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Don Ciotti con Fiorella Mannoia al centro Puglisi

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NOMI e cognomi contro le mafie. Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera. Cosa manca a questa Italia e a questo Sud per cambiare radicalmente registro…

«Aveva ragione Giovanni Falcone. La lotta alla mafia è una battaglia di legalità e di civiltà. Per combatterla non bastano le leggi se prima non le abbiamo scritte nelle nostre coscienze. Il cambiamento avviene se tutti noi uniamo le forze e avviamo una vera rivoluzione culturale. Perché è la cultura il grande motore del cambiamento. Migliaia di giovani vogliono ritornare nelle loro terre. Occorre creare le basi affinchè ciò possa avvenire. Si è fatto molto ma tanto restare ancora da fare. E’ importare investire nella cultura, nei servizi e creare le condizioni reali per l’occupazione giovanile. La forza della mafia sta fuori dalla mafia. Per spostare e investire danaro sporco occorrono persone che siano capaci di farlo, professionisti che prestano il supporto ai mafiosi. Bisogna colpire gli invisibili per lottare contro questo sistema».

E’ possibile affermare una nuova egemonia culturale nei territori a rischio e nel Meridione?

«Abbiamo il dovere di educare alla responsabilità e alla condivisione: è il noi che vince. Se ancora dopo lunghi decenni affrontiamo oggi il tema della lotta alle mafie è evidente che qualcosa non è andato per il verso giusto. La storia ce lo dice: ci può essere una politica senza mafia ma non una mafia che può fare a meno della politica. Certi aspetti li aveva già intuiti perfettamente don Luigi Sturzo, la mafia non è un problema relegabile a poche realtà territoriali ma è qualcosa di più complesso perché da sempre la mafia fa e continua a fare affari al Settentrione».

Una rivolta civile su quali basi poggia?

«Tutti i giorni si muore se si perde il senso della vita. Moriamo nel pessimismo e nella superficialità. Oggi serve coraggio per il coraggio perché il problema più grande non è la mafia, ma chi vede e resta in silenzio».

Quali sono le maggiori criticità che si riscontrano nella gestione dei beni confiscati alle mafie?

«E’ necessario il passaggio da beni esclusivi a beni condivisi con la comunità. E’ determinante riappropiarsi di ciò che ci è stato sottratto. Per fare ciò bisogna creare condizioni di velocizzazione tra la fase del sequestro e la fase della confisca. Il problema grande riguarda le imprese sottratte dallo Stato. Troppo spesso sono vere e proprie scatole vuote. Altre, invece, vanno ripulite dalla presenza e dalla ingerenza mafiosa, perchè i posti di lavoro vanno salvaguardati».

C’è un rischio concreto in Libera e in altre associazioni di creare paladini dell’antimafia “taroccati” e falsi miti tra le vittime di mafia?

«Il fango fa il gioco dei mafiosi. Gli attacchi privi di fondamento distruggono la dignità di migliaia di giovani. Ci possono essere errori, si può criticare, ma non può essere calpestata la verità. L’antimafia è una parola da bonificare, come la parola “legalità”. Entrambe non possono essere una maschera o un lasciapassare. Siamo soprattutto di fronte a un problema di coscienza. La responsabilità, prima, e la legalità, a seguire, sono due aspetti che devono camminare di pari passo. In tanti si riempiono soltanto la bocca. E’ necessario distinguere e non confondere».

Il suo appello alle comunità del Sud?

«Mafia e corruzione sono parassiti della società. I cittadini devono osare di più. Per amore dei nostri ragazzi non dobbiamo assolutamente tacere. E poi non bisogna mai dimenticare le positività dei nostri territori e l’impegno quotidiano di tanti uomini e donne».

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