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Un profilo social che esalta Al Pacino in versione padrino

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La crisi economica scatenata dal Covid sta già rafforzando le mafie, pronte a inserirsi lì dove gli aiuti statali non arrivano. E a calamitare le attenzioni delle giovani generazioni, in particolare al Sud, per le quali la prospettiva di un lavoro stabile sta già assumendo i contorni di una chimera. All’allarme lanciato da magistrati, prefetti e sindaci durante il lockdown si associa quello del prof. Enzo Ciconte, ex deputato di Pci e Pds, fra i massimi esperti in Italia delle dinamiche delle grandi associazioni mafiose e docente del corso “Storia delle mafie italiane” al Collegio Santa Caterina Univ. di Pavia.

Come si stanno muovendo le organizzazioni mafiose?

«Su diversi piani. Il primo, più preoccupante, è quello dell’assistenza a chi ha gravi problemi di reddito, fornendo beni di prima necessità, come il cibo. E’ successo, ad esempio, a Napoli. Il secondo è quello dell’usura, dei prestiti a strozzo assicurati ai piccoli imprenditori che non sanno come tenere in piedi la loro attività. Il terzo è l’acquisto di società, aziende e alberghi in crisi a prezzi molto convenienti. Ma su questo si potrà far luce sono nei prossimi tempi».

Intanto per i più giovani il crimine può diventare una facile tentazione in assenza di lavoro…

«Lo è sempre quando l’offerta, sia pubblica che privata, non risponde alle esigenze di lavoro. Dopo il 1992 i mafiosi hanno capito di non poter vincere la sfida militare con lo Stato, per cui la partita si gioca sul terreno economico, culturale e di consenso e in questo il ruolo dei giovani è fondamentale. Non è un caso che il crimine organizzato abbia rovesciato alcuni suoi paradigmi…»

Quali?

«Ricorda le tre scimmiette: “Non vedo”, “Non sento”, “Non parlo”? Ecco, se le dimentichi. Oggi il mafioso vede, parla, si mostra, propone la sua immagine di persona di successo. Fa passare il messaggio che convenga stare dalla sua parte per avere una vita magnifica. E lo fa anche usando Facebook e Instagram».

Mi sta dicendo che i mafiosi stanno diventando influencer?

Enzo Ciconte

«Senza alcun dubbio. Diversi boss arrestati avevano un profilo social. Oggi i mafiosi hanno la mania di essere presenti su queste piattaforme».

Ma non è rischioso per loro?

«Certo che lo è. Molti, però, sono incensurati, quindi rischiano meno. Altri, invece, sono semplicemente stupidi. E’ capitato di catturare latitanti che avevano postato un selfie scattato in note località turistiche».

Tutto per un like…

«Esatto. E’ una cosa a cui tengono molto. Se io metto un like a un loro post e successivamente non dovessi fare lo stesso con altri contenuti pubblicati potrebbe arrivarmi una richiesta di spiegazioni via messaggio privato di questo tenore: “Ti ho fatto qualcosa?” “Ti ho offeso?”. E’ il loro modo per comunicare che ti seguono e ti controllano. Capisce, quindi, che non solo la magistratura ma anche la politica e la scuola devono essere all’altezza di questa nuova sfida».

Ha citato la scuola. Voi educatori cosa dite agli studenti per tenerli lontani da queste realtà?

«Personalmente li invito a conoscere la propria realtà. Poi gli spiego che nella storia dell’uomo nessuna idea di futuro, progresso e sviluppo si è mai affermata ricorrendo alla violenza. Infine di non pensare di fare strada puntando su raccomandazioni e conoscenze, perché ce la possono fare da soli. Aggiungo che rispettare la legalità non significa obbedire e basta. Se una legge è sbagliata ci sono strumenti leciti per cambiarla, senza bisogno di rivolgersi al padrino di turno».

Questo sforzo per accrescere il potere durante la crisi cambierà i rapporti di forza fra le diverse organizzazioni?

«Difficile dirlo. Un tempo la più potente era la Camorra, poi si è imposta Cosa Nostra e ora la ‘Ndrangheta. I rapporti di forza fra le mafie sono già cambiati in passato e cambieranno anche in futuro, anche se l’augurio è che il fenomeno sparisca».

Si parla tanto della mafia Garganica e di società Foggiana…

«Non credo riusciranno mai a scalare la classifica, a imporsi su organizzazioni che hanno alle spalle una lunga storia e tradizione. Piuttosto bisogna tenere d’occhio le cosiddette mafie autoctone che stanno sorgendo al Nord. Organizzazioni presenti con risorse e numeri che non sono né siciliani, né calabresi né campani. Nessuno sa cosa uscirà da quel mondo».

E i clan stranieri?

«Il mercato della droga è grande, c’è posto per tutti. All’orizzonte non si vedono nuove guerre di mafia, perché uccidere crea allarme sociale, non conviene. Si tornerà a sparare solo se il traffico di stupefacenti subirà tali restrizioni da rendere necessario conquistare una domanda più ampia. Ma al momento questa è una possibilità remota».


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