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Gianvito Casadonte (primo da sinistra) il fratello Alessandro (utimo da sinistra) e Monicelli a Venezia

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DALL’ALTRO capo del telefono Mario è semplicemente Monicelli: ironico, generoso, ferocemente intelligente. Agosto 2008, Monicelli ha appena ricevuto l’abbraccio degli applausi al Palalido di Venezia per “Vicino al Colosseo c’è Monti”, il corto che l’allora 93enne regista, presenta fuori concorso alla 65esima Mostra internazionale d’arte cinematografica. Anteprima per la stampa: ventidue minuti con i sottotitoli in inglese. “Vicino al Colosseo c’è Monti” – nato da un’idea di Chiara Rapaccini e prodotto dai due fratelli a cui fa capo l’Ispire production, Alessandro e Gianvito Casadonte – è il primo cortometraggio documentaristico della sua lunga carriera. Un omaggio al quartiere Monti a Roma, dove Monicelli ha vissuto – alcivico 29 di via dei Serpenti sopra un gelataio famoso per la sua “stracciatella” – in splendida solitudine, a un passo dall’antica Suburra.

«Volevo raccontare un rione, forse il più antico di Roma, non con toni enfatici e imperiali ma quotidiani. Volevo parlare di un rione che non ha la prosopopea del Barocco, con gli artigiani, di antiche vie percorse da processioni, di piazze che festeggiano le ottobrate, ma anche di negozi di abbigliamento curiosi e inaspettati e di giardini tropicali dietro i muri delle case o ancora, di scuole di danza e teatro, celate in sotterranei o in attici terrazzati. Tutto molto velocemente, solo per invogliare il curioso a cercarne gli aspetti più nascosti. Perché non c’è nulla che non si possa tagliare. Anche la Divina Commedia andrebbe tagliata», dichiara il regista spiazzando da par suo.

Così come spiazza la disarmante disponibilità con cui accetta di commentare per telefono – subito dopo la proiezione in laguna – quel cortometraggio che scava nelle pieghe della sua quotidianità e che a Venezia viene accolto dagli applausi. Un buon viatico? «Speriamo, il fatto che piaccia alla stampa non vuol dire che piacerà al pubblico», dice. Poi, quando gli facciamo osservare che il cortometraggio per certi versi potrebbe somigliare ad un autoritratto con la macchina da presa, risponde con precise parole: «Direi piuttosto un insieme di appunti su un rione antichissimo. Un lavoro a cui hanno partecipato tutti, a cominciare dagli abitanti del quartiere continuando con i musicisti».

Un lavoro “corale” firmato da un grande “vecchio-giovane” che confessa di emozionarsi ancora davanti «a questa specie di sussulto che proviene dal cinema italiano, con autori coraggiosi e interessanti». Emozioni che non gli fanno lesinare i giudizi severi sul Bel Paese. Maestro come definirebbe l’Italia di oggi, chiediamo. E lui: «Una penisola che va alla deriva» dove il male maggiore è «il disinteresse, la voglia di non impegnarsi». Ancora qualche minuto. La conversazione volge al termine ma il regista non rinuncia alla sua ironia agrodolce: «Non vedo l’ora scompaia De Oliveira. È stato sempre la mia ossessione. È più anziano di me, più bravo di me ed è stato invitato anche a più festival di me». Clic: fine della telefonata. Oggi però che si avvicina il decennale della scomparsa – avvenuta a Roma il 29 novembre del 2010 – torna anche l’amarcord su pellicola. Memorie che riaffiorano così che “Vicino al Colosseo c’è Monti” ti appare come una sorta di passeggiata virtuale sotto il cielo di Roma, tra gli arabeschi sonori del suono delle campane, il rumore del traffico, accenti romani, facce, sorrisi, sguardi che sembrano punti di domanda oppure simili a nuvole passeggere quando li cogli distratti dalle abitudini di quartiere.

Immagine dopo immagine: la tonaca di un prete che incrocia il passo incerto di una vecchia, suore, turisti e processioni. Solitudini e incontri. Il circolo degli anziani, la cioccolateria, le chiacchiere dal barbiere e i numeri al lotto. Una banda che passa; il macellaio che colleziona fumetti. Topolino, per primo. “ ‘A passione” tra bistecche, filetti, cartoni di uova. Gatti, cani, partite a scopa e a briscola. Artigiani, giovani musicisti, lampi di jazz e accenni di tango. Una specie di piccola “comédie humaine” alla Monicelli e una vibrante dichiarazione d’amore per il quartiere Monti e i suoi abitanti. Non un caso le parole di Luciana Castellina, riportate sul sito ufficiale del regista: «[…] Ogni volta che c’è un’idea bizzarra e difficile ma che sarebbe bene tentare di realizzare io per prima cosa vado a proporla a Mario Monicelli. Perché sono certa che non si tirerà indietro, che sarà disposto a provarci, a mettersi a rischio. Perché Mario è giovane. (E infatti è anche uno dei pochi grandi registi anziani cui piacciono i registi giovani e non piange su “come era verde la vallata” del cinema italiano di trent’anni fa). Del resto basta vedere la sua casa, a via dei Serpenti: la cucina in ingresso, il letto dietro una tenda, un’infinità di ripide scale per arrivarci: l’abitazione di uno studente, il ragazzo-nonno Monicelli».


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