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Diego e Hugo Maradona

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«Dovevi scartare anche il portiere!»: così Hugo Maradona rimproverò il fratello maggiore (in tutti i sensi) Diego la notte del 13 maggio 1980 quando l’Argentina campione del mondo sulle baionette dei suoi generali affrontò a Wembley l’Inghilterra e perse 3 a 1. Hugo aveva 11 anni allora, Diego neanche venti ma aveva già due palloni d’oro sudamericani. Maradona il grande quella sera prese il pallone a centrocampo (dove fosse fosse, lo prendeva sempre lui), dribblò mezza Inghilterra, si trovò davanti Clemence, l’ultimo inglese a difesa della rete e cercò di batterlo con uno dei suoi tocchi; il pallone beffardo scivolò giusto qualche centimetro fuori dal palo. Era il minuto 19.

“Dovevi scartare pure il portiere” gli fece Hugo, che già chiamavano “El Turco”, per via del colorito olivastro. Forse Diego se ne ricordò in quell’attimo in cui, qualche anno dopo, il 22 giugno 1986, un mezzogiorno di fuoco nello stadio Azteca di Città del Messico, quarto di finale mondiale, Argentina contro Inghilterra: era il minuto 55. Qualche attimo prima, al 51′, tutto il mondo, meno l’arbitro, aveva visto la “Mano de Diòs”.

Fu allora che Hector Henrique, detto “El Negro”, un indio che esordiva nell’Argentina, prese il pallone a centrocampo e lo passò a Maradona: piroettò, el Diez, lasciò sul posto la ronda inglese, Reid e Beardsley i loro nomi, fintò a rientrare su Butcher, lasciato sul posto, il che succede anche a Hodge. Diego ora è solo davanti a Shilton, il portiere. Stavolta Diego dribbla anche lui ed è il gol del secolo, che l’affannato rientrante Butcher cercò di impedirgli buttandoglisi sulla caviglia con il suo peso di 84 chili e la sua altezza di 1,90. “Barilete cosmico” urlò da re degli urlatori d’oggidì il telecronista argentino Victor Hugo Morales. “De que planeta veniste?”. Aquilone cosmico, da quale pianeta sei venuto?

Quel pianeta, magari, era soltanto il rimprovero dell’adolescente Hugo al fratello grande e Grande Fratello (lui sì…). E chissà quanti rimproveri belli e consigli buoni ha dato Hugo ai ragazzini che istruiva al calcio a Napoli, dove l’altro ieri mattina è morto a 52 per arresto cardiaco nella sua casa di Monte Procida, l’ultimo scampolo dei Campi Flegrei, proprio in faccia all’isola che sta per diventare la nostra capitale della cultura del 2022.

Era lì, a Napoli, dove (ma non solo lì) “Maradona è meglio ‘e Pelè” ed hanno dedicato a Diego lo stadio, i murales, lo stadio e soprattutto il cuore che lui dedicò ai napoletani, che Hugo era tornato a vivere la sua seconda storia, quella di insegnante di calcio. Hugo era arrivato a Napoli la prima volta come “il fratello di”: era l’anno 1987. Diego aveva appena vinto il primo scudetto suo e del Napoli, l’ingaggio di Hugo era anche un riconoscimento, oltre che “non si sa mai”, tanto più che “El Turco” era già stato nel cerchio magico della Nazionale argentina, tra i vari “under”.

Per la verità il talento di Diego era tale che il destino, che ne aveva attribuito di tal livello soltanto a due o tre al mondo (Di Stefano, Pelè, Cruyjff o come diavolo si scrive), certo non poteva spargerlo a piene mani in famiglia. Hugo era sì un calciatore degno, ma un campionissimo no, e lo testimonia il suo vagare per il mondo in cerca di gloria: una partita con il Napoli, poi in prestito all’Ascoli (serie A, comunque), il passaggio al Rayo Vallecano in Spagna, quello al Rapid Vienna, quello in Venezuela al Deportivo Italia, il ritorno ad Ascoli, e poi il Giappone (l’Avispa Fukuoka, il Consadole Sapporo) e infine il Canada (Il Toronto Italia: sempre Italia nel nome e nel cuore di Hugo, napoletano ad honorem).

Ciò su cui il destino non ha invece risparmiato è stato su questa specie di “maledizione di famiglia”: Diego se n’è andato in giorni misteriosi poco più di un anno fa, il 25 novembre 2020, a sessant’anni appena; Hugo la mattina di mercoledì scorso, in questi giorni di festa, a 52. Un conto terribile alla fama di un cognome. C’è perfino la coincidenza che un ragazzo divenuto affine, il “Kun” Aguero, così chiamato dal nonno e poi da tutti per la sua somiglianza con un cartone animato popolare in Argentina, che era stato sposo di una figlia di Diego, Giannina, ha appena dovuto abbandonare la sua carriera di campione del pallone, appena passato al Barcellona, per problemi di salute cardiaca.

Hugo, a Napoli, aveva trovato la sua città e la sua dimensione; alle ultime elezioni comunali volevano anche candidarlo in una lista civica, ma la burocrazia della cittadinanza da ottenere rese impossibile questa pennellata di calcio per riverniciare la politica. Voleva crescere qualche Diego (ma ce ne saranno più?) e chissà se a qualcuno di quegli scugnizzi un giorno abbia detto (o avrebbe detto) “dovevi scartare anche il portiere”.


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