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Lega, Salvini sotto ricatto: pronto il foglio di via se non realizza l’autonomia

RESIDUALE al Sud. Ridimensionato al Centro. Doppiato al Nord. Matteo Salvini è ormai un capitano dimezzato e sotto ricatto. Il suo progetto di partito personale, di partito esportabile è miseramente fallito. Ma, a differenza di Enrico Letta, il leader del Carroccio non si toglie le mostrine del comando. Non si degrada sulla pubblica piazza.

Sa, però, che d’ora in poi dovrà fare quello che gli diranno i suoi sottoposti. In primo luogo il governatore del Veneto Luca Zaia, forte del suo 14 per cento e, a seguire, Massimiliano Fedriga, il presidente della Regione autonoma Friuli-Venezia-Giulia e della Conferenza Stato-Regioni.

Convocherà subito il consiglio federale, convocherà 800 congressi di sezione prima delle fine dell’anno e subito dopo quelli provinciali.

LEGA, SALVINI SOTTO SCACCO

I suoi colonnelli non accetteranno altri temporeggiamenti. Chiederanno che il segretario federale metta sul tavolo del nuovo governo l’approvazione del’’autonomia differenziata. Il vecchio brand della Lega.

Il che vuol dire andare subito allo scontro con il partito di Giorgia Meloni, che invece vorrebbe prendere tempo e dare la precedenza alla riforma del presidenzialismo. Gli uomini della Fiamma non hanno nessuna intenzione di inimicarsi le regioni del Mezzogiorno, proprio adesso che hanno riguadagnato consensi e ridimensionato il Pd. Vorrebbe dire lasciare al M5S di Giuseppe Conte una prateria. Un errore fatale.

Stretto tra il ricatto degli amministratori regionali e la sottomissione alla premier in pectore, il capitano rischia di mettersi anche contro il mondo cattolico che recentemente sull’idea di aprire una corsia preferenziale sull’autonomia differenziata ha espresso riserve. Per non parlare dell’accoglienza che Salvini non vede l’ora di riservare agli immigrati bloccando gli sbarchi in qualità di ministro dell’Interno, un ruolo che gli darebbe una nuova visibilità.

Non cerca di celare l’amarezza, il Capitano: «Sono andato a letto “inca…to” ma oggi mi sono svegliato caricato a molle» ha detto nel corso della conferenza stampa che è stata convocata ieri nel quartier generale di via Bellerio.

Niente felpa, camicia bianca, un lieve accenno di mea culpa. La colpa della disfatta? «Abbiamo pagato i mesi di governo con Draghi, Lamorgese e Speranza… brava Giorgia, il popolo ha premiato le opposizioni».

Sui social si alternano gli insulti e gli incoraggiamenti per tirargli su il morale che oggettivamente è molto basso. Il boom di FdI ha finito per oscurare il risultato tutto sommato soddisfacente ottenuto in Lombardia, dove la Lega, con il suo 13 per cento, non è però più il primo partito.

I FEUDI PERSI DALLA LEGA DI SALVINI

Arretra persino nei luoghi simbolo. Il dato più schiacciante è quello di Ponte di Legno, la cittadina del Bresciano dove Umberto Bossi (non eletto nonostante il primo posto in lista alla Camera a Varese, dove il Carroccio non ha ottenuto alcun seggio) ha passato per anni le vacanze facendo diventare una tradizione il raduno delle camicie verdi a Ferragosto. Fratelli d’Italia è al 44,32 per cento alla Camera e al 45,05 per cento al Senato. La Lega resta ferma al 17,41 per cento.

Per la statistica: nel 2018 il Carroccio era sopra il 40 per cento, Forza Italia fra il 17 e il 18 per cento e FdI non arrivava neanche all’8 per cento. A Gemonio, in provincia di Varese, dove vive Bossi, Fratelli d’Italia supera il 29 per cento, mentre la Lega di Salvini è appena sopra il 15 per cento. Idem a Cassano Magnago, dove il fondatore del Carroccio è nato.

A Pontida FdI esonda e supera quota 30 per cento mentre il Carroccio resta fermo al 23 per cento. Una schiaffo al vessillo di Alberto da Giussano. «La sconfitta di Matteo Salvini ricorda molto da vicino quella di Matteo Renzi in occasione del referendum costituzionale del 2016 – osserva Paolo Feltrin, il docente e politologo veneto che aveva previsto tutto, compresa la “resurrezione” elettorale di Giuseppe Conte – ha cercato di tenere insieme due cose che non stanno insieme: il partito personale e il partito di massa strutturato sul territorio. Due linee di un conflitto parallelo che, alla lunga, rischia di condannarlo al declino».

L’ATTACCO INTERNO

«Salvini è un uomo che ha corso in campagna elettorale e si è impegnato molto. Il suo problema è lo staff che ha attorno, una segreteria politica fatta con i suoi amici e che ha sempre tenuto fuori gente come Zaia o Fedriga che sono i fuoriclasse sui territori»: così esce allo scoperto Gianantonio Da Re, europarlamentare ed ex segretario veneto della Lega Nord.

All’ex sindaco di Vittorio Veneto (Treviso) il discorso del Capitano è piaciuto poco. «Sembra che per lui non sia accaduto nulla – sostiene Da Re – Enrico Letta convoca il congresso e annuncia che non si ricandiderà, mentre Matteo Salvini parla al massimo di congressi di sezione».

L’eurodeputato sollecita a questo punto che venga svolta un’analisi sincera di questi risultati elettorali. «Dovrebbe essere questo tema al primo punto dell’ordine del giorno al primo confronto al K3 (la sede della Lega di Treviso), ma sono tre anni che non ci vado. Non mi invitano o forse – conclude Da Re – sarà perché anche lì confronti non ne fanno».


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