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Il Sud Italia è ricco di risorse per produrre energia pulita. Acqua, vento, sole e rifiuti sono le miniere delle nuove materie prime

Il futuro dell’energia cambia il punto cardinale. Dallo sguardo rivolto verso il Settentrione, verso le Alpi la cui disponibilità idroelettrica dalla fine dell’800 ha consentito lo sviluppo industriale del Nord, è arrivato il momento di spostare l’asse verso il Mezzogiorno. Cambia la tecnologia energetica, ora sostenibile, e con essa cambia la prospettiva.

Le nuove energie sono il sole e il vento; ma anche i rifiuti come materia prima energetica oppure i nuovi carburanti non fossili ottenuti dalle colture. Sono alcuni degli spunti che dal Festival Euromediterraneo dell’Economia entrano nei dettagli operativi della Carta di Napoli, il documento da cui nasce una nuova tendenza di politica economica e sociale.

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I numeri

L’Italia riesce a produrre con le sue risorse appena il 22,5% dell’energia di cui ha bisogno: il resto è d’importazione. Però se si guarda alle tecnologie energetiche del futuro, l’Italia è seconda per disponibilità di risorse rinnovabili e, se riuscirà a razionalizzare il suo modo di consumare, l’Italia può arrivare a un’indipendenza energetica pari al 58,4%.

«Il Centro-Sud riveste un ruolo di primo piano: sfruttando acqua, vento e sole e rifiuti, di cui dispone in abbondanza, può fornire un contributo concreto al percorso di transizione ecologica del Paese – aveva osservato durante l’evento napoletano Renato Mazzoncini, amministratore delegato dell’A2A -Queste regioni sono in grado di generare circa il 60% della produzione incrementale di energia da fonti rinnovabili, le miniere delle nuove materie prime».

Fotovoltaico sui tetti, energia dalla immondizia

Secondo uno studio commissionato dall’A2A, il Mezzogiorno può generare il 60% della potenza solare addizionale sui 105,1 gigawatt dell’intera Italia e il 95% dei 21,1 gigawatt eolici aggiuntivi attesi in Italia, di cui circa un terzo senza bisogno di posare nuove eliche ma semplicemente potenziando, ammodernando e adeguando alle nuove tecnologie gli impianti che sono già in produzione.

Il revamping, cioè l’ammodernamento di impianti esistenti, è uno degli obiettivi più interessanti perché le zone più ventose, i crinali più interessanti, le selle montane dove la brezza è costante furono occupati per primi, decine di anni fa, quando le eliche erano poco efficienti. Oggi una sfida è cambiare torri eoliche ed eliche con pale dal profilo più efficiente per estrarre meglio l’energia dall’aria.

Gianni Vittorio Armani, amministratore delegato dell’Iren, ricorda l’importanza della depurazione delle acque usate («Quasi tutto il Sud, pur con questo mare fantastico, è in infrazione europea per la mancanza di impianti di depurazione») da integrare con le risorse rinnovabili e con i bacini idrici da usare come riserva potabile, come risorsa irrigua ma anche come strumento per produrre energia idroelettrica modulabile.
Ma il Mezzogiorno, partendo dall’esperienza di A2A ad Acerra, potrebbe scoprire quel ricupero energetico dai rifiuti già molto sviluppato in Alta Italia.

La frontiera dell’eolico in mare

Stefano Donnarumma – che per tre anni aveva guidato Terna, la Spa dell’alta tensione – ha chiari gli investimenti necessari per far affluire l’energia rinnovabile del Mezzogiorno. Per raggiungere gli obiettivi energetici servono centrali per complessivi 70mila megawatt. L’Italia è un Paese industriale «perché ha avuto l’energia prodotta con l’idroelettrico; tanti anni fa l’energia scendeva dal Nord al Sud Italia ma adesso si è invertito il flusso», ricordava durante il Festival Euromediterraneo. «Vale 21 miliardi di investimento di Terna nei prossimi dieci anni».

L’Italia, come ponte gettato attraverso il Mediterraneo, può collegare ancora meglio l’Europa con i Paesi del Nord-Africa, a cominciare con il collegamento sottomarino in alta tensione progettato con la Tunisia (ha ricevuto il suo benestare anche dalla Comunità europea). Ma le connessioni, ponti fra luoghi sulle diverse sponde, riguardano anche la complessità italiana come il Tyrrhenian Link, il colossale elettrodotto dei primati (anche quello di 2mila metri di profondità marina) che collegherà sotto il Tirreno la Campania, la Sicilia e la Sardegna per mettere in connessione con l’Europa le grandi aree eoliche marine, al largo della Sicilia e a sud della Sardegna.

Intercettare il vento in alto mare

La caratteristica delle rinnovabili è che bisogna raccoglierle là dove sono: l’acqua dove ci sono i dislivelli migliori, il vento dove soffia più costante, il sole dove è più brillante. La grande sfida eolica, ricordava Mazzoncini di A2A, è intercettare il vento dove è abbondante ma irraggiungibile perché non c’erano ancora le tecnologie: l’alto mare. Oggi invece si riesce. Pierroberto Folgiero, amministratore delegato della Fincantieri con un passato al vertice della grande ingegneria, vede un’eccellenza non solamente nella cantieristica delle navi da crociera che fanno dell’Italia la leader mondiale: è l’ora dell’eolico galleggiante.

«L’Unione europea ha detto che bisogna fare 60 gigawatt di eolico a mare – ha detto Folgiero al Festival Euromediterraneo – che si fa su grandi floater che sono colossali oggetti d’acciaio su acque. Sono oggetti di acciaio complesso dal punto di vista navale perché devono galleggiare; devono reggere anche mare cattivo e vento di tempesta sostenendo una turbina di 15 megawatt. Si mettono dove c’è il corridoio del vento, il corridoio si chiama maestrale». Taranto, con l’acciaio e il suo indotto, e la grande cantieristica del Sud possono essere il nuovo polo mediterraneo dell’eolico galleggiante.

Dalla gigafactory alla bioraffineria

L’altro modo di catturare l’energia dove si trova è il fotovoltaico, e Nicola Lanzetta dell’Enel ricorda che «nei prossimi tre anni Enel investirà in Italia 17 miliardi, e 7, circa il 45%, li farà in nel Sud. Come con la fabbrica di Catania». Lo stabilimento Enel alle porte di Catania è la principale fabbrica europea di moduli fotovoltaici, e con un investimento di circa 600 milioni nell’arco del 2024 avrà un migliaio di addetti (altrettanti nell’indotto) e sarà 15 volte superiore, passando da una capacità produttiva di 200 megawatt a 3 gigawatt. «Sarà una fabbrica così grande che supererà la somma della produzione di tutte le altre fabbriche europee», ricorda Lanzetta.

Per completare la filiera, la vecchia centrale termoelettrica calabrese del Mercure, che bruciava carbone, potrebbe diventare un polo di riciclo e produzione di pale eoliche con materiali ricuperati. Lapo Pistelli dell’Eni ha ricordato il ruolo delle bioenergie, come la bioraffineria che sorge a Gela correlata con la produzione di materie prime energetiche di origine vegetale avviata dalle colture promosse dall’Eni in Kenya: «Abbiamo 40mila ettari già in coltivazione con 35mila agricoltori coinvolti per produrre dal ricino, dal croton e da altre oleaginose che diventano materie prime per i carburanti sostenibili non fossili».


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