mai lontanamente pensato all’idea d’ un Feltri odiatore. Anzi, pochi sanno che l’uomo, per il Meridione, nutre una passione quasi insana.

Da cronista al Corriere della sera scrisse reportage memorabili studiando la narrativa di Corrado Alvaro e andando sulle tracce di Sciascia. Amava, per dire, Luciano De Crescenzo, un genio assoluto. Quand’ero capo degli spettacoli l’ho visto, nei giorni in cui vinceva l’Atalanta, spesso volteggiare fino alla scrivania di colleghe piacenti canticchiando il repertorio della canzone classica napoletana di cui evidentemente -come Bossi- sospetto conosca dialetto e spartiti. Nel suo ultimo libro parla addirittura in termini estatici del Sud e del Molise; in particolare tratta come una sorta di Shamballah il paesello di Guardialfiera, il luogo dove passava da ragazzo le vacanze con gli zii, a cui ha mi dicono abbia elargito anonimamente cospicue donazioni. Il problema è che, avendo un conto aperto con molte delle inefficienze dal sud a cominciare dall’Ars sicula per finire con quella parte dei napoletani che offrono alla vita lacrime da sceneggiata (e che rischiano d’affondare la dignità d’ un popolo con una grande storia), Feltri ha spesso uscite tranchant. Che servono a fare il gioco dei detrattori. L’uomo non ha certo bisogno della mia difesa, e scordatevi le sue scuse. Ma a volte è utile vedere entrambi i lati della medaglia. Taggio vuluto bene a te, tu m’hai vuluto bene amme…


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