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Silvio Berlusconi durante il suo intervento in video

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È IL giorno dell’orgoglio di Forza Italia e del ritorno di Silvio Berlusconi. La platea della convention azzurra di Milano, dove per due giorni si è tenuta la kermesse “Forza dell’Italia”, si illumina quando compare sullo schermo il volto del Cavaliere. Da un mese il leader azzurro è ricoverato all’ospedale San Raffaele di Milano, ma ha voluto esserci a tutti i costi. E in camicia e giacca si è rivisto lui, il leader azzurro. Che per l’occasione è ripartito da lontano, dal 1994, dalla discesa in campo all’indomani di Tangentopoli e della crisi della Dc e del Psi.

«Qualche notte fa, qui al San Raffaele mi sono svegliato improvvisamente con una domanda in testa che non riuscivo a mandare via. “Ma come mai sono qui? Ma che ci faccio qui? Per cosa sto combattendo io qui?” Vicino a me vegliava la mia Marta. Anche a lei posi la stessa domanda. “Perché siamo qui?”. E lei mi disse “Siamo qui perché hai lavorato tanto, ti stai impegnando molto perché per salvare la nostra democrazia e la nostra libertà?”».

Il Cavaliere riavvolge il nastro, ricordando i giorni che lo portarono a dire sì: « Tutto ebbe inizio quando i sondaggisti delle mie Tv in quel giugno del 1993 parteciparono ad una mia riunione e interrogati da me sulle elezioni che erano vicine, affermarono con sicurezza, “Vinceranno i Comunisti!” “I comunisti? Ma no, non è possibile, risposi d’impeto, non hanno mai vinto! C’è sicuramente una soluzione per continuare a non farli vincere!”. Risposta in coro, sì ma ce n’è una sola: un nuovo partito più forte dei comunisti». Così Berlusconi si ritrovò assieme ai suoi più stretti collaboratori davanti a una domanda: «”Scendere in campo o lasciare che l’Italia diventasse un Paese Comunista?”». Ecco, insiste Berlusconi, «sentii ancora sempre più forte consolidarsi, in me, un autentico dovere: quello di farlo, quello di salvare l’Italia, il Paese che amo, che tutti noi amiamo».

È in fondo un’operazione nostalgia, quella del Cavaliere, che ricorda i compagni di viaggio di quei giorni: da Gianni Baget Bozzo a Giuliano Ferrara, da Giuliano Urbani ad Antonio Martino. Il tutto con un obiettivo: sottolineare la centralità di Forza Italia, anche in un contesto differente come quello odierno, dove gli azzurri rappresentano l’azionista di minoranza. Ragion per cui guardando all’attualità: «Noi siamo il pilastro essenziale e leale di questa maggioranza, siamo la spina dorsale di questo Governo. Per questo siamo in campo, per far sì che le sue decisioni siano davvero corrette, giuste, equilibrate. Noi vogliamo aumentare le pensioni, i salari, gli stipendi che sono rimasti quelli di 20 anni fa. Noi vogliamo ridurre la pressione fiscale sotto il 40% mentre ora è al 44%». E se questo è l’aspetto programmatico, nel corso dell’intervento, non viene mai citata Giorgia Meloni, né tantomeno l’altro alleato Matteo Salvini. Insomma, Berlusconi ritorna per ribadire tra le righe che il centrodestra in Italia non può prescindere dal vero padre nobile, ovvero da se stesso: «Nessuno riuscirà a sconfiggerci e vedrete che gli italiani ci considereranno i loro santi laici, i santi della loro libertà e del loro benessere. Io sarò con voi, con lo stesso entusiasmo e lo stesso impegno del 1994, perché il futuro è delle nostre idee, il futuro ci deve garantire una vera e completa libertà».

A questo punto partono gli applausi di tutta la sala. Il vicepremier Tajani che ha guidato l’agenda della due giorni di Milano si commuove: «Incoraggia tutti i nostri quadri, i militanti, gli elettori ed è una indicazione che riguarda il futuro. È stata una giornata molto positiva». In scia il ministro Gilberto Pichetto Fratin: «Berlusconi è un leone da 30 anni». E tutto questo succede le tre sigle sindacali scendono in piazza a Bologna per protestare contro l’esecutivo, e, in particolare, contro l’ultimo decreto lavoro di Meloni. Sono in trentamila a piazza Maggiore per dire no al lavoro precario. «Ci siamo stufati della propaganda e di chi pensa di trasformare Palazzo Chigi in Beautiful, attacca Maurizio Landini, leader della Cgil».

C’è anche Elly Schlein, che ha preso parte alla manifestazione, assieme a una delegazione del Pd: «Trovo una provocazione aver chiamato decreto lavoro un decreto che aumenta la precarietà. Più precarietà e più voucher è la direzione più sbagliata rispetto a quello che serve al nostro Paese. Siamo convinti che lavoro e povero non devono più stare nella stessa frase». Quanto all’assenza di Giuseppe Conte, la numero uno del Pd la mette così: «Ci siamo sentiti anche ieri, diciamo che non sempre le agende si incrociano, ma sono convinta che su queste battaglie ci sia con lui e con il Movimento 5 Stelle una convergenza sulle rivendicazioni che sono portate nelle piazze». Insomma, se sono rose fioriranno. E intanto dall’altra parte del campo Berlusconi è già ritornato.


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