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Fontana, De Luca e Zaia, governatori delle Regioni Lombardia, Campania e Veneto

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NON siamo ancora all’attuazione piena dei Lep ma qualcosa sta cambiando anche nel riparto del fondo sanitario nazionale. Dopo un lungo braccio di ferro tra Sud e Nord, in particolare tra Campania e Lombardia, le Regioni hanno trovato un accordo con i nuovi criteri che, almeno parzialmente, vanno a mitigare gli effetti nefasti dell’applicazione tout court della spesa storica. I governatori hanno raggiunto l’intesa sulla nuova proposta elaborata dalle commissioni Salute e Affari finanziari su come spartirsi le risorse per far andare avanti la sanità. Ma non sono mancate le scintille, già in estate la Regione Campania aveva bloccato tutto diffidando il governo che non aveva ancora varato i nuovi criteri e presentando un ricorso al Tar. Nuovi criteri che poi furono presentati dall’ex ministro Roberto Speranza ma su cui in ogni caso non c’era accordo.

L’intesa, adesso, prevede che per il 2022 venga riproposto il criterio utilizzato, in via eccezionale, per il riparto 2021: in sostanza, l’85% delle risorse è suddiviso attraverso la pesatura per età della popolazione, mentre il restante 15% è ripartito sulla base della popolazione residente riferita al primo gennaio 2021. È stato inserito nel riparto anche un maggiore peso (1,5%) in funzione dei tassi di mortalità della popolazione <75 anni, in funzione delle condizioni socioeconomiche dei territori (povertà relativa individuale, livello di bassa scolarizzazione, tasso di disoccupazione). Insomma, i famosi indici di deprivazione più volte invocati dalle regioni del Sud. Chiesto anche qui al governo di far salire la premialità allo 0,5%.

Il risultato finale è che il fondo sanitario è distribuito più equamente, fatta salva ancora qualche differenza. Ad esempio, alla Puglia andranno circa 1.970 euro pro capite, quasi alla pari del Veneto e della Lombardia che ne riceveranno 1.972 circa. La Campania, invece, otterrà circa 1.915 euro pro capite, qualcosa in più per la Calabria, 1.947 euro pro capite, e per la Basilicata, 1.966 euro per ogni suo residente. Chi incasserà qualcosa in più ancora sono Emilia Romagna (2.028 euro pro capite), Toscana (2.025) e Piemonte (2.011 euro a testa per ogni residente). Insomma, qualche differenza c’è ancora ma certamente i governatori del Sud hanno vinto una prima battaglia verso una distribuzione equa delle risorse rispetto al passato. In totale, per il sistema Paese ci sono anche 125,9 miliardi anche se la quota indistinta, quella al netto del finanziamento per la soppressione del cosiddetto superticket, della fibrosi cistica e del DL 34/2020 nonché dei finanziamenti già ripartiti in sede di legge di bilancio 2022 (abbattimento liste di attesa e Usca) ammonta a 117,9 miliardi.

Il trend è stato comunque invertito, dopo almeno due decenni di forte sottodimensionamento dei fondi per il Mezzogiorno. Basti pensare che dal 2015 al 2020 i sistemi sanitari regionali del Nord, già destinatari di maggiori risorse economiche sin dal lontano 2009, hanno visto incrementare in maniera più consistente rispetto alle Regioni del Sud la propria quota di riparto del fondo sanitario nazionale. In poche parole, i soldi dello Stato destinati alla sanità sono finiti ai “ricchi”, anziché essere investiti per ridurre il gap tra le due aree del Paese. A livello regionale nel quinquennio 2015-2020, le due Province Autonome di Trento e Bolzano e la Lombardia sono state le Regioni in cui la quota di finanziamento del fabbisogno sanitario è cresciuta maggiormente: rispettivamente + 2,7%, + 2,5% e + 2,1% medio annuo. Mentre mediamente il fondo sanitario nazionale dal 2015 al 2020 è aumentato dell’1,7%, l’incremento al Sud è stato più limitato: 0,8% per la Basilicata, +1,2% per la Campania, +1,3 per l’Abruzzo, +1,4% per la Sicilia e il Molise, +1,5 per la Puglia e per la Calabria. Tutte al di sotto della media nazionale.

Questi dati includono anche le somme trasferite da Roma alle Regioni per affrontare le spese legate all’emergenza Covid-19. Ma anche al netto dei finanziamenti per la pandemia, le Regioni del Sud hanno visto lievitare la propria quota in maniera inferiore rispetto al resto d’Italia: infatti, mentre il fondo sanitario nazionale dal 2015 al 2020 è aumentato dell’1%, per il Mezzogiorno l’incremento è stato più contenuto. Al netto del Covid, la Basilicata, ad esempio, in cinque anni ha goduto di appena lo 0,1% in più; Campania e Abruzzo +0,6%; Molise e Sicilia +0,7%; Calabria +0,8%, Puglia +0,9%. Dall’altra parte, la provincia di Trento ha visto crescere la propria fetta del 2,1%; la provincia di Bolzano dell’1,9%; la Lombardia dell’1,5%; Veneto +1,3%; l’Emila Romagna dell’1,2%; la Valle d’Aosta dell,1,1%; Toscana e Piemonte +1%. Insomma, l’iniqua ripartizione del fondo nazionale a vantaggio del Nord è proseguita sino all’anno scorso. Già tra il 2012 e il 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord avevano aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; e altrettante regioni del Sud, invece, avevano visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Tradotto, significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria.

Altri indicatori confermano che, ogni anno, al Nord sono arrivati maggiori trasferimenti da Roma destinati alla sanità: dal 2017 al 2018, ad esempio, la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Lo stesso Veneto nel 2018, rispetto al 2017, ha ricevuto da Roma lo 0,87% in più.


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