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I ragazzi dell’Unical nel terreno confiscato alla ‘ndrangheta a Gioia Tauro

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di don PINO DEMASI*

C’È una Calabria che spara, ma c’è una Calabria che spera. C’è una Calabria che ostenta i segni del potere, ma c’è anche una Calabria che, fiera, oppone ai segni del potere il potere dei segni. Una Calabria che ha scelto di sporcarsi le mani per cancellare i grigi ed i neri della malavita e per far emergere i colori ed i bianchi della buona vita. C’è una Calabria fatta di tanti giovani, per i quali vivere in terra di mafia significa non accettare uno stato di mortificazione continua, ma dare vita ad una resistenza civile per la liberazione del territorio dal potere mafioso.

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Giovani assetati di giustizia, consapevoli che condizioni quali dignità, libertà, sicurezza, non possono considerarsi come acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta conquistate, protette.

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Grazie ad un gruppo di questi giovani, nella Piana di Gioia Tauro è stato possibile compiere un atto eversivo, di una potenza impressionante: costruire un forte presidio di antimafia sociale, di resistenza alle mafie partendo dalla riappropriazione del territorio.

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I primi giovani sono partiti tanti anni fa, a metà degli anni Ottanta, quando erano ragazzini. In un momento preciso della storia della loro Parrocchia e del loro Parroco, che ero e sono anche oggi io, quando la delinquenza organizzata pensava di fare impunemente quello che voleva, hanno fatto proprio uno slogan, che è diventato il programma della loro vita: “Cambiare per Restare e Restare per Cambiare”. Cambiare noi dal di dentro, lasciare da parte la rassegnazione e restare in Calabria per essere motore di cambiamento. Da allora tanti giovani delle diverse generazioni si sono sporcati le mani per il cambiamento di questa terra, intraprendendo un percorso di rottura con il pensiero dominante.

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Tante le iniziative, tanti i segni reali del cambiamento: educazione delle coscienze, attività di benessere sociale, di giustizia, di riconoscimento dei diritti e dei bisogni delle persone. Tra i tanti segni mi piace sottolineare soprattutto la Cooperativa Valle del Marro e l’utilizzo del Palazzo confiscato alla cosca Versace. Ambedue le iniziative a Polistena e ambedue, al centro del percorso, che si incrocia con la lotta alla criminalità e la tutela dei diritti, hanno il lavoro. La Cooperativa Valle del Marro-Libera Terra, la prima cooperativa che in Calabria è riuscita a trasformare un terreno di proprietà dei mafiosi in una fonte di reddito nasce nel 2003.

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La trasformazione del palazzo Versace, assegnato alla mia Parrocchia, in Centro Padre Pino Puglisi cinque anni dopo. A distanza di tanti anni, credo che tante siano le scommesse vinte, a partire proprio dalla tenuta della cooperativa stessa in territorio dal forte individualismo. Questi giovani hanno poi dimostrato che è possibile creare lavoro vero e produrre sviluppo e in particolare sviluppo dal forte contenuto etico. Un elemento di rottura nella Piana, storicamente caratterizzata da una logica d’impresa fortemente condizionata dalla presenza mafiosa e tesa soprattutto a produrre ricchezza per alcuni e non sviluppo per il territorio.

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Un altro merito è certamente quello di aver favorito la diffusione della cultura democratica e,soprattutto l’aver favorito una percezione positiva del proprio territorio. Quando lo spazio urbano e rurale è stato profondamente segnato dall’ostentazione della ricchezza e del potere mafioso, è difficile riconoscersi in ciò che ci circonda: la tentazione di dissociarsi o, peggio, di fuggire dal proprio ambiente è forte. Da quando, però, il terreno di un boss, prima luogo di timore, simbolo di prepotenza e di malaffare, è diventato il campo coltivato dalla cooperativa sociale, meta di scolaresche che scoprono la convenienza della legalità, campo di lavoro per volontari provenienti da ogni parte del mondo; da quando il palazzo del boss è abitato da tantissimi giovani e ragazzi, allora la percezione del territorio cambia: sta diventando non solo più facile identificarsi con il proprio ambiente che si dimostra capace di cambiamento, ma addirittura anche sentirsene responsabile, perché si percepisce il cambiamento come il risultato di scelte.

Tutti segni positivi a dimostrazione di quanto sia vero quello che ha scritto Camilla, una ragazza che ha partecipato a Polistena ad uno dei campi di E! State Liberi, “la mafia è una montagna di merda, ma la Calabria è una montagna di speranza”.

*Referente Libera Piana di Gioia T.

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