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La presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro dell'economia Giancarlo Giorgetti

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È il solo modo per fare la lentissima discesa del debito a cui i mercati neppure credono ed evitare un nuovo 2011. Anche perché oggi Roma, a differenza di allora, sta peggio di Atene e Madrid, nonostante i fondamentali dell’economia non lo giustifichino. La decisione dei mercati è politica: riflette la distanza tra una Spagna spaccata, ma europeista, e un’Italia che non firma il Mes e non fa le riforme concordate. Anche la soluzione del problema è politica

Eravamo stati chiari con il massimo intento costruttivo prima di tutti e dopo avere invece molto lodato i primi sei mesi di questo esecutivo in politica estera, economia e rapporti con l’Europa. Da agosto abbiamo avvisato chi aveva orecchie per sentire: le cose sui mercati per il governo Meloni sono cambiate, il credito sottostante acquisito prima delle sbandate populiste su banche e dintorni, è stato messo in discussione.

Abbiamo anche specificato che i grandi investitori non vendono Btp, ma non li comprano neppure più. Stanno a guardare e vogliono capire che cosa succede con la nota di aggiornamento al documento di economia e finanza (Nadef), con i numerini della crescita e della manovra e, soprattutto, con il debito pubblico. Abbiamo avvisato tutti che il sommovimento del 2011 iniziò esattamente allo stesso modo. Ogni giorno un pezzettino di spread in più e di rendimento in più da pagare per collocare i nostri titoli sovrani. Poi improvvisamente i balzi si fanno più potenti. Poi diventano più veloci. Poi si arriva sull’orlo del baratro e si deve giocoforza intervenire d’urgenza. Abbiamo sempre chiarito e lo ripetiamo ora che la situazione di oggi è molto diversa da quella di allora e che ci sono tutte le condizioni per evitare che si replichi a patto, però, che se ne sia consapevoli e conseguenti nei comportamenti.

Perché dobbiamo ricordarci sempre che siamo ormai diventati la barca europea che naviga nei mari procellosi della grande crisi globale con la zavorra più pesante di tutti gli altri e non ci possiamo permettere di sprecare quel patrimonio di fiducia costruito durante la stagione del governo Draghi che è stato in casa motore di consumi e investimenti e fuori casa di buona reputazione e attrazione di capitali e turismo internazionale. Questa è stata la medicina che ha dimostrato al mondo con i fatti che si poteva curare la malattia del debito pubblico italiano.

Soffiano nel mondo venti contrari che ovviamente riguardano tutti, ma colpiscono noi prima di tutti. Salgono gli spread di tutti, ma noi raggiungiamo d’impeto la quota psicologica dei 200 punti base e soprattutto in asta i BTp sono stati assegnati per 3 mld a 10 anni con un rendimento al 4,93% che è il livello top da ottobre 2012. Siamo arrivati alla soglia praticamente del 5% e nessuno si può più permettere di occuparsi di altro prima di impegnarsi a risolvere questo problema di caduta della reputazione del titolo sovrano italiano.

Perché, diciamocelo francamente, i mercati hanno letto la Nadef e hanno capito che la lentissima riduzione del debito pubblico rispetto al Pil di 0,6% in tre anni è perfino finta. Perché non solo è agganciata a una previsione di crescita sempre nettamente superiore a quella dei previsori internazionali, ma su questo potremmo avere anche ragione noi perché anche in un contesto profondamente avverso conta la nostra capacità di reazione. No, il punto della bocciatura dei mercati è un altro.

Ciò che li preoccupa è che la possibilità di fare scendere in modo infinitesimale il debito pubblico rispetto al Pil di 0,6% in tre anni è, di fatto, subordinata alle privatizzazioni a cui viene attribuito un valore quasi doppio dell’intera discesa in tre anni e, cioè, quello di un punto di Pil che vuol dire malcontati venti miliardi. Quando l’ex ministro dell’Economia Tria agganciò anche lui la discesa del debito a un punto di Pil da privatizzazioni in un anno, i mercati la presero malissimo perché sapevano che era una bufala. Questa volta come dimostrano i rendimenti dei nostri BTp collocati ieri in asta la hanno presa ancora peggio.

Il brusco risveglio della realtà per chi governa l’Italia è legato al fatto che un Paese che deve pagare solo di spesa di interessi 100 miliardi l’anno, 15 in più della sua previsione contenuta nel documento di economia e finanza (Def), non può pensare che la Cina cade, la Germania entra in crisi strutturale, i sud del mondo sono una polveriera a cielo aperto e noi continuiamo ad essere quello che siamo stati di gran lunga per due anni consecutivi, la locomotiva europea, permettendoci anche il lusso masochista di perdere credibilità, chiacchierando in libertà su pensioni e Mps e facendo così danni giganteschi che paghiamo tutti noi.

Prendiamo atto che siamo davanti a una stagione molto complicata e che proprio l’impianto generale con quell’1,2% di crescita che ci attribuiamo per il 2024 è messo in discussione dai mercati a causa del rallentamento globale certo, ma anche dello sfilacciamento della fiducia italiana di imprese e consumatori, ancorché a livelli ancora superiori a quelli di altre grandi economie europee, perché noi a differenza degli altri abbiamo una zavorra di debiti in più che cambia tutto. A questo punto, l’unico modo per rendere credibile una Nadef che oggettivamente non lo è, può essere solo quello di varare subito un programma di privatizzazioni serio, molto dettagliato, in assenza del quale i mercati non si fideranno mai più di noi.

Altrimenti succederà quello che è successo con il Monte dei Paschi dove il chiacchiericcio in libertà produce danni aggiuntivi e in un contesto di crescita ritenuta sovradimensionata fa apparire truccata la carta delle privatizzazioni agli occhi dei mercati. Da oggi l’emergenza, visto il giudizio dei mercati di ieri, è rendere credibile i numeri della Nadef e ancora di più effettivi quelli della manovra mostrando e attuando un programma di privatizzazioni reale da 20 miliardi. Su questo punto, lo ripetiamo, si scherza con il fuoco, e non si può fallire perché è il solo modo concreto che abbiamo, nella situazione data, per evitare che accada un nuovo 2011 quando, altra cosa che nessuno dice mai, Atene e Madrid erano meno credibili sui mercati di Roma e noi siamo arrivati comunque a un passo dal default sovrano facendo tremare l’euro, l’Europa e i rapporti transatlantici.

Purtroppo oggi, per capire la gravità della situazione, siamo noi ad avere spread e rendimenti più alti di loro nonostante i fondamentali della nostra economia non giustifichino affatto questa valutazione. La decisione dei mercati profondamente sbagliata riflette, dunque valutazioni solo politiche e può per questo essere risolta solo politicamente. In Spagna popolari e socialisti si odiano, ma sono tutti e due europeisti. Il governo dei popolari non si è fatto perché i voti della destra estrema iberica sono contro l’Europa.

Noi invece siamo sempre malmostosi, l’Europa ci ha salvato mille volti ma la contestiamo comunque. Siamo gli unici a non avere firmato il meccanismo europeo di stabilità (Mes). Siamo indietro sul programma di riforme concordato in Europa continuando a strizzare l’occhio a elettorati improbabili venendo meno agli impegni europei presi che farebbero peraltro benissimo alla nostra economia. Per favore, smettiamola almeno di parlare di complotti vecchi che non sono mai esistiti e di paventarne di nuovi che possiamo solo costruire noi alle nostre spalle. Abbassiamo il rumore e mettiamoci a fare le cose.


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