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Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi

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SULLA possibilità che in caso di vittoria del centrodestra a guidare il governo italiano possa essere Giorgia Meloni alla fine arriva anche il placet ufficiale da parte di Silvio Berlusconi. Intervenendo ieri mattina ai microfoni di Radio1 ha rimarcato che le regole della coalizione sono chiare: a chi ha più voti spetta l’indicazione del presidente del Consiglio e, dunque, se il ruolo dovesse essere ricoperto dalla leader di Fratelli d’Italia sicuramente «si dimostrerà adeguata al compito».

Il fondatore di Forza Italia conferma poi la sua volontà di candidarsi al Senato: nei giorni scorsi sembrava tentennare, ma chi in questi anni ha imparato a conoscerlo sapeva che non si sarebbe lasciato sfuggire l’opportunità di tornare proprio nel “luogo del delitto”, laddove nel novembre 2013 era stato costretto a uscire di scena dopo che l’Aula di Palazzo Madama aveva votato sì alla sua decadenza per effetto della legge Severino a seguito della condanna in Cassazione nel processo sulla compravendita dei diritti tv Mediaset.

I SONDAGGI

Mentre a sinistra tentano di riorganizzarsi dopo la “dolorosa” frattura con Calenda, il centrodestra marcia compatto e spedito verso una vittoria che, a meno di cataclismi, dovrebbe essere a portata di mano.

Le stime dell’Istituto Cattaneo non lasciano infatti molte speranze né al mini cartello dem/Verdi/Sinistra Italiana/Più Europa – che ieri ha lanciato la candidatura di Carlo Cottarelli, individuando nell’ex presidente del Fondo monetario internazionale «una delle punte di diamante della prossima campagna elettorale» (Letta dixit) – né al possibile duo Renzi/Calenda e al loro terzo polo (che poi sarebbe il quarto, visto che c’è pure il M5s, o meglio ciò che ne resta).

Se dunque Cottarelli dovrebbe essere una sorta di anti-Calenda, dalle parti di Iv e Azione l’obiettivo è l’assalto al voto moderato, tanto che si era ragionato anche sulla possibilità di assegnare il ruolo di frontwoman a Mara Carfagna, volto simbolo del berlusconismo per quasi vent’anni, adesso calendiana di stretta osservanza.

In ogni caso, le percentuali assegnate al nascente polo centrista per il momento sono bassine – secondo l’ultimo sondaggio Quorum/YouTrend non andrebbe oltre il 4,8% – e dunque, salvo le inevitabili stoccate da parte della sua ex alleata Emma Bonino che parla di voltafaccia «repentino, immotivato e truffaldino di Calenda», per Letta il bersaglio grosso rimane la leader di FdI.

IL BOTTA E RISPOSTA LETTA-MELONI

«È evidente – attacca il numero uno del Nazareno – che Giorgia Meloni sta cercando di cambiare immagine, di riposizionarsi e di “incipriarsi”. Ma mi sembra un po’ complicato, perché se i punti di riferimento sono Orban, sono esattamente l’opposto di quello che dice».

Pronta la replica della diretta interessata che sottolinea come il posizionamento in politica estera del suo partito sia in realtà chiarissimo e accusa il segretario dem di aver pronunciato una frase sessista.

«Al netto della misoginia che questa frase tradisce e dell’idea secondo la quale una donna dovrebbe essere attenta solo a trucchi e borsette – scrive Meloni sui suoi social – il vostro problema è che non ho bisogno di “incipriarmi” per essere credibile. Non accettiamo lezioni da chi si erge a paladino dell’atlantismo ma poi stringe patti con la sinistra radicale nostalgica dell’Urss».

E nel tardo pomeriggio da Via della Scrofa arriva la notizia che ieri mattina la leader di FdI e di Ecr ha inviato ai colleghi della stampa estera tre video registrati in tre lingue (inglese, francese e spagnolo) per ribadire la ferma collocazione europea, atlantica e occidentale e «smentire categoricamente» le voci secondo le quali «un governo di centro-destra metterebbe a rischio i fondi del Next Generation Eu e l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza».

Meloni ha poi fatto chiarezza anche sulla posizione del suo partito in merito al Ventennio: «La Destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche. E senza ambiguità è ovviamente anche la nostra condanna del nazismo e del comunismo, l’unica delle ideologie totalitarie del XX secolo che è ancora al potere in alcune nazioni, sopravvivendo ai suoi tragici fallimenti, che la sinistra fatica a condannare, forse anche perché dall’Unione Sovietica ha ricevuto per decenni generosi finanziamenti».

Lapalissiana la stoccata alla sinistra, del resto siamo in campagna elettorale e le accuse reciproche non mancano e non mancheranno da qui al 25 settembre. Peraltro il segretario dem ieri ha pungolato l’avversaria anche sul tema del programma economico, affermando di «non aver sentito» la posizione della Meloni sulla flat tax, punto cruciale anche della campagna elettorale di Berlusconi.

MELONI, BERLUSCONI E IL NODO FLAT TAX

In realtà, nella bozza di documento programmatico comune in 15 punti messo a punto dagli sherpa del centrodestra si menziona la tassa piatta ma non si entra nel merito delle aliquote perché ogni partito ha la sua proposta: Berlusconi, che ne rivendica la paternità, la vorrebbe fissare al 23% per tutti, pur ammettendo che è necessario procedere con gradualità per non creare nuovo deficit, Salvini la vorrebbe al 15% e ritiene che vada subito alzata la soglia di applicazione alle partite Iva fino a 100.000 euro di reddito per poi passare ai lavoratori dipendenti, mentre la Meloni ha proposto una «tassa unica incrementale» sui ricavi, cioè sull’aumento di reddito rispetto all’anno precedente, consapevole di non avere abbastanza spazio di bilancio per una riforma fiscale più imponente.

Sulla questione è intervenuto ieri mattina, ospite di Agorà Estate su Rai3, anche Giulio Tremonti, che il borsino del “totoministri” indica come uno dei papabili per il Mef in caso di vittoria del centrodestra: non a caso, a precisa domanda della conduttrice Giorgia Rombolà ha risposto che ne «sarebbe onorato, anche se questi sono discorsi che non hanno molto senso attuale». E sulla Flat tax ha precisato che «la valutazione va fatta su come si sviluppa in cinque anni l’economia: nella prospettiva che vada bene certamente la puoi fare, sennò devi tenere conto delle negatività, inflazione, fattori di rischio globali». Cauto, proprio come si conviene ad un ministro in pectore.


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