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Mario Draghi

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Dopo l’incontro di ieri di Mario Draghi con i sindacati la domanda che tutti si fanno è se i nuovi impegni assunti saranno sufficienti per disinnescare la minaccia della crisi che aleggia sul governo.

Il presidente del Consiglio era arrivato all’appuntamento forte del colloquio con il presidente della Repubblica. Mattarella ha rafforzato Draghi nell’intento di aprire canali di dialogo e di collaborazione con le parti sociali. Non soltanto con l’obiettivo di rispondere alle critiche provenienti da Maurizio Landini e soci di non essere stati finora ascoltati sufficientemente dal premier in carica, rivendicando rapporti migliori con il predecessore: quel Giuseppe Conte che oggi tiene sulla corda il governo, un giorno sì e l’altro pure, con i suoi penultimatum.

L’altro obiettivo era proprio quello di parlare a nuora perché suocera intenda. Ovvero manifestare attenzione verso i sindacati e disponibilità per l’adozione urgente di quelle misure di sostegno sociale che costituiscono la gran parte della lista di richieste contenute nella lettera-documento consegnata da Conte a Draghi qualche giorno fa.

Nella conferenza stampa di ieri, il presidente del Consiglio è scrupoloso nel dimostrare l’attenzione del proprio governo verso i ceti più deboli, proprio come chiedono i grillini. È anche un modo per consentire ai Cinquestelle di rinunciare alle ostilità rivendicando il cambio di linea del governo. Gli obiettivi del “patto sociale” sono due: “favorire la crescita” e “difendere il potere d’acquisto” messi a dura prova dall’aumento del costo della vita, nonostante l’economia italiana stia andando “meglio delle attese”. Contro l’inflazione che erode il potere d’acquisto delle famiglie, dice Draghi, “dobbiamo intervenire per sostenere l’occupazione e impedire le diseguaglianze” e “dobbiamo difendere pensioni e salari”.

Il premier, tuttavia, non ci sta a legare questa sensibilità al momento contingente e fin dall’inizio ci tiene a rivendicare che, “per mitigare l’effetto dell’aumento dell’energia sui più deboli”, il governo “ha già stanziato nei mesi scorsi ben 33 miliardi di euro”. Una cifra che “una volta era una finanziaria”, precisa. In più, aggiunge Draghi, “abbiamo sostenuto i redditi di 28 milioni di italiani con un contributo una tantum di 200 euro ciascuno”.

Insomma, il messaggio è chiaro: questo governo ha già fatto molto per i più deboli, a dispetto delle critiche quotidiane del M5s e di altri. È chiaro che adesso bisogna fare di più, passando all’adozione di misure permanenti e stabili. “È necessario fare interventi strutturali per tutelare il potere d’acquisto”, dice Draghi rispondendo alle domande dei giornalisti. Il motivo? “Gli interventi ad hoc non hanno più logica quando l’inflazione non è più un fenomeno temporaneo”, spiega.

Nell’agenda delle prossime settimane entrano così alcuni temi molto cari ai grillini: il salario minimo, l’intervento sui salari più bassi, il tavolo sul precariato. Draghi annuncia così un “provvedimento corposo a fine luglio che sarà prima discusso con le forze sociali”. Il presidente non entra nei particolari, ma rivendica che nel documento di Conte c’erano “molti punti di convergenza con l’agenda di governo” e che nell’incontro con i sindacati “ci sono punti che vanno in quella direzione”.

“Se questi punti coincidono con l’agenda Conte ciò mi rende contento e credo che sia contento anche lui”, ironizza. Sarà sufficiente questa nuova iniziativa per calmare l’agitazione dei grillini? Palazzo Chigi lo spera, ma non è affatto detto. In fondo, quando l’altro giorno, durante il voto alla Camera, i Cinquestelle sono usciti dall’aula si votava proprio per un pacchetto di aiuti alle famiglie. Anche per questo motivo, l’Aventino del M5s è apparso a molti come una iniziativa dilettantesca.

Difficile comprendere, infatti, il guadagno di credibilità rispetto all’opinione pubblica, sempre più confusa da un movimento che minaccia ogni giorno di abbandonare la nave del governo ma poi non lancia mai la propria scialuppa nella inevitabile tempesta. E che chiede misure di sostegno per le famiglie, ma abbandona la partita quando arriva finalmente il momento di votarle.

E dunque: che cosa succederà giovedì al Senato quando il decreto Aiuti dovrà essere definitivamente varato? Se il m5s non voterà, Draghi sarà pronto a ripresentarsi alle camere, a quel punto con una maggioranza senza più i grillini? Di fronte a queste domande, il premier è lapidario. “Primo: lo chieda al presidente Mattarella. Secondo: ho già detto che non c’è un governo senza i Cinquestelle. Terzo: non c’è un governo Draghi oltre quello attuale”.

Nel rispetto delle funzioni e del ruolo del presidente della Repubblica, il premier evita di commentare “scenari ipotetici” come il voto in autunno. E prende di petto i grillini. “Il governo lavora”, rivendica Draghi. “Le fibrillazioni sono importanti” perché riguardano questi punti dell’agenda, ma diventerebbero “più importanti se il governo non riuscisse a lavorare”. Insomma, Draghi dice basta “a chi annuncia sfracelli a settembre”: “il governo non può lavorare su ultimatum”.

D’altra parte, se lavorasse sulla base di diktat, il governo sarebbe periodicamente e continuamente esposto alle rivendicazioni di tutte le componenti della vasta maggioranza che lo sostiene. Se oggi è la volta del M5s, domani sarà la volta della Lega. Che infatti ricomincia ad agitarsi. Draghi non può accettarlo. E la stanchezza verso le ambiguità di Giuseppe Conte comincia a farsi sentire. Se stare nel governo “è proprio una sofferenza straordinaria” e “non c’è nessun piacere e nessuna soddisfazione”, intima Draghi, “bisogna esser chiari”.

Ma, aggiunge, “se il governo riesce a lavorare, continua”. La palla, adesso, passa all’avvocato di Volturara Appula. O, meglio, ai 62 legislatori del gruppo grillino del Senato che, secondo i rumors parlamentari, sono perfino più ostili verso Draghi rispetto a quelli della Camera, sognando l’uscita dalla maggioranza. È possibile che si preparino per abbandonare l’aula al momento del voto. Ma il M5s è assai diviso. E una soluzione come questa – che non è ancora quella estrema del voto contro – potrebbe provocare nuove fughe di governisti verso l’Ipf di Di Maio o verso altri lidi.

Nel frattempo, la maionese grillina impazzita ha effetti sugli altri attori della politica. Silvio Berlusconi, con un notevole scatto di reni, ha diffuso l’altro ieri un video per chiedere la verifica della maggioranza con l’obiettivo di mettere il suo cappello sull’esecutivo e di svolgere il ruolo di moderato normalizzatore. Enrico Letta, dal canto suo, ha incontrato il premier poco prima della conferenza stampa di Palazzo Chigi per riconfermare il sostegno leale e senza condizioni al governo. Anzi, tra le fila del Pd, spente le sirene del ‘campo largo’ con il M5s, si diffonde sempre più la ‘pazza’ idea che fare a meno di quei ‘matti’ dei grillini permetterebbe di lavorare alle riforme in tranquillità.


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