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di VINCENZO SCOTTI*

Sono trascorsi trenta anni da quel 1991 che segnò la fine del cinquantennale isolamento dell’Albania e della contemporanea nascita di un Paese libero alla ricerca del suo riposizionamento nella storia dei Balcani, del Mediterraneo e dell’Europa, riprendendo il cammino della sua storia secolare.

Nel mio primo viaggio di Ministro dell’interno, il Presidente Alia mi raccontò che al momento della rottura delle relazioni con l’Unione Sovietica, avevano chiesto aiuto all’Italia ma che la nostra risposta era stata che gli accordi di Yalta non lo consentivano, come mi confermò Taviani, con cui gli albanesi si erano incontrati.

Così nel 1991, d’accordo con i Presidenti della Repubblica e del Consiglio, Francesco Cossiga e Giulio Andreotti, De Michelis e io, ministri degli esteri e dell’interno, facemmo due visite a Tirana per consolidare le relazioni diplomatiche, concordare un piano di aiuti e di cooperazione economica e sociale. Sin dal primo colloquio, la preoccupazione prioritaria fu quella della fuga dall’Albania delle energie migliori, sia per età che per professionalità.

L’accordo che raggiungemmo fu quello di controllare e contenere l’emigrazione e, nel contempo, mettere in campo subito un piano di sostegno alimentare e di altri beni di prima necessità (l’operazione Pellicano gestito dai nostri militari) oltre a un programma di cooperazione per l’insediamento di piccole e medie industrie italiane, di addestramento professionale e di formazione di quadri dirigenti.

Crebbe anche in noi a Roma la paura che la situazione ci stesse sfuggendo di mano e che se non avessimo accelerato l’attuazione degli accordi, in Albania la situazione sarebbe stata ingovernabile. L’Albania “fino a quel momento era stata la prigione, una prigione cui era stato aperto il cancello. Per uscire e riconquistare la libertà bisognava attraversare il fossato rappresentato dal basso Adriatico”.

Comincia così la fuga: Il 9 febbraio oltre 10 mila persone si ammassavano nel porto di Durazzo per emigrare in Italia;

Nei giorni successivi centinaia di persone salivano su imbarcazione di fortuna con destinazione la costa pugliese. I boat people diventavano un fiume inarrestabile che partiva da Durazzo, Valona, e da Santi Quaranta. Molte navi furono bloccate all’imbocco del porto di Brindisi tra cui la Tirana con 3,500 persone e la Ljiria con 3.000 persone.

Si scrissero pagine di grande solidarietà in quei primi giorni di agosto sia a Brindisi che a Bari e in altri piccoli porti della Puglia. Ma crescevano le preoccupazioni dei due governi per le conseguenze del flusso e sulla possibilità di controllare in qualche modo gli arrivi e di poter avviare il progetto degli aiuti e della cooperazione.

L’8 agosto del 1991 i servizi segreti italiani informavano il nostro governo che stava per partire una nave con la presenza di migliaia di uomini, donne e bambini, con l’impotenza delle autorità albanesi a frenare e in qualche modo controllare i movimenti.

Le televisioni italiane mandavano in Albania immagini di una Italia ricca, alla vigilia di una stagione di vacanze che stimolava la fantasia di un Paese del benessere. In quella situazione diventava difficile anche la distribuzione degli aiuti da parte dei militari italiani e di promuovere investimenti italiani in Albania.

Il Presidente del Consiglio, il pomeriggio dell’8, convocò una riunione di Gabinetto coi ministri interessati per decidere cosa fare. Sia io che De Michelis avevamo parlato con il Presidente della Repubblica albanese, per cui, mettendo insieme tutte le notizie e i pareri, si arriva alla conclusione che fosse indispensabile bloccare il flusso, riportare in patria tutti e accelerare i programmi di aiuti.

Il ministero dell’interno avrebbe da quel momento coordinato le iniziative del governo: rimpatrio, conclusione degli accordi, avvio rapido dell’operazione Pellicano gestito, nell’immediato, dai militari italiani esperti nelle missioni di pace e, infine, l’attivazione della cooperazione allo sviluppo. Decidemmo anche di richiamare subito un impegno da parte della Commissione Europea.

Nel corso della riunione dichiarai che potevo gestire il rimpatrio solo a condizione che si mettessero in azione tutte le altre azioni, gestite con estrema rapidità ed efficienza. Il rimpatrio doveva avvenire nel giro di pochissimi giorni e con il ricorso di un ponte aereo e navale, senza far disperdere gli albanesi sul territorio regionale e nazionale. Eravamo a Ferragosto, e se avessimo acconsentito a deroghe non saremmo stati più in grado di evitare che il flusso esplodesse con numeri inimmaginabili e alla fine tutto il progetto saltasse.

Questa la ragione della scelta di concentrare tutti gli albanesi in due punti controllabili (il piazzale del pontile del Porto) e requisire tutti i possibili mezzi di trasporto utili. Il Governo, le Regioni, le associazioni umanitarie e singoli cittadini avevano già distribuito migliaia di emigranti. In questo caso la gestione dell’operazione a Bari fu affidata al Prefetto Parisi. Io restai a Roma e non consentimmo a nessun Ministro di andare a Bari al fine di non intralciare il lavoro sul campo degli operatori.

Nello spazio di sette giorni, dal 10 al 17 agosto, l’operazione rimpatrio fu completata senza alcuna violenza verso le persone, comprese quelli che la stampa definì i violenti che – nei fatti – non lo erano affatto.

In quei giorni e precisamente il 14 agosto il Presidente Cossiga andò a Tirana per garantire al suo omologo che tutti gli impegni sarebbero stati rispettati nei modi e nei tempi previsti. I primi aiuti furono consegnati già prima della partenza da Bari.

Pur nel pieno di una emergenza così grave, insieme ai colleghi De Michelis e Boniver, riflettemmo sulla nostra strategia nei confronti dell’immigrazione, andando oltre l’orizzonte albanese. Nelle prime ore, pur consapevoli che ad agosto a Bruxelles non sarebbe stato facile rintracciare molte persone, cercammo, comunque, di metterci in contatto con le autorità della Comunità Europea per tentare di coinvolgerli in qualche modo sul come fronteggiare un fenomeno che non era un fatto contingente e straordinario ma con cui l’Europa si sarebbe dovuta misurare a lungo.

La nostra rappresentanza a Bruxelles ottenne la convocazione di una riunione straordinaria del cosiddetto gruppo Trevi, composto dai ministri della sicurezza e della giustizia, dal momento che i trattati europei non prevedevano nessuna competenza in materia di emigrazione. All’incontro con i colleghi a Bonn (era il turno di presidenza tedesca) mi sforzai di spiegare innanzitutto che quella albanese non era una questione italiana, e che occorreva definire una iniziativa europea.

Su questo punto la risposta fu negativa. Avremmo potuto chiedere qualche fondo per le spese che avevamo affrontate. Ringraziai ma specificai che la ragione della riunione era una altra. Volevamo sollecitare una riflessione della Comunità su un dato preciso, ci fosse in quel momento o meno una competenza in testa all’Europa. Non potevamo immagine che l’Europa ignorasse il tema e non pensasse ad affrontarlo con le proprie politiche, proprio in una fase costituente e specie dopo la caduta del muro di Berlino. Purtroppo non una parola venne ascoltata.

Gli ultimi trent’anni non hanno visto cambiare significativamente posizione europea anche di fronte alla tragedia dei morti nel mediterraneo e negli altri confini dell’Europa.

Oggi, 8 agosto del 2021, possiamo dire che in quelle giornate, anche prima e soprattutto dopo, l’Italia e l’Albania hanno affrontato una terribile fase della storia con uno spirito di coesione ammirevole. Certamente sia gli italiani che gli albanesi hanno conosciuto la tragedia dell’emigrazione per i loro cittadini e questo ricordo ha alimentato lo spirito di coesione.

Oggi, le giornate non sono le stesse, ma nuove sfide politiche, economiche, sociali, ed umane sono di fronte a noi. I morti degli emigranti nel mediterraneo non possono lasciarci indifferenti. Come Europei, dobbiamo puntare ad avere una politica migratoria e, prima di tutto una politica di sviluppo nei Balcani e nel Mediterraneo che veda i nostri due paesi impegnati a dare ai nostri concittadini una visione euro mediterranea, di cui Balcani sono parte; una visione di coesione verso il continente dell’Africa, essenziale per lo sviluppo complessivo e capace di equilibrare – nel prossimo futuro – i carichi demografici.

*Già ministro degli Interni


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