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Mancanza medici in Italia, sempre più si trasferiscono dal sud al nord. La Fondazione Gimbe lancia l’allarme, il Meridione perde mille dottori all’anno. La valigia di cartone è un ricordo da film, la usavano i contadini del Sud in cerca di fortuna altrove. I decenni sono passati, ma gli italiani continuano a emigrare, non ne sono immuni i medici: basti pensare che tra i camici bianchi europei rappresentano il 52% di quelli che espatriano.

In Italia il copione non solo si ripete da anni ma adesso sta assumendo dimensioni socio-sanitarie che devono lasciare molto riflettere: sempre più giovani medici al Settentrione sempre meno nelle aree del Mezzogiorno. Questo è l’allarme segnalato dalla Fondazione Gimbe. Un’analisi che preoccupa non poco, non solo per la diminuzione de medici nel meridione ma anche per molti pazienti che di conseguenza sono costretti a spostarsi verso il nord per le cure. Un vero e proprio esodo che secondo la Fondazione Gimbe è costato 14 miliardi di euro in dieci anni e che non sembra arrestarsi anche in vista dei laureandi pronti a diventare dottori. Tra i motivi diversi le borse di studio di specializzazione e anche il compenso dei giovani medici con le Regioni che possono decidere autonomamente.    La regione con il maggior numero di medici che si trasferiscono è il Veneto, con 80 professionisti sui 1.500 che vanno via ogni anno.

A lanciare l’allarme Filippo Anelli, Presidente dell’Ordine dei Medici, che definisce una “concorrenza sleale” tra Regioni, in particolare nei reparti di urgenza, con i territori più ricchi che dovrebbero alzare la posta offrendo condizioni migliori. Il divario tra nord e sud è evidente sugli stipendi. Comunque se può essere da conforto tutti i Paesi hanno segnalato una carenza di medici, in particolare di specialisti. Negli ultimi due decenni tutti gli intervistati hanno segnalato un aumento del numero complessivo di medici, senza per questo risolvere il tema della carenza di personale. Questo aspetto è strettamente legato anche a un incremento della domanda di assistenza sanitaria, all’aumento della popolazione ed al cambiamento delle caratteristiche demografiche di quest’ultima.

LE CAUSE  DELL’ESODO

Nel Meridione la media è di poco inferiore ai 3 mila euro, rispetto al nord che è più del doppio. L’esodo dei medici dal nord al sud ha portato una chiusura dal 2019 a un ritmo di quasi mille all’anno e se si guarda agli ultimi dieci anni i medici di famiglia mai rimpiazzati sono quasi 6mila, oltre il 10% dell’intera platea, una vera e propria desertificazione sanitaria. Ad affliggere il mondo della medicina c’è stato anche il periodo del Covid, dopo la pandemia durante la quale il contributo dei medici di famiglia è stato complicato anche per mancanza di strumenti. E così per tanti italiani che vivono al Sud sta diventando sempre di più una vera e propria corsa a ostacoli trovare il proprio dottore di fiducia.

Ma l’esodo dei professionisti italiani è anche verso l’estero, dove c’è un accesso alla professione più meritocratico, prospettive di carriera migliori e retribuzioni molto più alte che nel nostro Paese. E ad attrarre è anche la maggiore disponibilità di borse di studio nelle aree settentrionali del Paese e in Europa.

TERRITORI SENZA SANITA’

Mancano i medici, sia di famiglia che ospedalieri, ma anche infermieri e pediatri. Nelle zone periferiche e ultraperiferiche delle aree interne, in particolare del Sud, è ancora più evidente la cosiddetta desertificazione sanitaria: ci sono, cioè, territori in cui le persone hanno difficoltà ad accedere alle cure a causa dei lunghi tempi di attesa, della scarsità di personale sanitario o delle ampie distanze dal punto di erogazione delle cure. Un problema che potrebbe non essere colmato dai fondi messi a disposizione dal Pnrr: soltanto il 16-17% delle Case e degli Ospedali di Comunità, infatti, sarà realizzato in queste zone.  I fondi e i progetti previsti dal Pnrr avrebbero la potenzialità di ridurre alcuni gap storici, come quello dell’assistenza territoriale in alcune aree del Paese.  Ma c’è uno spiraglio che è in parte confortante: le Regioni maggiormente beneficiate dal Pnrr per numero di Case e Ospedali di Comunità sono, nell’ordine, Lombardia (199 Case e 66 Ospedali), Campania (172 e 48) e Sicilia (156 e 43).

AUTONOMIA E INEQUITA’

«La sanità non è equa. Abbiamo tradito il principio dell’universalismo, su cui si basa il servizio sanitario nazionale e che di fatto sta erogando una sanità diseguale. Nonostante dal 2001 abbiamo definito i livelli sanitari di assistenza, abbiamo dei gap enormi. Innanzitutto un gap strutturale che va da Nord a Sud, e curiosamente tra le cinque regioni che negli ultimi 10 anni hanno erogato meglio i servizi di assistenza ci sono quelle tre che hanno fatto richiesta di autonomia. Tra le prime cinque regioni per mobilità sanitaria attiva ci sono sempre le tre che stanno richiedendo autonomia». E’ questa, in sintesi, l’analisi di Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, in diretta su Cusano Italia Tv. «Questo significa sostanzialmente che, al di là che il ddl Calderoli non entra nel merito, ci troviamo di fronte a una situazione disastrata. È dal 2001 che la sanità è nelle regioni. Il gap nord-sud è aumentato: le regioni del sud hanno sprecato molto per una mala gestione, poi però quando lo Stato ha deciso di cominciare ad intervenire, questi – ha aggiunto- hanno avuto solo l’obiettivo di riequilibrare la finanza pubblica delle regioni che erano in disavanzo, ma non di riorganizzare i servizi. Le regioni del centro-sud quindi sono rimaste storicamente indietro. Proprio in un momento storico nel quale ci indebitiamo per il Pnrr, che ha come obiettivo trasversale quello di ridurre la disuguaglianza regionale, abbiamo da approvare un ddl Calderoli che ha come obiettivo quello di frammentare il Paese in 21 repubblichette semindipendenti dove ognuna può decidere su 23 materie».

«Poi ci sono altre richieste che rischiano di sovvertire il sistema sanitario nazionale, come la modifica del sistema tariffario, quanto pagare un ricovero ospedaliero piuttosto che un ticket, questo rischia di far saltare la capacità di controllo da parte dello stato. Mi si permetta di definire alcune richieste eversive, che vengono soprattutto dal Veneto, che chiede di far entrare nella contrattazione collettiva il personale sanitario. Così il grande gap tra Nord e Sud non può che aumentare» ha spiegato Cartabellotta.

«Oggi questo disegno di legge non prevede alcuna partecipazione da parte del Parlamento che è stato solo messo all’angolo. Si sovverte completamente la partecipazione degli organi politici importanti. Il titolo V non ha funzionato perché lo Stato non ha saputo fare lo Stato: cioè la capacità di indirizzo e verifica che doveva mantenere sulle regioni le ha lasciate molto molto soft. Lo Stato deve mantenere questo controllo, come un papà che ha 21 figli ai quali distribuisce ogni anno un fabbisogno sanitario nazionale» ha concluso.


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