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Da sinistra, Matteo Salvini, la Garante per gli scioperi, Paola Bellocchi, e Maurizio Landini

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Tutti soddisfatti. Maurizio Landini e Pierpaolo Bombardieri hanno riempito le piazze chiamando i lavoratori a difendere la democrazia, minacciata da un governo criticato – a sciopero in corso – perché attacca il diritto di sciopero. Matteo Salvini si compiace per aver disposto la precettazione e garantito un minimo di mobilità agli italiani.

Come se non bastasse, il ministro, emulo di Capitan Fracassa, ridimensiona la partecipazione allo sciopero, con l’obiettivo di dimostrare al Paese di stare sul pezzo meglio e con più rigore di una premier un po’ mollacciona, la quale a sua volta assume, tuttavia, un atteggiamento disincantato nei confronti di un’astensione dal lavoro che ormai sta scritta, ogni anno, sul calendario, durante la sessione di bilancio. Come per la Pasqua, cambia solo la data. La Festa della Resurrezione non cade sempre nel medesimo giorno, ma, ogni anno, nella prima domenica dopo la prima luna piena dell’equinozio di primavera.

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LA LOGICA CHE NON C’È

La data dello sciopero generale dipende da come e da quando le organizzazioni sindacali trovano un accordo per un’iniziativa comune, da svolgersi comunque prima che scatti la tregua per le festività fissate per legge (anche perché prima di Natale tutti, governo, maggioranza, opposizioni, sindacati, intendono “chiudere bottega’’).

Quest’anno la sessione di bilancio sarà accompagnata da una sessione di scioperi, rigorosamente di venerdì e con modalità da nouvelle cuisine: combinando, cioè, in tanti modi diversi i soliti ingredienti. Continueranno a svolgersi astensioni dal lavoro che vedranno affiancati pezzi di Penisola e intere categorie.

Se qualcuno vuole trovare una logica in questa programmazione di lotte, perde il suo tempo: perché una logica non c’è. La scelta bizzarra dipende da un fatto banale: la Cgil voleva fare uno sciopero generale classico a livello nazionale, mentre la Uil, partita con l’intenzione di mediare tra le consorelle, aveva suggerito di effettuare una serie di astensioni regionali. Ed è stata in qualche modo accontentata dal ‘’compagno di merende’’ di Corso d’Italia.

Da qui è nato quel pasticcio per cui l’Autorità garante si è rifiutata di riconoscere le caratteristiche di sciopero generale, con le relative conseguenze sul piano delle modalità previste, nei singoli comparti, in garanzia dei cittadini utenti.

A questo punto, poiché il diritto di sciopero non è stato abrogato e potrà essere esercitato a lungo nei prossimi giorni – con ricchi premi e cotillon e tanti discorsi dei due giannizzeri che sono alla guida dei “sindacati senza paura” – sarebbe il caso di mettere qualche puntino sulla “i’’ con cui inizia la parola “imbecilli’’.

I grandi protagonisti della “guerra per errore” che si è combattuta ieri, farebbero bene a tornare sui propri passi. E comunque sarebbe dovere di un’informazione non cortigiana chiarire all’opinione pubblica come stanno realmente le cose.

In primo luogo va precisato che il Garante si è attenuto alla legge e a una giurisprudenza trentennale. Metterne in discussione – come è stato fatto – la sua imparzialità è sicuramente un atto eversivo, degno soltanto di quei peracottari del sindacalismo di base.

L’ATTACCO AL GARANTE

Per di più – allo scopo di dimostrare l’assunto – si è andati alla ricerca, rendendoli pubblici, i profili dei cinque commissari (proposti dai presidenti delle Camere e nominati dal capo dello Stato), arrivando all’abiezione di segnalare che uno di loro in passato aveva collaborato con Marco Biagi, come se questa fosse la prova indiscutibile dell’ostilità preconcetta nei confronti dei sindacati.

Il dibattito ha messo in luce aspetti, opinioni e testimonianze che rendono giustizia alle osservazioni del Garante. Pare, invece, che nei confronti con la Commissione i sindacati si siano rifatti ai principi del ddl Zan, affermando che solamente loro sono abilitati a scegliere e definire l’identità (di genere?) degli scioperi.

En passant, sarebbe il caso di gettare un’occhiata sulla piattaforma rivendicativa alla base dello sciopero. Ovviamente, non sono gli obiettivi rivendicativi a stabilire l’illegittimità degli scioperi, ma non c’è nulla di male a formulare delle opinioni sul merito, vista la rilevanza di una astensione generale dal lavoro nella vita di una comunità.

CITTADINI IN OSTAGGIO

Il più importante motivo del contendere ha riguardato lo sciopero nel trasporto locale, dove secondo Pietro Ichino si determina una duplice anomalia, se si considera che in questo settore lo sciopero non produce, solitamente, alcun danno alla azienda datrice di lavoro.

Al contrario, durante lo sciopero, mentre gli abbonamenti non si riducono, si azzerano i costi per retribuzioni, carburante, energia e usura dei mezzi. Per l’impresa di trasporto pubblico lo sciopero è una boccata di ossigeno: tutto il danno è a carico dei viaggiatori, della collettività.

Mutatis mutandis, per soddisfare le loro richieste i sindacati dei settori dei servizi pubblici essenziali prendono in ostaggio i cittadini e ricattano in questo modo le autorità competenti, alle quali, il più delle volte, non gliene può fregare di meno, visto che possono scaricare i disservizi sui sindacati. Per finire: «Adesso basta!» lo diciamo noi.


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