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Giorgia Meloni rompe con il passato del suo predecessore, e a poche settimane dall’insediamento rompe con i partner europei

Sono passate appena tre settimane dai discorsi di insediamento di Giorgia Meloni alle camere. Le parole della presidente del consiglio apparvero allora apprezzabili non soltanto per i toni moderati, ma soprattutto per la dichiarata continuità con la linea del governo di Mario Draghi. Un governo che, nelle condizioni date, aveva raggiunto risultati ottimali.

Aveva vinto la sfida della vaccinazione su tutto il territorio nazionale, Aveva conquistato l’ammirazione dei partner europei e occidentali per la capacità di gestire momenti di transizione molto difficili restando ancorati al sistema di alleanze che hanno reso forte il nostro paese. Aveva perfino invertito la rotta dell’economia nazionale, garantendo punti di crescita a dispetto di almeno venti anni di declino. Infine, il governo Draghi era riuscito nella missione impossibile di prendere le redini dell’Europa, guidandola nella tempesta della guerra di aggressione scatenata dalla Russia in Ucraina e rafforzando la solidarietà europea sui fronti delle sanzioni economiche contro Mosca e dell’indipendenza energetica dalle forniture russe.

MELONI AVEVA LASCIATO INTENDERE DI VOLER PROSEGUIRE NEL SOLCO DI DRAGHI MA… ROMPE CON I PARTNER EUROPEI

Giorgia Meloni aveva fatto intendere che l’atteggiamento dell’Italia sulle questioni cruciali il nostro paese avrebbe continuato a camminare sulla linea tracciata da Mario Draghi. Pertanto, attuazione del Pnrr nel rispetto degli impegni con l’Unione europea e fedeltà all’alleanza atlantica nella gestione della crisi in Ucraina. Sembrava perfino che Giorgia Meloni, rinunciando alle derive trumpiste e orbaniane del suo partito, avrebbe potuto riscrivere l’evoluzione della destra italiana in chiave liberal-democratica, europea e occidentale. Rassicurato su questi indirizzi, lo stesso Draghi aveva cercato di garantire i partner europei sulle buone intenzioni dell’Italia.

Ebbene, ad appena tre settimane dall’incarico, il castello di credibilità che Draghi aveva cercato di edificare e che Meloni sembrava desiderosa di ereditare sembra già crollato. E per che cosa poi? Per lasciare riemergere le trite esibizioni muscolari contro i disperati del mare che, durante gli anni del governo gialloverde, avevano rappresentato le fondamenta della fortuna di Matteo Salvini, ma, alla lunga, anche l’anteprima del suo improvviso capitombolo. La domanda che tutti si fanno è: ce n’era bisogno? Visto che era partita così bene, perché Giorgia Meloni ha pensato di scegliere questa strada impervia con il rischio di inimicarsi tutti i partner europei?

L’ITALIA STRAVOLGE LA SUA COLLOCAZIONE IN EUROPA

Nel giro di pochi mesi, l’Italia stravolge la sua collocazione in Europa. Cinque mesi fa l’immagine del treno che portava Draghi, Macron e Scholz a Kiev segnava una nuova leadership europea che vedeva l’Italia come protagonista indiscussa nel fronteggiare la minaccia espansionistica del Cremlino. Oggi il patetico sodalizio tra Italia, Malta, Grecia e Cipro sulle politiche migratorie sposta Roma ai confini dell’Europa sul fronte degli ‘sfigati’ del Mediterraneo,
capaci solo di piangere miseria e di supplicare l’intervento risolutivo dei paesi europei più forti.

Significativo che domenica scorsa, nel corso della trasmissione televisiva di Lucia Annunziata, il ministro degli esteri Antonio Tajani abbia rivelato imbarazzato su due banali domande della conduttrice. La prima: ma davvero questa è una priorità per l’Italia? La seconda: c’era bisogno, per questo motivo, di creare una crisi con la Francia, la Germania e gli altri paesi europei? La risposta è, ovviamente, no. L’Italia – al pari di Polonia e Ungheria – raccoglie molti meno immigrati rispetto ad altri paesi europei. E no, non era proprio il caso di mettersi a litigare con Francia e Germania in questa fase della storia europea. A meno che, nella mente di Giorgia Meloni, questo non sia soltanto il primo episodio di una serie di iniziative che puntano a minare le fondamenta dell’edificio comunitario.

L’uso dei salvataggi in mare da parte delle ong può forse guadagnare qualche consenso al governo sul fronte interno (evitando a Meloni di essere scavalcata a destra da Salvini). Ma di certo costituisce un errore strategico sul piano europeo tale da rendere assai accidentato il percorso dell’esecutivo nei prossimi mesi.

MELONI DOVEVA ASSICURARSI L’AMICIZIA DELLA FRANCIA TRA I PARTNER EUROPEI

Se c’era una cosa che Meloni doveva fare fin dall’inizio era proprio confermare e assicurarsi l’amicizia della Francia. Il fatto che Macron sia stato il primo capo di governo incontrato dalla premier italiana sembrava andare in questa direzione. In queste settimane comincia infatti il complicato negoziato sul patto di stabilità per il quale Draghi e Macron avevano lavorato all’unisono. La vicenda delle ong, viceversa, allontana la Francia dall’Italia. Allo stesso modo, questo stile muscolare ma goffo non può certo conquistare la simpatia della Germania che andrebbe gestita con migliore sapienza.

La politica sgangherata sull’immigrazione rischia semplicemente di riconfermare la lunga lista dei luoghi comuni sul nostro paese. Sul punto, Meloni ha perso anche la collaborazione della Spagna, l’unico Stato mediterraneo che poteva davvero fare la differenza e con il quale avrebbe avuto senso costruire un’alleanza. Non sembra affatto che Pedro Sanchez – che in passato non ha apprezzato i comizi indemoniati di Meloni a favore di Vox – abbia voglia di fare da partner a un alleato così imbarazzante.

Sull’onda delle intemperanze trumpiste di Salvini, avallate da Meloni, il governo italiano sembra non aver capito che l’immigrazione si può risolvere soltanto con l’adozione di politiche serie, fuori e dentro l’Italia. Sul fronte internazionale, serve ristabilire, di concerto con gli altri partner dell’Unione europea, un canale diplomatico con la Libia, dove da alcuni anni scorrazzano senza freni Turchia e Russia. Solo così sarà possibile controllare e regolamentare in qualche modo la partenza dei migranti e la mafia degli scafisti. Sul fronte interno, sarebbe finalmente l’ora di modificare la legislazione sull’immigrazione, cristallizzata nel tempo della Bossi-Fini, nella consapevolezza che se non si autorizza una forma regolare di ingresso nel nostro paese continueremo ad alimentare solo ed esclusivamente l’immigrazione clandestina.

L’ASSE DI MELONI CON GRECIA, MALTA E CIPRO COME PARTNER EUROPEI

Infine, l’asse meloniano con La Valletta, Atene e Nicosia a scapito dell’asse draghiano con Parigi e Berlino precipita la politica europea dell’Italia nella farsa. Davvero si pensa che queste partnership possano fare dell’Italia un interlocutore affidabile nel confronto con l’asse rigorista del Nord, nel momento in cui dovremo trattare sulla riforma del patto di stabilità e sulla rinegoziazione del Pnrr? Né si può pensare che sia possibile far passare politiche dell’immigrazione di impronta orbaniana ed euroscettiche sotto l’ombrello della alleanza con gli Usa.

Aver accettato la linea della solidarietà atlantica non esime l’Italia da una politica di collaborazione con gli altri paesi dell’Unione europea. Bisogna capire una volta per tutte che il cappello protettivo degli Usa è la base senza la quale i paesi europei comincerebbero di nuovo a farsi la guerra tra loro. E se l’Italia comincia a fare confusione con l’immigrazione raggiungerà un unico risultato: l’irritazione di tutti i suoi alleati. Perfino di Joe Biden, il quale per fronteggiare le mire espansionistiche di Russia e Cina ha bisogno che l’Europa sia unita. E che l’Italia faccia la sua parte.


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