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Una delle proteste a Cosenza

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La Calabria di questi giorni è una specie di pentola a pressione pronta ad esplodere. A Cosenza i cittadini sono scesi due volte in strada negli ultimi quattro giorni. L’ultima lunedì sera e ci sono stati anche momenti concitati allorquando un gruppetto ha provato a sfondare il cordone della Polizia per bloccare l’autostrada. Prima alcuni erano andati a protestare sotto casa di un consigliere regionale, proprietario di cliniche, gridandogli al citofono «vergogna, vergogna!». Più scorrevole, ma non per questo meno incisiva, la manifestazione che si è svolta a Catanzaro con la gente altrettanto incattivita contro la politica. Sì perché il lockdown a cui è sottoposta la Calabria non dipende dai contagi (che pure ci sono ma in misura minore rispetto altre regioni), ma dalla tenuta del nostro sistema sanitario che è debole, gracilissimo. I cittadini quindi sentono di star pagando colpe non loro. Il “bollino rosso” che il Governo gli ha appioppato sta mettendo in ginocchio la già fragile economia calabrese.

Nella regione dove ancora si registrano circa 7000 ex percettori della mobilità in deroga, non ci sono industrie da chiudere. L’economia qui gira su due pilastri fondamentali: l’impiego pubblico e servizi. Il lockdown prolungato (che nessuno sa quanto durerà ancora), l’assenza di turisti, la chiusura di tutte le attività di bar e ristorazione, dopo gli sforzi anche finanziari effettuati per riaprire in sicurezza, ha messo in crisi molte famiglie. La gente per strada chiede due cose: soluzioni alla crisi economica ma anche un’offerta sanitaria degna di un Paese civile.

L’altro, drammatico lato della medaglia, è infatti la salute. Ci sono bambini calabresi che non sanno cosa sia una sanità normale. Da undici anni dura infatti il commissariamento da parte del Governo. Una iniziativa che ha lasciato solo macerie con ben 18 ospedali chiusi e da anni in attesa di essere riconvertiti in Case della Salute, una medicina territoriale al lumicino, personale sanitario ridotto all’osso (e allo stremo). Di contro ai calabresi viene chiesto di pagare il conto, con le addizionali regionali Irpef e Irap più alte d’Italia e una migrazione sanitaria verso gli ospedali del Nord che ha un valore di 300 milioni di euro.

Se questa situazione è antica l’avvento della pandemia ha mostrato che il Re è nudo. I posti letto in terapia intensiva sembrano qualcosa che appartiene alla metafisica. Nessuno sa dire con precisione quanti siano. L’ex commissario Cotticelli in tv ha detto che sono 146. L’Agenas (l’agenzia nazionale per i servizi sanitari nazionali) ne certifica 121. Sebastiano Macheda, direttore dell’unità di Rianimazione del Gom di Reggio Calabria (il più grande ospedale della regione) dice che sono 114 più altri 12 che stanno per essere attivati. Il sistema di tracciamento è saltato. In tutta la provincia di Cosenza c’è un solo centro che processa i tamponi con ritardi inevitabili anche di sette giorni. I posti letto in ospedale sono sempre di meno e i pazienti devono aspettare in Pronto Soccorso per avere la possibilità di un ricovero. Ma ancora più grave è l’assenza di medici, che di spazi se ne possono pure trovare ma di anestesisti decisamente no.

La questione dei posti letto la dice lunga su come la politica abbia soffiato, e stia continuando a farlo, sul fuoco. Per carità di Patria taciamo sulla vicenda Cotticelli. Ma il post Generale sembra ancora più grottesco. Il Ministro Speranza ha deciso di nominare commissario, Giuseppe Zuccatelli, già candidato non eletto nel 2018 per Leu nel collegio uninominale di Cesena. Il manager ha esordito mentendo ai calabresi. Ha detto infatti che il famoso video dove teorizzava l’inutilità della mascherina risaliva ai primi tempi della pandemia. È stato subito sbugiardato dal collettivo femminista Fem.In. che ha registrato il video subito dopo il lockdown, il 27 maggio proprio per chiedere a Zuccatelli, all’epoca commissario dell’Asp di Cosenza, di riaprire finalmente i poliambulatori. Sul nome del manager emiliano si è levato un coro di critiche. Qui la gente sogna Gino Strada proposto dai grillini. Speranza però preferisce il suo compagno di partito. Circostanza, questa, che ha innescato cattivi pensieri un po’ in tutti. Le regionali si avvicinano, il decreto Calabria dà enormi poteri al commissario (dalla possibilità di avere una struttura di 25 persone, alla scelta dei manager delle aziende sanitarie e ospedaliere e soprattutto un tesoretto da 700 milioni). Si assiste così a un balletto Strada-Zuccatelli che sconcerta.

Non è da meno il presidente f. f. Nino Spirlì. Dopo aver detto per settimane di non avere alcuna competenza sul Covid, causa commissariamento, da due giorni è iperattivo. Prima ha nominato come consulente Covid un cardiologo di fama come Francesco Romeo. Ieri, dopo aver ammesso davanti le telecamere di La7 di essere ignorante sul tema terapie intensive, ha emanato un’ordinanza che impone di realizzare 244 posti letto in più. Il tutto mentre cresce la preoccupazione che il disagio sociale si possa prima o poi saldare con interessi criminali. Risultato finale? La politica continua con il suo avanspettacolo, i calabresi si sentono tutti come il fratello della canzone di Rino Gaetano: figli unici derisi, frustrati, picchiati, derubati.


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