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La conferenza stampa di premier e ministri dopo il consiglio dei ministri

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C’E’ una bella differenza tra l’essere reazionari e l’essere conservatori. Nel primo caso significa lasciare erompere senza freni quell’insieme di eccessi scriteriati che danno la cifra del populismo. Nel secondo caso significa sposare la logica del buonsenso dalla quale si spera derivi la pratica del buongoverno. Nei discorsi di insediamento alla Camera e al Senato, Meloni ha fatto capire di aver scelto la seconda opzione. Ha riaffermato la collocazione internazionale dell’Italia: dalla parte delle democrazie occidentali ed europee, contro la politica di guerra e di espansione di Putin. Ha sgombrato il campo dal dubbio che la destra possa ancora desiderare l’uscita dall’Euro rivendicando per l’Italia un ruolo da protagonista a Bruxelles in quanto paese fondatore.

Proprio per questo ha proposto maggiore solidarietà a livello europeo, riconoscendo il fatto che l’Ue non è una gabbia ma una opportunità. Infine, ha giurato che non tradirà la fiducia dell’Europa sull’attuazione del Pnrr. Fin qui, l’impronta di Mario Draghi nel passaggio di consegne appare evidente. E, come ha detto ai suoi l’ex premier ed ex Bce, la Meloni è una “spugna”: una persona intelligente e solida, capace di assorbire rapidamente quello che serve per presentarsi a Bruxelles con la patente valida. Ciò nonostante, è bastato davvero poco per fare emergere nei giorni successivi all’insediamento del governo una serie di contraddizioni e di passi falsi che costringono a lasciare in sospeso il giudizio sulla neopremier.

Primo: il ritorno della battaglia contro la ‘dittatura sanitaria’ ha infiammato di nuovo la vecchia brace del complottismo dell’estrema destra. Insieme a questo, il via libera ai medici novax ha scatenato sospetto e diffidenza sul modo in cui il nuovo governo pensa di gestire una emergenza sanitaria che non è più certo quella del biennio passato ma non è ancora del tutto superata.

Secondo: appare ambigua la posizione sulla giustizia. Da un lato, si sceglie come ministro Carlo Nordio, un magistrato garantista per il quale l’ergastolo ostativo rappresenta “un’eresia contraria alla Costituzione”. Dall’altro, nel nome della lotta alla mafia, Meloni si impegna a mantenere l’istituto considerandolo uno dei più efficaci contro il crimine organizzato. Ma così si annuncia, per i prossimi mesi, una ambigua altalena del governo tra giustizialismo e garantismo.

Terzo: il blocco del rave party di Modena diventa l’occasione per mandare il messaggio che sulla sicurezza il governo non farà sconti. Ma così facendo, c’è il rischio che, a breve, la lotta agli sbarchi clandestini e alla criminalità minore possa diventare una vetrina di esibizioni muscolari piuttosto che un modo per affrontare in maniera efficace le politiche migratorie e quelle della sicurezza.

C’è, poi, il grande capitolo dell’economia, a partire dal fisco. Dopo aver incassato un coro di commenti negativi sull’innalzamento del tetto del contante – considerato come strumento di evasione fiscale e di traffici illegali – il governo sembra orientato a riprendere in mano due proposte del programma elettorale del centrodestra: l’estensione della flat tax per gli autonomi e la flat tax sugli incrementi di reddito rispetto al massimo raggiunto nel precedente triennio. Due misure che contribuirebbero a pasticciare ulteriormente il già complesso sistema fiscale nazionale. Se la flat tax per gli autonomi restringe ancora di più l’imponibile Irpef con la conseguenza che a pagare di più saranno sempre dipendenti e pensionati, la flat sugli incrementi di reddito è una grossolana quanto inutile complicazione del sistema fiscale. In primo luogo, a parità di reddito, crea discriminazioni fra chi ha avuto l’aumento l’anno scorso e chi lo avrà nel prossimo. In secondo luogo, si crea un sistema illogico e incomprensibile nel quale milioni di persone con redditi eguali pagheranno imposte diverse in quanto misurate sull’anno in cui hanno avuto l’aumento. Anche l’idea di una tregua fiscale non pare il massimo.

Ma qui chi è stato al governo senza aver commesso “peccato di condono” scagli pure la prima pietra. In generale, le misure di tassa piatta avrebbero un effetto certo: farebbero saltare le linee guida contenute nella legge delega per la riforma del fisco predisposta dal governo Draghi. In più, manca la sostenibilità finanziaria per queste misure, specie in un momento in cui l’economia fatica a ripartire e il governo ha già sulle spalle impegni finanziari formidabili per sostenere gli interventi che serviranno a limitare gli effetti dell’inflazione sui redditi delle famiglie e sulla vita delle imprese. Il caso rovinoso di Liz Truss dimostra che perfino il Regno Unito, benché libero dal sistema di condizionamenti dell’Unione europea e dell’area dell’Euro, non può fare a meno di tenere sotto controllo il debito. Figuriamoci l’Italia con il peso storico che grava sui suoi conti pubblici.

L’altra domanda che attende una risposta da parte del nuovo governo riguarda il ruolo dello stato nell’economia. L’adozione della clausola di salvaguardia dell’interesse nazionale per le concessioni di infrastrutture pubbliche (autostrade, aeroporti, ecc.) fino a dove si estenderà? Il governo dovrà presto chiarire se ritiene che i privati non possano gestire infrastrutture di interesse nazionale, tra le quali possono rientrare anche servizi di pubblica utilità come il sistema dei trasporti o la nettezza urbana, della cui gestione le amministrazioni pubbliche locali potrebbero tranquillamente liberarsi. In più, l’uso dello strumento del golden power può avere un senso per difendere il paese da atti ostili provenienti da paesi aggressivi sul fronte economico e strategico come la Cina, ma non deve diventare un’arma per esaudire gli appetiti sovranisti e statalisti che sono ben radicati nella cultura dei partiti della maggioranza. Ciò che, viceversa, è abbastanza distante dai tre partiti di governo è la cultura della concorrenza. Ed infatti, sia nei discorsi ufficiali che nelle dichiarazioni informali della premier o del suo governo, il tema non appare praticamente mai.

L’ultimo punto riguarda l’Europa. Finora, Giorgia Meloni sembra aver fatto tesoro dei consigli di Mario Draghi almeno sul piano del posizionamento pubblico. Nei prossimi giorni la presidente del consiglio incontrerà i vertici delle istituzioni europee: sarà il suo primo ingresso nel giro che conta. Subito dopo cominceranno le sfide più importanti. Prima tra tutte la gestione delle ambiguità della Germania. Berlino è intervenuta pesantemente a sostegno delle proprie imprese contro i rincari dell’energia ben al di là dei limiti imposti dalle norme europee. Allo stesso tempo è assai tiepida sulle politiche energetiche comuni a partire dal price cap sui prezzi del gas e mostra tentennamenti sul sostegno all’Ucraina.

Pochi giorni fa il governo Scholz ha dato l’ok all’ingresso nel Porto di Amburgo del colosso dello shipping Cosco, con sede a Shangai, proprio nel momento in cui la Cina sta affilando le armi di una guerra economica globale con l’occidente. Ce n’è abbastanza per chiedere a Meloni di non fare sciocchezze, sopprimendo definitivamente ogni rigurgito populista. Conservatrice sì, reazionaria no: in Europa serve fare asse con Emmanuel Macron per garantire la solidarietà comune contro le minacce che vengono dall’Est.


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