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Viaggio tra le problematiche (ataviche) della scuola italiana. Dalla sicurezza alle classi pollaio

Con il nuovo anno scolastico si ripresentano per studenti e famiglie anche i problemi legati alla sicurezza degli edifici scolastici. Ne prendiamo uno a caso, tra decine di episodi analoghi. A Taranto il 2 maggio scorso le piogge abbondanti hanno causato allagamenti e forti raffiche di vento, che unite a una violenta grandinata, hanno portato al crollo del controsoffitto della scuola Pirandello, nel quartiere Paolo VI.

L’intero edificio pochi minuti prima del crollo era stato interamente evacuato per la presenza di spirito di una dirigente scolastica, che aveva segnalato il pericolo. Naturalmente non tutte le 58.236 scuole italiane (al 21 settembre 2022), ospitate in oltre 40 mila edifici, sono a rischio, ma necessitano di manutenzione. L’elenco e la localizzazione degli edifici scolastici attivi sul sito del Portale Unico dei dati per la Scuola del Ministero dell’Istruzione ci dice che il 32% delle scuole è stato costruito dopo il 1976, il 27% tra il 1961 e il 1975, il 12% tra il 1946 e il 1960, l’8% tra il 1921 e il 1945, il 4% tra il 1900 e il 1920, il 3% nell’800, l’1% prima dell’800. Per un restante 13% manca tale informazione.

Oltre 21 mila scuole non hanno il certificato di agibilità e non arrivano a diecimila gli istituti in regola con la normativa per prevenire gli incendi. Non solo: una scuola su due è in zona a rischio sismico e solo l’8% progettata secondo la normativa antisismica. Il 54% degli edifici scolastici italiani si trova in zone a rischio sismico e tra queste 19 mila in zone a rischio più elevato.

In quel tacito patto tra famiglie e Stato, quando bambini e adolescenti vengono affidati alla cura dell’Istruzione pubblica, si consuma un rischio che non è accettabile per una società evoluta.

Ma i problemi degli edifici scolastici italiani riguardano anche la presenza di amianto in alcuni istituti frequentati da bambini. Un altro esempio tra tanti: nel cortile della scuola romana per l’infanzia Carlo Evangelisti, quartiere Montespaccato, secondo una denuncia dell’Ona, l’Osservatorio Nazionale Amianto, il locale caldaia ha il tetto e la canna fumaria in eternit. A distanza di 30 anni dalla legge 257 che lo ha messo al bando, le scuole in cui giocano e studiano i nostri figli sono ancora piene di amianto.

Solo nell’area complessiva della Città metropolitana di Roma lo scorso anno erano 111 i progetti per la rimozione dell’amianto in altrettante scuole, per un investimento complessivo di quasi 10 milioni di euro regionali dal Fondo di Sviluppo e Coesione 2014-2020. Non va meglio al nord, con Torino, 66 edifici con amianto non bonificato, Milano, 89 edifici con amianto certificato su 665 complessivi, Genova, con 154 su 193.

Ci sono altri aspetti problematici che vanno messi in relazione alla situazione degli edifici scolastici anche se non direttamente legati alla sicurezza. Il decreto ministeriale del 18 dicembre 1975 denominato “Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica”, una sorta di “bibbia” legislativa in materia, dispone che la localizzazione degli edifici scolastici tenga in considerazione, oltre alle condizioni ambientali, anche il tempo massimo e il modo di percorrenza tra la residenza degli alunni e la scuola e viceversa, la raggiungibilità della scuola, che ha riflessi anche sull’ambiente circostante.

I dati OpenPolis ci dicono che quasi 9 edifici scolastici su 10 sono raggiungibili con almeno un mezzo alternativo all’automobile. Ma su scala regionale le cifre cambiano molto e, chi l’avrebbe mai detto?, il Sud risulta penalizzato. Si va dalla quasi totalità degli edifici raggiungibili in Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Abruzzo e Piemonte a circa 2 su 3 in Campania, soltanto il 64%.

La pandemia da Covid, con la didattica a distanza, ci aveva fatto per qualche mese dimenticare i problemi relativi al sovraffollamento scolastico, che qualche giornalista, con efficace metafora, ha definito “effetto pollaio”. Secondo la Uil Scuola la legge di Bilancio 2023 ha previsto che in otto anni verranno eliminate oltre 500 scuole sul territorio nazionale. E non si tratta soltanto di mancanza di spazi vitali, ma di veri impedimenti per la didattica che richiederebbe maggior attenzione, come le aule dedicate all’inclusività e quelle dedicate ai laboratori specializzati.

Secondo i calcoli della Uil la maggior parte dei tagli avverrà al Sud, che sul totale delle 500 scuole tagliate in tutta Italia, nei prossimi tre anni vedrà 330 scuole in meno. Un problema legato alla denatalità, che negli ultimi quattro anni ha registrato un crollo del 6% del numero di alunni mentre già a partire dal prossimo anno scolastico avremo 127 mila studenti in meno.
Così accade che se a livello statistico le classi italiane risultano mediamente composte da venti alunni, nella realtà dei grandi centri abitati si arriva a classi di ventotto studenti.

Dobbiamo infatti considerare i comuni di montagna e le piccole isole dove le classi possono costituirsi con un minimo di dieci alunni. E’ un tema che s’incrocia per sua natura con quello dei docenti per classe e penalizza ulteriormente il Sud. Se in Valle d’Aosta, Friuli e Trentino Alto Adige abbiamo un insegnante ogni 8,67 studenti, nel Lazio e in Lombardia uno ogni 9,2, in Sicilia ne troviamo uno ogni 12. Le Regioni Sicilia, Puglia e Campania già lo scorso anno avevano chiesto anche al precedente governo di intervenire su questo problema, che riguarda principalmente le loro aree territoriali.

Se per le “classi pollaio” c’è poca speranza di soluzione a breve termine, grazie ai fondi del Pnrr le cose potrebbero cambiare, soprattutto per quanto riguarda l’edilizia scolastica. I principali stanziamenti previsti dal Pnrr sull’edilizia scolastica sono stati divisi in tre blocchi. Il primo è il piano per la messa in sicurezza e riqualificazione dell’edilizia scolastica, con uno stanziamento da 3,9 miliardi complessivi, che tra il 2021 e il 2026 coinvolge oltre duemila scuole.

Il secondo intervento è il piano per la sostituzione e la riqualificazione energetica degli edifici scolastici, che si propone di sostituire progressivamente il patrimonio scolastico obsoleto con la demolizione e costruzione di nuove scuole. Stanziati 800 milioni di euro, poi portati a 1,19 miliardi, per oltre 200 edifici scolastici. Il terzo intervento riguarda invece il potenziamento delle infrastrutture per lo sport a scuola ed è stato finanziato con 300 milioni di euro. Le premesse sembrano buone, il punto è che non c’è più tempo da perdere, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia.


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