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Claudio Lotito, presidente della Lazio, candidato in Molise con Forza Italia

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IN OGNI società vi è un gruppo che comanda, che indirizza il Paese e  ne condiziona anche il pensiero. In genere è costituito da coloro che hanno forza economica e cercano di influenzare anche l’attività politica. Una classe dirigente che utilizza tutti gli strumenti a disposizione, a cominciare dalla informazione che indirizza nel modo opportuno e che spesso serve a orientare Il consenso. Oggi si vede benissimo che in Italia c’è un gruppo sociale che é la grande finanza, i grandi imprenditori, che ha grande influenza sugli indirizzi. Ci accorgiamo che in realtà negli anni tale gruppo  con i propri giornali ed i propri media ha condizionato l’opinione pubblica nazionale.

Un gruppo sociale è forte e comanda quando fa pensare anche gli altri nello stesso modo. Nel nostro Paese però tale gruppo in realtà è espressione del Nord, ed il Sud viene indirizzato così come si vuole. Ovviamente parlare di colonia è un’affermazione molto impegnativa e molti potrebbero non condividerla. Ma gli ultimi episodi circa la individuazione dei candidati in molti dei collegi, sia proporzionali che uninominali del Sud, confermano che in realtà l’indirizzo si formi fuori dai territori e dall’opinione di alcune realtà.

Quando si verifica questa condizione una parte diventa strumentale rispetto agli interessi dell’altra, che riesce a prevalere ed avere il consenso in una condizione nella quale si verifica la sindrome di Stoccolma, per cui il prigioniero si innamora del suo oppressore. Il processo di colonizzazione comincia con il presentare la cultura di colui che si pone in posizione predominante come migliore di quella del dominato. Tale processo in Italia è avvenuto? A me pare proprio di sì, se si guarda all’approccio con cui il Nord si pone in una condizione di superiorità rispetto  al Sud. Per cui nascere a Canicattì fa ridere e non lo fa nascere ad Abbiategrasso. Per cui si instilla la convinzione che l’unico modo per riuscire ad avere successo e quello di lasciare i propri territori.

“Cu Nesci arrinesci” dice un vecchio proverbio siciliano, che sottolinea in maniera imprescindibile l’esigenza di lasciare le realtà di nascita per avere qualche possibilità di successo. Tale percorso lo si realizza poi in tutti gli aspetti della vita del Paese. A cominciare da quello della sanità a quello formativo per cui per assunto i servizi in tali settori si possono  avere nella parte dominante assolutamente migliori, senza che si abbia un effettivo verifica delle singole situazioni. E quindi  se hai studiato a Bergamo hai per assunto una migliore preparazione che se hai studiato a Bari. Stesso discorso vale se hai bisogno di sanità, pubblica o privata che sia.

Il processo che fa  assumere  una posizione predominante rispetto ad un’altra è lungo e complicato. Parte da una forma di colpevolizzazione, per cui la responsabilità di tutto quello che accade è da ascrivere alla incapacità di coloro che sono i soggetti titolari, nominalmente, della gestione in un sistema democratico. A cominciare dalla dei propri rappresentanti. Non riuscendo a capire qual è la testa dell’acqua, per cui è naturale che laddove non vi sono investimenti nella formazione e nella scuola il risultato non può essere che quello che l’elettorato attivo non riesce ad essere in condizione di scegliere.   Anche questo aspetto, non per caso,  non è adeguatamente considerato, perché un processo di formazione adeguata dei cittadini in un territorio non può che portare ad una consapevolezza diffusa, che indirizza verso un pensiero autonomo, che evidentemente potrebbe non essere molto gradito dalla classe dominante effettiva. E quindi vi sono da un lato mancati investimenti nella formazione,  dall’altro come conseguenza una serie di individui che rappresentano un territorio pronti a un accordo scellerato con la vera classe dirigente che preveda da un lato la concessione di favori e mance ad essi, e dall’altro la acquiescenza rispetto alle politiche nazionali che prevedono anche che una parte diventi subalterna rispetto ad un’altra.

In questi casi diventa necessario che nella parte dominante che non vi sia una discrimina tra posizioni conservatrici e riformiste, perché entrambe si appiattiscono sugli interessi territoriali.

Questo meccanismo funziona fino a quando la parte colonizzata non si rende conto dello stato in cui viene gestita, del fatto che non ha voce, che i propri interessi non vengano sufficientemente difesi e non prende consapevolezza delle proprie possibilità. Ovviamente quando ciò avviene la contrapposizione tra le parti può diventare determinata ed alcune volte pericolosa. Mentre coloro che hanno lavorato per fare da supporto ai dominatori, una sorta di collaborazionisti, vengono scoperti e impediti di fare quel lavoro di sostegno anche culturale che è necessario per mantenere lo status quo. Che per essere mantenuto ha bisogno di concessioni sempre più ampie per evitare che si arrivi allo scontro aperto.

Gli ultimi episodi che riguardano l’individuazione delle rappresentanze, in condizioni di essere elette, nel Sud con una serie di personaggi paracadutati senza alcun criterio di collegamento con il territorio, è un ulteriore errore che accelera quel processo di distacco dalla politica non solo, ma anche la presa di coscienza dell’esigenza di contrapporre una forza che faccia gli interessi della parte finora dominata. Così come incoraggiare quei processi di autonomia, che portino a consolidare lo stato di dipendenza, di sottomissione, ma anche  di servizi più scadenti in una parte,  non può che portare a forme di disallineamento rispetto ad un progetto unitario.        

Rendersi conto da parte della classe dominante, che fa opinione ed indirizza le scelte, che vi sono dei limiti che è opportuno non superare potrebbe contribuire ad un percorso virtuoso di tutto il Paese. Al contrario forzature, che rappresentano via di fuga rispetto ad una realtà complessa, non fanno altro che accelerare processi non più controllabili. Il concetto è quello che la corda che si può tirare ma bisogna stare molto attenti che non si spezzi. Alcuni episodi più recenti dimostrano in maniera inequivocabile che tale consapevolezza non sia così diffusa, da parte di chi ha avuto fino ad adesso la gestione del Paese, ma che anzi si pensi che sia possibile procedere senza alcun limite.


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