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Il 29 ottobre, quando l’Istat rilascerà i dati del Pil per il terzo trimestre, sapremo se la crescita di quest’anno potrà perfino superare il 6%. Questo tasso di crescita è qualcosa che non vedevamo da quasi 50 anni, ma lo stesso si può dire – anzi, per un periodo ancora più lungo – del tasso di decrescita, cioè della caduta del Pil dell’anno prima (-8,9% nel 2020). Il che ci porta alla cruciale domanda: si tratta di un semplice rimbalzo, di una “fiammata nella padella” (come si dice in inglese), o c’è qualcosa di più?

LE STIME DEL FMI

Prima di cercare di rispondere a questa domanda, soffermiamoci sulla performance dell’economia italiana nel 2021. Pochi giorni fa il Fondo monetario ha pubblicato le stime sulla crescita dell’attività economica nel mondo. Dappertutto, come era facile prevedere, c’è un rimbalzo rispetto all’anno prima. Ma è anche interessante vedere se questo rimbalzo è più o meno forte rispetto alle stime del Fondo comunicate a luglio scorso. Dato che i contagi da Covid sono continuati – e non sono affatto finiti – lungo tutto quest’anno, le stime del rimbalzo erano particolarmente aleatorie: non avevamo mai sperimentato nel dopoguerra una recessione da pandemia, e non c’erano quindi dati del passato che aiutassero a prevedere le traiettorie future. Si andava a tastoni, e per questo è importante sapere se, da luglio a ottobre, la ripresa si è irrobustita o illanguidita. Le stime del Pil mondiale sono rimaste all’incirca le stesse (sul 6%) ma, guardando a come i diversi tassi di crescita sono cambiati per le singole aree e i singoli Paesi, le cose si fanno più interessanti.

LE REVISIONI

Il grafico mostra come ci siano state variazioni nelle stime sia verso l’alto che verso il basso. E, per quanto ci riguarda, i dati sono lusinghieri: come si vede, l’Italia è il Paese dove il tasso di crescita per quest’anno è stato maggiormente rivisto verso l’alto. E, dato che la dinamica per l’Italia, secondo il Fondo, è di un +5,8% nel 2021, se le ultimissime previsioni vanno al 6% (o più?), questo primato potrebbe essere anche più forte (sia detto per inciso, la revisione del tasso di crescita italiano stimato dal Fondo, rispetto alle previsioni di aprile  – e non di luglio – del Fondo stesso, è ancora più forte: un +1,6%  punti percentuali che  incorniciano un tasso di crescita –  e non una variazione del tasso di crescita – di cui ci saremmo ben accontentati negli anni passati).

Ma, prima di essere troppo soddisfatti, dobbiamo anche considerare che, sì, oggi stiamo rimbalzando più degli altri, ma questo perché anche la precedente caduta era stata “più degli altri”’. Talché, se partiamo dall’anno pre-pandemia – il 2019 – dobbiamo ricordare che eravamo nei bassifondi di questa classifica. Il che ci riporta alla domanda iniziale. Quello in corso è una semplice rimbalzo o qualcosa di più?

LA CRESCITA POTENZIALE

Un primo indizio lo si trova nelle stime di crescita per l’anno prossimo: tutti i grandi previsori danno per l’Italia un’espansione nel 2022 di almeno il 4%, un tasso che non vedevamo dalla fine degli anni Settanta). Due anni di forte crescita, insomma, danno la sensazione che ci sia qualcosa di più di una “fiammata nella padella”.

Si potrebbe obiettare che questa seconda “fiammata” sia dovuta a un altro evento non ripetibile: i fondi del Pnrr che non potranno che dare un impulso alla crescita. Forse bisognerebbe attendere il 2023 per capire se questo impulso permetterà all’economia italiana di camminare finalmente con le proprie gambe: se, cioè, si è innalzato durevolmente il sentiero di crescita potenziale per la nostra economia.

Il concetto di crescita potenziale – cioè un tasso di crescita che non crea problemi di inflazione o di sostenibilità – è un concetto teorico (“dove sia nessun lo sa”). Ed è, almeno in termini di correlazione statistica, molto legato alla crescita effettiva. Se questa continua per due o più anni senza creare problemi, gli economisti sono costretti a dirsi: «Ma allora è possibile!», e si affrettano a rivedere verso l’alto la crescita potenziale.

IL RUOLO CHIAVE DEL PNRR

Passando dalla grammatica alla pratica, molto dipenderà da come saranno spesi i fondi del Pnrr. Questi sono stati giustamente calibrati sulla rimozione degli ostacoli che hanno finora tarpato le ali (si fa per dire) dell’economia italiana. Se questo disboscamento di lacci e lacciuoli riesce a far prevalere la “legge del fare” (come la definisce Roberto Napoletano) avremo innalzato durevolmente il nostro tasso di crescita.

Ed è anche importante che le risorse del Pnrr vadano a privilegiare – come è nelle intenzioni- il Mezzogiorno, dove il potenziale di crescita è più alto che nel resto dell’Italia.


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