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Diseguaglianze e povertà in aumento. E il divario tra Settentrione e Mezzogiorno continua inesorabilmente a lievitare. Con la pandemia i divari nelle opportunità di crescita si sono ampliati, non solo lungo la linea geografica Nord-Sud, ma anche all’interno delle regioni più sviluppate, nelle grandi città come nelle aree interne.

Nel 2020 i dati sulla spesa delle famiglie con figli minorenni mostrano differenze notevoli tra quelle più ricche e quelle in condizione di povertà: al Nord la spesa alimentare media mensile di una famiglia benestante era di 913 euro, due volte e mezzo quella di una famiglia del quinto meno abbiente, che spendeva 380 euro. Al Centro la differenza aumenta e nel Mezzogiorno si allarga, passando da 1.267 euro per le famiglie più abbienti a 442 per quelle più povere.

È questa la fotografia scattata nella XII edizione dell’ “Atlante dell’infanzia a rischio” diffuso da Save the Children. Dai dati emerge che «le disuguaglianze tra generazioni si innestano anche sulla disuguaglianza territoriale tra i minori, e in particolare sui divari di cittadinanza sempre più profondi, cioè sull’iniqua distribuzione territoriale delle opportunità di crescita e di sviluppo».

L’AMPLIAMENTO DEL GAP

Negli apprendimenti scolastici della scuola secondaria, il divario Nord-Sud si era già ampliato tra il 2013 e il 2019. I dati sulle prove Invalsi relativi a quegli anni, precedenti la pandemia, mostrano che i livelli di competenza nelle regioni del Mezzogiorno – con l’eccezione di Abruzzo e Molise – erano peggiorati per gli studenti del terzo anno della secondaria di primo grado, ampliando i divari con il Centro-nord, divari ulteriormente approfonditi con il passaggio alla scuola superiore per poi tradursi in tassi di scolarizzazione terziaria molto più bassi al Sud.

In Sicilia, Puglia, Calabria e Campania i giovani 30-34enni laureati, nel 2020, erano intorno al 20%, 1 su 5, mentre in regioni come Lazio, Emilia Romagna, Lombardia, Umbria erano circa 1 su 3. Se si analizzano i percorsi di studi per le differenti regioni e si confronta il dato del 2020 con quello del 2013, emerge un trend di crescita dei laureati molto più pronunciato al Centro nord (dal 25 al 31,5% di giovani con titolo terziario) rispetto alle regioni del Sud, dove l’incremento è stato limitato, in media dal 19 al 22% (in Puglia è addirittura diminuito di 1 punto).

Inoltre, come ha sottolineato Svimez nel suo Rapporto 2020, la spesa in istruzione in Italia è passata da circa 60 miliardi nel biennio 2007-2008, alla vigilia della crisi globale, a circa 50 miliardi negli ultimi anni, con una flessione del 13% al Centro nord e del 19% nel mezzogiorno.

«Una simile disparità geografica nell’offerta educativa e di opportunità è inaccettabile e inefficiente – si legge nell’Atlante dell’Infanzia – Serve, dunque, intervenire molto rapidamente con nuovi investimenti mirati soprattutto nelle regioni meridionali, a partire dall’educazione di qualità nella prima infanzia e con un ampliamento dell’offerta formativa al livello secondario e terziario, anche con lauree brevi professionalizzanti».

PREPARAZIONE SCOLASTICA

Le diseguaglianze e la povertà educativa si sperimentano infatti sin dalla primissima infanzia. In Italia solo un bambino su 7 (14,7%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni. Il dato molto basso cela enormi differenze nell’offerta territoriale, causa ed effetto di grandi diseguaglianze: in Calabria solo il 3,1% dei bambini ha accesso al nido, opportunità offerta invece al 30,4% dei bambini che nascono nella provincia di Trento. La spesa media pro capite (per ogni bambina o bambino sotto i 3 anni) dei Comuni per la prima infanzia è di 906 euro, con divari che vedono arrivare la spesa a Trento a 2.481 euro e scendere in Calabria a 149 euro.

Né il divario riguarda solo la prima infanzia. Anche crescendo, le disuguaglianze non spariscono: in Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio: la provincia di Milano è in testa, con una copertura del 95,8% delle classi, quella di Ragusa è maglia nera, con solo il 4,5% di copertura.

Cali di apprendimento e divari sono evidenti nell’analisi degli ultimi test Invalsi, su cui pesano fortemente i mesi di chiusura delle scuole durante la pandemia. La dispersione implicita, ovvero il mancato raggiungimento del livello sufficiente in tutte le prove, è in media del 10% nell’ultimo anno delle scuole superiori, con significative variazioni su scala regionale.

I dati Invalsi hanno inoltre certificato che se la crisi, complessivamente, ha colpito tutti gli studenti, i bambini e gli adolescenti che erano già in condizione di svantaggio hanno subito le conseguenze più gravi. I punteggi medi dei test in italiano e matematica, evidenziano, infatti, risultati peggiori per gli adolescenti che provengono da famiglie di livello socio-economico basso o medio basso, confermando come la Dad abbia fatto venir meno l’effetto perequativo della scuola, lasciando indietro gli studenti che per mancanza di strumenti e aiuti in casa, non sono riusciti a stare al passo col programma.

LE ESIGENZE BASILARI

Le diseguaglianze sociali si traducono non soltanto in mancanza di opportunità educative per milioni di bambini ma anche nell’impossibilità di soddisfare esigenze basilari: già nel 2019 l’indagine Eu-Silc Eurostat certificava in Italia un tasso di povertà alimentare delle bambine e dei bambini tra 1 e 15 anni del 6%. Per il quinto di famiglie più in difficoltà, la spesa alimentare e quella per l’abitazione, incluse le bollette, occupa la gran parte del bilancio familiare, lasciando poco e niente per spese importanti per la cultura, lo sport, la salute e per l’istruzione dei figli.

Proprio su queste voci di spesa “educative” e generative la forbice tra famiglie benestanti e in difficoltà si allarga drammaticamente, segnalando anche un possibile divario di offerta territoriale di opportunità legato ai luoghi in cui crescono i bambini, laddove le famiglie più povere sono più concentrate nelle cosiddette “periferie educative”.

LE FAMIGLIE STRANIERE

C’è un altro aspetto che lascia riflettere. L’aumento di povertà ha colpito di più le famiglie e i bambini al Nord, in particolare le famiglie straniere, perché sono quelle che accedono meno alla misura del Reddito di cittadinanza, che richiede un minimo di 10 anni di residenza documentata nel nostro Paese.
Al nord, nel 2020, tra le famiglie con bambini di origine straniera, il 30% viveva in povertà assoluta, mentre tra le famiglie di soli italiani l’incidenza era del 7%. In media, il tasso di povertà assoluta minorile è aumentato al Nord dal 10,7% al 14,4%.


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