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Tutta l’opera di Bataille è la storia di una irriducibilità, quella di un pensiero che ha rifiutato appassionatamente il mondo e che si è costituito come spazio ’altro’, ‘maledetto’: il luogo di raccolta di pratiche, di esperienze che riflettono la lacerazione di un mondo che non possiede più nome e dimora. Quest’opera può essere solo definita in termini di dissipazione, prodigalità e vissuta in certe esperienze che rifiutano ogni riconciliazione, come il riso, la morte, l’estasi, la dépense (la pura perdita).

Esperienza-limite, dunque, secondo l’espressione di Maurice Blanchot, che è la risposta dell’uomo, «alla decisione di mettersi radicalmente in questione. Tale decisione che compromette tutto l’essere, esprime l’impossibilità di arrestarsi mai, a qualsiasi consolazione o verità, agli interessi o ai risultati dell’azione, alla certezza del sapere e della fede».

Filosofo non professionista (come amava provocatoriamente definirsi), saggista e critico letterario acuto e raffinato, Georges Bataille (nasce il 10 settembre 1897 a Billon, Puy-de-Dome e muore a Parigi il 9 luglio 1962 – dunque, ricorre il sessantennale dalla morte) incarna l’avventura stessa di un certo pensiero contemporaneo. Autore di un’opera complessa, spesso fraintesa e non del tutto esplorata, molto critica verso una cultura accademica asfittica, persa in discussioni lontane dall’incandescenza della vita.

Bataille si è confrontato a lungo con “maestri” del pensiero del calibro di Hegel e Nietzsche e con i temi abissali che hanno contraddistinto il suo e il nostro tempo. Ed è stato un interprete acutissimo e precoce degli aspetti più complessi della teoria freudiana.
Oltre a essere stato un fine e precoce lettore di Freud nella Francia degli anni ’30, negli anni ’40 Bataille (insieme all’amico Klossowski), sarà anche il fautore della Nietzsche  reinassance, grazie alla quale riuscirà a sottrarre il filosofo tedesco dall’angolo nazi-fascista in cui la pessima sorella Elizabeth l’aveva costretto. I due si batteranno in tutti modi per restituire ai testi nicciani quella vertigine senza la quale nessuna parola del filosofo tedesco trova il proprio giusto senso.

Bataille ha scritto: «nessuno può leggere Nietzsche autenticamente senza essere Nietzsche». Dalle sue pagine emerge con forza la sua figura “rivoluzionaria”, considerato un compagno di viaggio, per la carica liberatrice del suo pensiero.

Fondamentale è stato anche il serrato dialogo con Sartre, Marx e il movimento surrealista, sullo sfondo di quella crisi epocale destinata a trascinare l’Europa nel secondo conflitto mondiale. Fondatore del “Collegio di sociologia”, Bataille ha messo a punto un coraggioso tentativo di arricchire la filosofia attraverso l’apporto della sociologia, della storia delle religioni, dell’antropologia e della psicoanalisi. Fondatore di importanti riviste che hanno influenzato il dibattito culturale nella Francia tra le due guerre mondiali, egli ha saputo toccare la coscienza lacerata del suo tempo, rimettendo in moto, non senza dolore, qualcosa che giaceva lì, immobile e sepolto. Un pensiero che frantuma e spezza, ma che offre al lettore il piacere profondo che emerge dalle sue riflessioni dedicate alla poesia, all’amicizia e all’erotismo.
Sono numerosi i rapporti, anche di amicizia, che Bataille ha intrattenuto con i più importanti pensatori e letterati del suo tempo, da Blanchot a Lacan, da Leiris a Breton, da Caillois a Simone Weil e a Sartre; come è incalcolabile l’influenza che avrà su quelli della generazione successiva, da Foucault a Deleuze, da Derrida a Baudrillard. Grazie alla sua straordinaria sensibilità, profondità di pensiero e intuizione, videro la luce i primi lavori di Roland Barthes, Derrida, Blanchot e Foucault.

Quest’opera apparentemente rapsodica e polimorfa (ma che non è mai eclettica) «testimonia più da vicino lo sconvolgimento del mondo occidentale, della sua metafisica grammaticale. Sconvolgimento della grammatica filosofica che dà vita a una scrittura che è essa stessa spazio di conflitti incomponibili. Scrittura che spalanca essa stessa l’abisso dell’infinito come dimensione dello sradicamento della parola, della sua lontananza incolmabile rispetto alla cosa. Scrittura che produce segni che reintroducono il silenzio sovrano che interrompe il linguaggio articolato.

Dietro questa dispersione apparente, con la chiarezza del lampo che folgora nell’istante in cui si svela e ci rende ancora pìù sensibili alla notte che ci avvolge, c’è lo slancio esigente che ci porta lungo i luoghi della dépense. Si è detto che questa opera è l’espressione assoluta, radicale, dello sconvolgimento del mondo occidentale, che a partire dall’annuncio della morte di Dio, che il folle di Nietzsche gridava nelle piazze, ha sottolineato l’assoluto andare senza meta e senza scopo dell’uomo. Questo precipitare, questo essere lontani da sé, la disgregazione della totalità, la perdita del significato delle cose, la frantumazione dell’unità della ragione classica, l’eclissi del senso, la scissione del segno linguistico è il senso della meditazione di Bataille. Trascinato in questo scivolamento indefinito, Bataille dà vita a concetti che sono non-concetti, che, in quanto tali, sono assolutamente impensabili, insostenibili.

Ho fatto riferimento a Hegel, come all’altro grande “maestro”, con cui Bataille, per tutta la vita si è confrontato/scontrato in un insonne, interminabile corpo a corpo. Decisivo per il suo rapporto con Hegel, furono le indimenticabili lezioni di Kojève tenute all’École Pratique des Hautes Études, a Parigi tra il 1933 e il 1939. È chiaro che Hegel è il ‘nome’ di ogni sistema idealistico, di ogni sistema che cerca di separare il sapere dalla materia e che nasconde questa separazione con la produzione di valori ’spirituali’ che cancellano «la pluralità del soggetto» e del mondo «nell’unità metafisica del cogito o nella purezza del sistema logico». Ma nonostante questa rimozione della materia, ossia dei complessi rapporti sociali di produzione, dell’intreccio di pulsioni e ideologie che agiscono sulla scena di questa realtà materiale, sono rimaste delle tracce che costituiscono un testo complesso che Freud definiva “geroglifici”.

Bataille non giunge all’individuazione di un processo interpretativo (e del resto dire queste cose di Bataille è già una forzatura ermeneutica) che dia conto di questa pluralità rimossa. Bataille rimane all’interno di una irriducibile costante negazione che dischiude gli interstizi del non-detto, del non-sapere, entra nei territori del dimenticato, del rimosso, trasgredisce i divieti della Legge in un infinito transitare nello ’spaesante’. Nel turbamento che questa opera provoca, si manifesta qualcosa che è «la comunicazione pura, l’equivalente delle lacrime e del riso scatenato»; e questa comunicazione in un certo senso religiosa, così sospesa com’è tra il dicibile e il non dicibile, de1 silenzio, è ciò che «cerchiamo nella poesia». Infatti l’essenziale della poesia è il movimento imprevedibile da cui nasce e in cui si annulla. Il poeta «rende la vita all’energia originale: egli è uno di noi, che canta alla taverna e ride con i bambini; non è il “mesto signore”, pieno di moralità e di ragione, che, senza energia, si amministra con precauzione, è avaro, e lentamente cede alla tristezza della logica».

Cosa resta?
Resta un pensiero che non garantisce nulla, che non ci dà nessuna certezza e nessun vantaggio. È un colpo di dadi, una chance. Non resta che l’angoscia mortale o la capacità di ridere. Un pensiero che come la tela di Penelope viene disfatto tutte le notti.
Solo che non c’è nessun Ulisse da aspettare.


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