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Gianpaolo Tarantini

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La differenza, sostanziale, tra giudizio penale, giudizio morale e giudizio mediatico. Su questo si impuntano i legali dell’imprenditore barese Gianpaolo Tarantini, che ieri la Cassazione ha condannato con sentenza definitiva a due anni e 10 mesi di reclusione. La vicenda è quella che portò alla luce il giro di escort, accompagnate da Tarantini tra il 2008 e il 2009 nelle residenze dell’allora premier Silvio Berlusconi. Per aver reclutato le donne, l’imprenditore era stato condannato in primo grado dal tribunale di Bari a sette anni e 10 mesi, in secondo a 2 anni e 10 mesi.

«Dispiace che anche la Cassazione, dopo la Corte Costituzionale – commenta dunque l’avvocato Nicola Quaranta, difensore di Tarantini assieme al collega Vittorio Manes – abbia perso un’occasione per rimarcare la diversità tra giudizio penale, giudizio morale e mediatico di cui questo processo è impregnato».

E tuttavia, «c’è soddisfazione – continua il legale – per aver la Cassazione, rigettando il ricorso della procura generale di Bari, confermato la sentenza di Appello laddove censurava il verdetto di primo grado», all’esito del quale Tarantini era stato condannato alla pena di sette anni e dieci mesi di reclusione. I giudici della Suprema Corte hanno inoltre dichiarato inammissibile il ricorso della parte civile, Patrizia D’Addario, tra le donne portate da Tarantini, assistita dall’avvocato Pasquale Rago.

La donna – che in primo grado non aveva ottenuto il risarcimento dei danni – era stata riammessa nel processo dalla stessa Cassazione che nei mesi scorsi aveva annullato l’ordinanza con la quale la Corte di Appello di Bari l’aveva estromessa. «Attenderemo le motivazioni – dice il legale – per poi procedere in sede civile per ottenere il risarcimento dei danni».

Diventata quindi definitiva la condanna, Gianpaolo Tarantini dovrà scontarla, ma presumibilmente non andrà in carcere e, come già avvenuto per una precedente condanna per droga e bancarotta, si seguirà la strada dell’affidamento ai servizi sociali. L’imprenditore barese, trasferitosi a Roma, per quattro anni aveva fatto volontariato in una chiesa e poi lavorato come commesso in un negozio di abbigliamento per bambini, tenendo una condotta esemplare.

«Mi aspettavo un’assoluzione piena perché, così come hanno ribadito i miei avvocati durante la discussione – commenta Tarantini – dal punto di vista penale il reato non sussiste perché per il reato di favoreggiamento e sfruttamento, ci vuole una costrizione verso le persone, cosa che non è mai emersa in nessun atto di indagine. Erano delle cene normali, ho avuto la fortuna di conoscere una persona perbene, seria, con cui avevo instaurato un rapporto di amicizia sincera. Purtroppo quella persona è sempre stata nel centro del mirino e di conseguenza ho avuto un accanimento nei miei confronti».

In attesa di conoscere le motivazioni della sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, Tarantini ricorda con grande emozione la sua precedente esperienza portato avanti nel settore del volontariato: «Un’esperienza assolutamente positiva, è stata incredibile, ho visto l’altra faccia della medaglia, facevo del volontariato verso persone bisognose, povere. Quella chiesa fu chiusa qualche giorno dopo il termine del mio servizio, a causa della pandemia. E’ stata riaperta una decina di giorni fa, e sono andato a trovarli. E’ stata un’esperienza forte e toccante, che mi ha segnato».

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