X
<
>

I migranti Albanesi sbarcati in Puglia nell'agosto 1991

Condividi:
5 minuti per la lettura

“Non c’era posto nemmeno per una mela”. Così Halim Milaqi comandante del mercantile “Vlora”, a distanza di vent’anni ricordava in un’intervista su “La Repubblica” l’odissea affrontata da circa diciottomila albanesi.

È appunto il 7 agosto del 1991 e i figli della mirabile Terra delle Aquile – saldi nel sangue di Giorgio Castriota Scandeberg, eroe della civiltà europea – prendono d’assalto la nave e costringono Halim Milaqi a far rotta su Brindisi.

Altri dieci anni sono nel frattempo passati se già si ricorda il trentennale del più grande sbarco di anime in cerca di vita mai avvenuto sulle coste italiane da una sola nave. Come se gli abitanti di un’intera cittadina si fossero dati convegno, tutti insieme sulla stessa imbarcazione, stipata all’inverosimile, così le vecchie foto di repertorio riemerse in questo torrido agosto, mostrano.

Anche se oggi siamo tristemente abituati a migliaia e migliaia di sbarchi su vecchie carette, quello, di arrivo, rimane unico e memorabile: “Tutta quella gente a bordo, senza cibo, né acqua” ricordava ancora il capitano che riuscì a sbarcare a Bari dove la nave venne dirottata dalle autorità italiane, nonostante non potesse nemmeno utilizzare la strumentazione di bordo, impedito com’era dal numero esorbitante di persone stipate ovunque.

Anche allora il caldo era feroce, e già allora le figure istituzionali, completamente impreparate si ritrovarono a gestire un simile evento. I protagonisti della politica di allora sono nomi di peso, seppure ormai defunti o fuori dalla vita politica. Giulio Andreotti era presidente del consiglio, Claudio Martelli il suo vice, Vincenzo Scotti ministro degli Interni, Gianni De Michelis degli Esteri, Margherita Boniver dell’Immigrazione, Francesco Cossiga presidente della Repubblica.

Andreotti, spalleggiato da Cossiga, fu fermissimo sulla linea di azione intransigente: “Non siamo assolutamente in grado di accogliere e ospitare gli albanesi sbarcati, siamo d’accordo con il governo di Tirana per procedere al rimpatrio”.

Gli albanesi erano intere famiglie con bambini, anziani, giovani, disposti a rischiare la vita per quell’Italia che avevano imparato a conoscere guardando segretamente i programmi della Rai – una delle star più amate era Raffaella Carrà – e ai loro occhi rappresentava l’Eldorado, dopo quarantacinque anni di dittatura comunista.

Nel 1989 era caduto il muro di Berlino e l’Albania senza più la sicurezza rappresentata dal blocco socialista – con Pechino troppo lontana per garantire protezione al potere comunista – subiva un tracollo economico inarrestabile.

Le speranze dei migranti si infrangono appena sbarcati. Poco più di un migliaio riescono a fuggire da porto – non molti aiutati dai pugliesi, sempre misericordiosi – ma gli altri vengono condotti allo stadio cittadino e lì rinchiusi.

Comincia una gestione difficilissima sia dal punto di vista dell’ordine che degli approvvigionamenti. I più disperati sono nelle mani di uomini armati, gli stessi che hanno minacciato di morte il comandante costringendolo a partire. I viveri, quasi solamente panini, gettati dagli elicotteri. All’interno della struttura si innesca una feroce lotta per la sopravvivenza di questa massa di disperati che non mangia e non beve dal giorno della partenza. Il sindaco di Bari, Enrico Dalfino, ingaggia uno scontro durissimo con i vertici istituzionali, accusati di una gestione da lager dello stadio. La solidarietà dei baresi s’incendia di passione: portano viveri e beni di prima necessità davanti allo stadio e accolgono nelle loro case i fuggitivi.

Su quella nave si trovava Kledi Kadim, un ragazzo di sedici anni che qualche anno dopo sarebbe tornato in Italia con regolare visto, diventando un famoso ballerino. “Solo a pensarci ho ancora sete” dirà, “finì per bere l’acqua di mare che mi fece quasi uscire di senno”. Anche lo scultore Helidon Xhixha si trovava su quella nave.

Oggi l’artista ricorda il trentennale con un grande scultura in acciaio esposta nella nuova piazza Italia di Tirana che vuol celebrare l’integrazione tra Italia e Albania e ricorda quanto aiuto i profughi ebbero dalle parrocchie, dalle scuole, dai centri sociali, dai privati cittadini.
Tutto si concluse nel giro di una settimana. I profughi vennero fatti imbarcare su navi della marina militari o su aerei con l’inganno. Gli si fece credere che sarebbero stato smistati in altre città italiane, mentre tutti i mezzi fecero rotta su Tirana. Nessuno si sognò di mettere in stato di accusa i vertici delle istituzioni, né tanto meno di accusarli di sequestro di persona, cosa effettivamente accaduta, a parte il sindaco di Bari che per le sue critiche si attirò l’ira di Cossiga che lo definì “un cretino”, salvo riceverlo in un incontro riservato di cui il sindaco raccontò che le sue parole erano state fraintese e il malinteso chiarito.

Il PCI italiano, da pochi mesi diventato PDS, ma pur memore del tempo in cui si scagliava contro gli ungheresi in rivolta contro la dittatura socialista, non protestò per il trattamento riservato agli albanesi.

Scappavano da quello che rimaneva di un regime comunista, pur sempre – manco a dirlo – un pezzo di paradiso.

L’Eden del proletariato dove un posto, a una mela, pur sempre si trova. Non però sul mercantile “Vlora”, avamposto della controinformazione borghese e capitalista. E l’epopea degli albanesi – la vecchia talpa della storia scava sempre i suoi più inaspettati cunicoli – è pur sempre un segreto doloroso dente nella faccia tosta della sinistra sempre immacolata.
Lo testimonia il Kater i Rader, l’imbarcazione che è memoria di un tragico naufragio del 1997 quando una nostra corvetta – nello speronamento imposto da un blocco navale – raccoglie 80 morti e 27 dispersi dei 120 profughi a bordo.

Non se ne fa story-telling della strage del Kater i Rader, non c’è narrazione e nemmanco uno straccio di serie tivù in perpetua programmazione. In quel tempo, infatti, c’era la civiltà e l’umanità a Palazzo Chigi, il blocco navale disposto dal Governo Prodi nientemeno. Il suggello della bonomia. Era il Venerdì Santo del 1997, il 28 marzo. E non c’era posto per nessuna mela.


La qualità dell'informazione è un bene assoluto, che richiede impegno, dedizione, sacrificio. Il Quotidiano del Sud è il prodotto di questo tipo di lavoro corale che ci assorbe ogni giorno con il massimo di passione e di competenza possibili.
Abbiamo un bene prezioso che difendiamo ogni giorno e che ogni giorno voi potete verificare. Questo bene prezioso si chiama libertà. Abbiamo una bandiera che non intendiamo ammainare. Questa bandiera è quella di un Mezzogiorno mai supino che reclama i diritti calpestati ma conosce e adempie ai suoi doveri.  
Contiamo su di voi per preservare questa voce libera che vuole essere la bandiera del Mezzogiorno. Che è la bandiera dell’Italia riunita.
ABBONATI AL QUOTIDIANO DEL SUD CLICCANDO QUI.

Condividi:

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

EDICOLA DIGITALE