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Mario Draghi ieri in visita all'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare del Gran Sasso

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PUNTA sui giovani e sulle donne il piano di rilancio della ricerca italiana che il premier Mario Draghi affida alle risorse del Pnrr, ma anche all’impegno del governo per garantire le condizioni economiche e sociali favorevoli allo sviluppo e alla crescita di un settore che ha nei Laboratori nazionali del Gran Sasso dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) un esempio delle eccellenze italiane.

Il presidente del Consiglio, che ieri ha visitato i laboratori insieme al premio Nobel Giorgio Parisi, ha sottolineato la centralità della ricerca per la crescita del Paese. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ha ricordato il premier,  investe nell’istruzione e nella ricerca oltre 30 miliardi. Un investimento che parte dalla formazione del capitale umano, con il potenziamento dei servizi di istruzione dagli asili nido all’università – con l’obiettivo di colmare i divari territoriali –  e intende «favorire il progresso scientifico e coinvolgere le nostre migliori competenze».

Un obiettivo questo, ha puntualizzato il premio Nobel Parisi, che  richiede la garanzia di finanziamenti costanti alla ricerca, anche oltre l’orizzonte del Pnrr. Il premier ha intanto elencato i principali tasselli del “progetto” per la ricerca: «Finanziamo fino a 30 progetti per infrastrutture innovative di rilevanza europea. Nei prossimi 4 anni, destiniamo 6,9 miliardi di euro alla ricerca di base e applicata. A dicembre abbiamo pubblicato bandi, che si sono chiusi questa settimana per un totale di circa 4,5 miliardi di euro. Finanzieranno cinque Centri Nazionali, gli Ecosistemi dell’Innovazione territoriali e le Infrastrutture di Ricerca e di Innovazione».

Il progetto punta sui giovani e sulle donne. Bisogna «invertire una tendenza» che fa registrare nel Paese un calo del 40% del numero dei nuovi ricercatori in 10 anni, e che è tra i più bassi in Europa. Per farlo, ha spiegato il presidente del Consiglio, «raddoppiamo il numero delle borse di dottorato, dalle attuali 8-9 mila l’anno a 20mila, e ne aumentiamo gli importi. Finanziamo circa 2.000 nuovi progetti di giovani ricercatori sul modello dei bandi europei. E riformiamo i dottorati di ricerca per valorizzare il titolo anche al di fuori della carriera accademica, e formare competenze di alto profilo nelle principali aree tecnologiche».

Un maggiore coinvolgimento delle donne, rimaste «spesso ai margini di questo mondo», secondo il premier contribuirà «a realizzare il pieno sviluppo della ricerca». Le donne hanno saputo conquistarsi uno spazio sempre maggiore e posizioni ai massimi livelli. Lo testimoniano Lucia Votàno, prima donna a dirigere i Laboratori del Gran Sasso – dove su 14 direttori di progetto, 8 sono donne – Fabìola Gianotti, direttrice del CERN e coordinatrice del progetto che ha portato alla scoperta del bosone di Higgs. Ma sono ancora poche le ragazze che scelgono le materie scientifiche, un divario di genere che ha anche radici culturali.

All’università solo una su cinque sceglie le materie Stem, ovvero scienza, tecnologia, ingegneria e matematica. Il governo “scommette” quindi oltre un miliardo sul potenziamento dell’insegnamento di queste discipline: «Come previsto dalla Strategia nazionale per la parità di genere, puntiamo a portare la percentuale di studentesse in discipline Stem almeno al 35% degli iscritti». Guardando al Sud il terreno da recuperare è ancora più grande. E per questo il Pnrr riserva ai territori meridionali il 40% per cento delle risorse del piano, e declina questa percentuale su tutti i bandi, a cominciare dagli asili nido che sono un miraggio, passando per il tempo pieno, fino alle università e alla ricerca.

La profondità dei divari ha in alcuni casi “consigliato” il superamento della “quota Sud”: nei bandi pubblicati dal ministero dell’Istruzione, per esempio, la percentuale arriva al 55,3% per i fondi destinati alla realizzazione degli asili nido, al 57,7% per il tempo pieno, al 54,3% per le strutture sportive nelle scuole. Rispettano la percentuale del 40% i bandi pubblicati dal ministero dell’Università e ricerca. Fermo restando, come ha avuto modo di ricordare anche ieri durante il question time la ministra dell’Università e della Ricerca, Cristina Messa, che la qualità dei progetti conta e nulla impedisce il superamento della “quota Sud”.

Del resto le università e i centri di ricerca del Sud scontano sicuramente difficoltà di contesto e sui servizi ma, come ha rilevato il rettore della Federico II di Napoli, Matteo Lorito, sul fronte della qualità sono altamente competitive, anzi in alcuni settori il divario vede in svantaggio il Nord, come nell’aerospazio e nell’agrifood.  

Dal canto suo la Federico II, ha raccontato il rettore, ha appena chiuso la proposta per il Centro Nazionale Agritech, tecnologie per l’agricoltura, nell’ambito del bando del Mur per la realizzazione dei cinque Centri nazionali di ricerca in Italia menzionati da Draghi. L’ateneo è capofila di una cordata che vede la partecipazione di 49 soggetti, tra università (30) e privati. Tra le altre cose, sta poi lavorando alla definizione del progetto per la partecipazione al bando sugli Ecosistemi per l’innovazione territoriale, scegliendo di puntare sul tema “Cultura e creatività, con il coinvolgimento tra gli altri del Parco archeologico di Pompei, il teatro San Carlo, il museo di Capodimonte.

«Faremo in modo che oltre che nella proposta il vincolo del 40% al Sud venga rispettato nei fatti, ovvero che l’investimento raggiunga davvero il Mezzogiorno e non resti un investimento di servizio – ha affermato Lorito – Martedì a Foggia abbiamo fatto una riunione con tutti i rettori degli atenei campani e pugliesi per definire un asse importante con l’obiettivo di consolidare l’impegno e il risultato sulle diverse proposte. Il Sud c’è e vogliamo che le risorse atterrino sul territorio e si traducano in sviluppo».


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